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Fisco e manovra

Caccia all'evasore

L'evasione non si combatte partendo piccoli commercianti e partite iva

di Enrico Cisnetto - 20 ottobre 2019

A guardare troppo la pagliuzza, si rischia di non vedere la trave. Mille o tremila euro di limite al contante, multa o non multa per chi è senza pos, sono falsi dilemmi. Associata al decreto fiscale, la manovra “salvo intese” appena varata prevede ben 12 miliardi di coperture dal fisco, di cui 3,2 dal recupero dell’evasione. Una strada difficile, resa ancor più complicata dalle polemiche su soglie e sanzioni che rivelano, ancora una volta, un approccio punitivo che ha effetti limitati e perversi, mentre quello che serve è un percorso di semplificazione che metta in cooperazione, e non in contrapposizione, fisco e cittadini.

L’evasione fiscale in Italia ha carattere strutturale e dimensione monstre, pari ad almeno 110 miliardi l’anno, cifra che come minimo raddoppia se si considerano anche sommerso e lavoro nero. Quindi, come dimostrano le esperienze del passato, non regge l’idea di risolvere una questione di questa complessità con qualche regoletta in più. Si vuole abbassare la soglia del contante prima a duemila e poi, dal 2022, a mille euro, ma negli ultimi 15 anni si è già intervenuti otto volte, senza che sia mai cambiato qualcosa. In Germania, per dire, non esiste limite al contante e nessuno ritiene sia un incentivo all’evasione. Lo stesso vale per le multe di 30 euro (più il 4% del valore della transazione) che si vogliono infliggere a chi non accetta pagamenti con carte di credito. In passato era già scattato l’obbligo, senza successo. Non si capisce perché dovrebbe funzionare ora. Tanto più che capita facilmente di sentirsi dire che “il pos è rotto” o “non c’è linea”.

In un paese che soffre di digital divide è assurdo pensare di arrivare alla cashless society in un baleno, anche con sanzioni severe. Piuttosto, bisogna accompagnare il fenomeno, dimostrando che la moneta elettronica è già di per sé conveniente, oltre che per il fisco e l’acquirente, anche per chi vende. Non a caso lo scorso anno l’utilizzo delle carte è cresciuto dell’11,6%. Anche perché il contante costa: assicurazioni, deposito, trasporto, guardie giurate, blindati, casseforti, furti e molto altro. Ecco, bisogna alimentare questa convinzione, visto che siamo ancora 24esimi su 28 Paesi europei per uso di carte, con soltanto il 14% del volume e il 32% del valore dei pagamenti che avviene tramite digitale. Perciò è utile aiutare i fornitori di servizi a stringere accordi con cui ridurre commissioni e costi, come è utile introdurre un’eventuale cashback per chi effettua pagamenti digitali. Persino la lotteria degli scontrini, che non a caso esiste diversi altri paesi, aiuta a introdurre quel “conflitto di interessi” in cui è il cliente, per sua convenienza, a chiedere l’emissione della ricevuta. Tra l’altro, queste misure che oggi non sono misurabili in termini di gettito potrebbero generare più del previsto, come dimostrano gli effetti della fattura elettronica.

Tuttavia il fisco è questione complessa non solo in Italia. Per dire, allargando l’inquadratura emerge come, da un lato, esistano 15 triliardi di dollari piazzati in paradisi fiscali dalle grandi multinazionali; dall’altra, quanto i Paesi europei continuino a farsi concorrenza fiscale tra loro. Per cui la “caccia all’evasore”, tanto più se piccolo commerciante o partita iva, non risolve né inquadra il problema, ma al massimo lo aggrava. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.