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Pensioni e lavoro

Giù le mani dalla Fornero

La flessibilità in uscita non è una priorità. Occorre garantire le pensioni future

di Enrico Cisnetto - 01 maggio 2016

Giù le mani dalla legge Fornero. La flessibilità pensionistica in uscita non è di per sé sbagliata, ma non può essere la priorità. Tanto meno se la si vuole usare come esiziale chiavistello per scardinare l’unica vera riforma che ci ha salvato dal default. Per questo (oltre che per tanti altri motivi) è sperabile che Berlusconi rimandi al mittente i “dieci punti per fare pace”, primo dei quali è appunto l’abolizione della Fornero, speditegli da Salvini. Così come è sperabile che il governo ripensi la sua proposta, che per lisciare il pelo ai lavoratori anziani dimentica le ben più incombenti difficoltà dei giovani e il sempre precario equilibrio dei conti pubblici. L’apertura indiscriminata al pensionamento anticipato costerebbe infatti tra i 5 e i 7 miliardi, e visti gli stretti margini di bilancio il sottosegretario Nannicini si è affrettato ad escludere un provvedimento aperto a tutti, ipotizzando invece un “prestito previdenziale” con il contributo di banche e imprese, da ricevere in anticipo rispetto all’uscita dal lavoro, e con una lieve penalizzazione (si parla del 3-4%), da restituire poi al momento dell’ingresso formale nell’età della pensione. Un’opzione, oltre per chi ne fa richiesta volontaria, aperta anche per i lavoratori delle aziende in crisi (a carico prevalente dello Stato) e a quelli in prepensionamento forzato (che pesano sulle aziende).

Ora, fin dalla riforma Dini, ho sempre pensato che fosse giusto aprire alla flessibilità, come corollario di libertà individuale del definitivo passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo, per il quale si riceve in base a ciò che si versa sia in termini di anzianità che di quantità. Ma la proposta del governo, oltre a non tenere in conto che la nostra spesa pensionistica è già pari al 16,8% del pil e che la popolazione è destinata ad invecchiare ulteriormente, fa parte di una politica che mira a tutelare più la platea dei 18 milioni di pensionati e pensionandi che quella dei lavoratori, dimenticando l’equità intergenerazionale. I fini della strategia sono evidenti. In passato l’esecutivo aveva annunciato (ma non realizzato) l’ampliamento del bonus da 80 euro a 2,2 milioni di pensionati, con un costo di oltre 2 miliardi l’anno. Poi, la salvaguardia degli esodati, ormai estesa a molti “over 55” senza lavoro e quindi ben oltre la “categoria” in senso stretto, è arrivata a coprire quasi 200 mila persone in 5 anni, al costo di 11,4 miliardi, cioè il 13% degli 88 miliardi di risparmi attesi fino al 2021. Inoltre, indicando solo il requisito degli anni di contributi e non quelli anagrafici, nell’ultima legge di Stabilità il part time lavoro-pensione per le donne è stato esteso alla platea più ampia possibile. Infine, se si osservano i dati Inps sull’età effettiva di pensionamento si scopre che, nonostante la riforma Fornero, gli assegni anticipati di anzianità sono più di quelli di vecchiaia, con un’età media di 60,6 anni, mentre era 59,1 nel 2010. Una differenza non certo paragonabile alla progressione delle attese di vita e agli obiettivi della stessa legge.

Come ci ha ricordato Boeri, la coperta è corta, e ci impone di fare una scelta: tutelare oggi chi comunque una pensione è sicuro di averla, ancorché più bassa di quelle precedenti, o pensare al futuro, evitando che tra un paio di decenni chi andrà in pensione non abbia di che vivere? Io non dubbi. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.