ultimora
Public Policy

Il vero ambientalismo per rilanciare l'Italia

Deficit verde

Quella crescita paralizzata e la miopia di non spingere più sugli investimenti

di Enrico Cisnetto - 08 giugno 2019

Tante volte in questi anni ci hanno ripetuto quanto l’Italia fosse al top per quantità e diffusione di energia solare, eolica e altre fonti pulite. Ma forse non è proprio così, visto che nella lettera inviata al Governo dalla Commissione europea tra i molti rilievi oltre a quello del debito pubblico eccessivo e in crescita, rientra anche una reprimenda per gli scarsi investimenti “green”. Secondo Bruxelles, infatti, per arrivare ai target ambientali Ue su energia e clima fissati per il 2030, l’Italia dovrebbe rivoluzionare la propria politica economica, puntando tutto sulle infrastrutture “sostenibili” energetiche e di trasporto. Perché se è vero che gli “investimenti verdi” nel nostro paese sono cresciuti del 2,3% nell’ultimo anno, sono comunque stimati dall’Istat in poco più di 1,4 miliardi, cioè meno dello 0,1% del pil. E quasi l’80% proviene dalle piccole e medie imprese, mentre per quelle grandi, decisive per creare effetti sistemici, si è registrata una flessione dello 0,4%. Davvero troppo poco.

Naturalmente questo deficit si traduce in una non ancora sufficiente protezione dell’ecosistema. Anche perché l’ambientalismo made in Italy troppo spesso viene interpretato con i falsi miti della decrescita (in)felice o con l’estremismo del “no a tutto”, mentre in realtà sarebbe una scelta di progresso e di sviluppo, che crea lavoro e ricchezza e nello stesso tempo protegge la natura, se solo l’approccio fosse de-ideologizzato. D’altra parte, basta vedere il gap di consenso che c’è tra il partito dei Verdi italiani, fermo al 2,3% alle ultime europee, e quello tedesco, che ha superato il 20%. Cosa che marca la distanza tra chi affronta i problemi in modo anacronistico e chi in modo pragmatico. Perché il vero ambientalismo è quello che preferisce la ferrovia (vedi Tav) al trasporto su gomma, che antepone il gas al petrolio, che riesce a produrre energia dai rifiuti (e quindi costruisce termovalorizzatori e altri impianti), che considera l’acqua un bene pubblico ma per renderne efficiente la distribuzione la fa gestire in modo privatistico, che trasforma il riciclo in un’industria e che punta sulle rinnovabili non solo perché esistono gli incentivi di cui approfittarsi.

E se per fare questo servono investimenti strategici “pesanti”, per esempio rinnovando la rete elettrica e puntando sui sistemi di accumulo necessari per valorizzare al massimo le rinnovabili, allora si metta mano al portafoglio per questo e non per pagare chi non lavora e chi smette di farlo prima del tempo. Se si facesse deficit per questi motivi, sapendo che certi investimenti hanno rendimenti differiti – si pensi alle auto elettriche, che stanno cominciando a diffondersi ora dopo i tanti miliardi spesi per anni – e vedrete che Bruxelles non aprirà nessuna procedura di infrazione. Tant’è vero che la maggiore voce di spesa nel bilancio della Commissione Ue per il prossimo anno è quella relativa alla crescita sostenibile, pari a 60 miliardi (+1,3% rispetto al 2019), un terzo di quella complessiva, mentre per ricerca e innovazione vengono stanziati 13,2 miliardi (+6,4%).

Le imprese lo hanno capito, e quelle che hanno investito in tecnologie green per ridurre l’impatto ambientale, risparmiare energia e contenere le emissioni, ottengono le migliori performance. La politica, invece, continua a ritmare slogan, ma non va oltre le parole. (twitter@ecisnetto)

Social feed




documenti

Test

chi siamo

Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.