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L'editoriale di TerzaRepubblica

La guerra spazzerà via il biloparismo

L'ITALIA NON PUÒ AFFRONTARE L'ATTUALE FASE STORICA CON FORZE POPULISTE E SOVRANISTE. BISOGNA PREPARARE L’ALTERNATIVA. 

di Enrico Cisnetto - 23 marzo 2024

Stanno scherzando con il fuoco. Qui non si tratta più di dover sopportare le conseguenze del “bipolarismo paralizzato”, cioè del malfunzionamento del nostro sistema politico. No, siamo in uno scenario di potenziale terza guerra mondiale – che, se non fosse chiaro, significa che dopo 80 anni di pace l’Europa rischia di ripiombare in un conflitto bellico, e per di più potenzialmente nucleare – e dunque i comportamenti della politica non riguardano soltanto la vita quotidiana del Paese (o della Nazione, se si preferisce) ma vanno a incidere su questioni “di vita o di morte”, nel senso più letterale della parola. Per questo fa inorridire l’atteggiamento che il vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini ha deciso di assumere al cospetto delle elezioni farsa in Russia, ma non meno gravido di conseguenze nefaste è l’atteggiamento assunto dal resto del governo che ancora una volta ha scelto di fare spallucce, declassando a “parole da campagna elettorale” il “quando un popolo vota ha sempre ragione” del segretario della Lega. E, siccome Giorgia Meloni ha ragione a indicare le contraddizioni che albergano a sinistra (ma ha torto a far finta che siano solo lì), altrettanto grave è che il cosiddetto “campo largo” si ampli o si restringa a seconda se si trova o meno l’accordo su un candidato ad un qualche scranno regionale o non perché uno dei maggiori contraenti il patto, il Movimento 5stelle, sia beceramente schiacciato sulle posizioni di Putin, seppure mascherato dietro un falso pacifismo, e, buon peso, tifi anche per la rielezione di Trump nella speranza che si ricordi di “Giuseppi”. 

Insomma, l’Italia non può permettersi di affrontare una circostanza storica come quella che stiamo drammaticamente vivendo, pregna di rischi esiziali, con una maggioranza e un’opposizione minate da contraddizioni insanabili. O che tali dovrebbero essere, se solo si avesse il coraggio di guardare in faccia la realtà. L’esecutivo è guidato da chi, solo fino a 2-3 anni fa, si definiva sovranista e guardava con simpatia alla Russia di Putin e con spregio all’Europa. Al netto di qualche incoerenza (vedi il rapporto con Orban), ha cambiato idea e non c’è che da esserne soddisfatti. Io stesso in questo anno e mezzo di governo, ho più volte indicato come fattore positivo il neo euro-atlantismo della presidente del Consiglio, pur non mancando di sottolineare la bizzarria di una leadership politica che guadagna apprezzamento in modo inversamente proporzionale alla sua coerenza. Ma la posizione tenuta da Meloni, che ha fatto argine alle primordiali pulsioni del resto del suo partito, e quella “coerente” di Forza Italia, non sono sufficienti – né politicamente né numericamente – ad assicurare la necessaria stabilità e l’indispensabile forza al governo, in presenza di una posizione “spuria” come quella di Salvini. In ballo non c’è solo la vicinanza a Putin in un momento in cui, cercando di annettersi l’Ucraina, tenta di ricostruire l’Unione Sovietica se non addirittura il vecchio impero zarista allungando le mani sull’Europa. Cosa che di per sé sarebbe più che sufficiente per una crisi di governo. No, qui c’è anche un’inaccettabile visione di quello che è uno Stato di diritto (votazioni libere, rispetto delle minoranze e di tutte le opinioni, libertà di stampa). Come ha scritto Davide Giacalone, la democrazia non è una “votocrazia” e quelle russe – così come quelle in Iran, o, ieri, quelle nella Germania di Hitler e nell’Italia di Mussolini – sono elezioni tutt’altro che libere. Né è sufficiente, anzi è un insulto alla politica e all’intelligenza dei cittadini, raccontare che quel che conta è che la Lega ha sempre approvato i provvedimenti del governo: non è accettabile che con una mano si votino gli aiuti all’Ucraina e con l’altro si agiti la propaganda putiniana. Infine, c’è in ballo una questione squisitamente politica: la coalizione è nata con Fratelli d’Italia a destra e Lega e Forza Italia a contendersi lo spazio moderato. Ora, però, Salvini si colloca vieppiù sul crinale di una destra radicale e anti-europeista, oltre che putiniana e trumpiana, alleandosi a livello continentale con quanto di peggio ci sia, tanto che persino una come Marine Le Pen si sgancia da lui nel tentativo, simil meloniano, di riposizionarsi verso il centro per fare meglio concorrenza a Macron. Ma questa mossa così spregiudicata, che va ben al di là della fisiologica rivalità politica, fino a che punto può essere tollerata in nome della tutela dell’unità – a questo punto fittizia – della coalizione?

In altre circostanze – mi riferisco al quadro internazionale – avremmo anche potuto avere la pazienza di attendere la naturale evoluzione della vicenda, o per via elettorale con la marginalizzazione della Lega o di quel che ne rimarrebbe di fronte ad un ulteriore tracollo nel voto europeo, o per via politica, con la messa in discussione del segretario – cosa difficile, in un partito profondamente leninista come la Lega, ma non impossibile – ed eventuali scissioni (di cui già si parla, visto che lo stesso Salvini avrebbe depositato il simbolo di una nuova forza, Italia Sicura). Ma, purtroppo, la congiuntura geopolitica non lo consente, e i “minimizzatori” farebbero bene a rivedere i loro calcoli, se non vogliono ritrovarsi domani sul banco degli imputati. Il governo che non trovasse il coraggio di un chiarimento potrebbe anche sopravvivere, almeno nel breve, ma farebbe un danno enorme a sé stesso e al Paese.

Si dirà: ma se il centro-destra implodesse sotto il peso delle sue incoerenze, rischieremmo di cadere dalla padella nella brace con il centro-sinistra. Vero. Già ora – e stando all’opposizione è più facile intendersi – inconciliabilità politiche e divergenti ambizioni personali mostrano come l’idea di una coalizione che riunisca tutte le forze che non sono al governo, ammesso e non concesso fosse giusta, appaia impraticabile, visti i veti reciproci tra grillini e i partiti di centro e le distanze tra Conte e la componente riformista del Pd (pur fin troppo silente), e nonostante l’accondiscendenza armocromatica di Elly Schlein. I temi su cui c’è distanza sono infiniti, ma restando alla questione principale, la guerra scatenata da Mosca a Kiev, il centro-sinistra è riuscito a dividersi platealmente in sede parlamentare sul rinnovo degli aiuti militari all’Ucraina, con Schlein che ha sciaguratamente posizionato il Pd su una linea ambigua (ha votato una propria mozione e non quella del governo, pur dicendo entrambe la stessa cosa) tanto da indurre una pattuglia di riformisti (purtroppo esigua) a distinguersi apertamente. Una scelta, quella della segretaria democrat, culturalmente figlia del “moralismo pacifista” imperante a sinistra, ma che politicamente si spiega con la volontà di tenere in piedi il “campo largo” anche a costo di piegare la testa al cospetto di Conte, che ovviamente per il bene degli ucraini vuole lasciarli senza aiuti militari.

Insomma, largo o stretto che sia, il campo del centro-sinistra appare minato, come è emerso chiaramente nella War Room di martedì 19 marzo (qui il link). E questo lo rende poco credibile come alternativa all’attuale maggioranza. Ma per quanto tempo ancora l’Italia può permettersi di essere gestita da questo “bipolarismo paralizzato”, cioè basato su due coalizioni che vivono nella paralisi prodotta dalle loro contraddizioni interne? È dal 1994 che il nostro sistema politico si è basato su coalizioni fatte per vincere e non per governare, che di conseguenza hanno vita breve e ingloriosa. Non è certo questa l’alternanza che io auspico, ma non è, o non dovrebbe essere, neppure quella che può accontentare le aspettative di coloro che hanno evocato il maggioritario e il conseguente bipolarismo (io non sono tra questi) come il sistema salvifico dopo la fine della Prima Repubblica. Non solo la stagione che viviamo non è la Terza Repubblica come qualche ebbro neofita del potere si è spinto a dire, ma anzi, sempre più appare come l’ennesima fase del trentennale decadimento del nostro sistema politico-istituzionale, iniziato nel 1994 con quella che fu abusivamente chiamata Seconda Repubblica, e che altro non è stata se non la progressiva superfetazione delle ragioni del declino del regime politico post-bellico.

Per uscirne, è evidente che occorre produrre una rottura netta di questo sistema. Finora gli unici momenti di cesura sono stati i due governi tecnici, Monti e Draghi, ma non avendo un disegno politico, si sono rilevati non all’altezza. Ci devono dunque pensare le forze politiche, quelle esistenti o quelle da creare, purché siano guidate dall’idea non più di dividersi il consenso del 50% degli italiani che vanno a votare, ma di riconquistare la metà che resta a casa, disgustata e disillusa. Fin qui ha frapposto un vincente resistenza alla frattura quello che io chiamo “PTPS”, il partito trasversale populista e sovranista. E la società, o meglio quella metà che ancora si reca alle urne, gli è andata dietro. Ma adesso i margini per alimentare il tumore populista non ci sono più. Si sono esauriti gli spazi economici, e quindi la spesa pubblica è una leva sempre usabile. Ma soprattutto, è il pericolo “guerra” che imporrà alla politica, pena il suo definitivo fallimento, di cambiare registro. Potrà sembrare paradossale, ma è così: la questione più divisiva, sarà la questione che imporrà alleanze fin qui inimmaginate o comunque ritenute impossibili. Da un lato chi si assume l’onere di gestire responsabilmente la nostra presenza nel campo occidentale, che capisce e spiega agli italiani, senza infingimenti, che dobbiamo attrezzarci, culturalmente e praticamente, a difenderci da un nemico che non manca di palesare la sua aggressività ma che molti faticano a percepire come tale. Chi vuole che l’Europa sia pronta, con una difesa e un esercito comuni, specie se l’eventuale elezione di Trump indurrà gli Stati Uniti ad abbandonare la Nato o comunque imporrà al Vecchio Continente a fare da solo, dopo decenni di comoda protezione americana. E dall’altro lato, chi predica il pacifismo a senso unico, magari chiedendo a Zelensky di alzare bandiera bianca, o addirittura parteggia per Putin, apertamente o con bugiarda furbizia. Se si spaccheranno le coalizioni e i partiti stessi, magari generandone di nuovi, dividendosi lungo questa decisiva linea di faglia, sarà un bene. Naturalmente sempre che prevalga – ma ne sono sinceramente convinto – il fronte autenticamente euro-atlantico. Se invece il PTPS continuasse nonostante tutto a prevalere, finendo per imprigionare nella loro codardia tutti coloro che non vorrebbero farne parte ma non hanno il coraggio di rompere il gioco, allora per il nostro paese – così come per l’intera Europa, visto che questo discorso vale anche per tutti gli altri paesi continentali – saranno tempi drammaticamente bui. Che Dio non voglia. 

A proposito, siamo a Pasqua. Rivolgo un affettuoso augurio a tutti i lettori di TerzaRepubblica, dandovi appuntamento a sabato 6 aprile. Mi prendo una settimana di riposo, e di riflessione. Buona Pasqua.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.