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La fiducia sulla "buona scuola"

Meno scuola più “padrini”

Status e benessere in Italia non si raggiungono con l'istruzione ma attraverso scorciatoie

di Riccardo Cappello - 01 luglio 2015

È scandaloso che in tempi così convulsi il parlamento perda tempo e metta pure la fiducia sulla “buona scuola”. La quale non serve a nulla ed a nessuno ma serve solo a garantire uno stipendio a chi ci lavora dentro. Stolti. Invece di perdere tempo sui libri affiliatevi o cercate un padrino. infatti lavoro e carriere sono merce che si comprano e si vendono al mercato della politica. Basta guardarsi intorno per capire che in Italia non esistono canali oggettivi ed autonomi di accesso agli incarichi. Meglio, quindi, “buttarsi in politica” e portare la borsa a qualcuno sposando le idee di chi è insediato al vertice. La fuga dalla scuola è la risposta alla domanda di che senso abbia andare a scuola se una maggiore istruzione non garantisce nulla perché  altri sono i percorsi di costruzione dello status e del benessere sociale. I titoli hanno valore solo se si ha un tavolo su cui spenderli. Se la scuola fosse “buona” sfornerebbe disoccupati molto preparati e, per questo, ancor più frustrati. In un Paese serio la scuola e l’istruzione sarebbero le uniche vie  per combattere la “lotteria genetica e i privilegi dei ceti protetti” ma in Italia a selezionare i migliori sono, sempre più spesso, i peggiori. E la cosa sconvolgente è che tutte le parti politiche sono trasversalmente d’accordo nel penalizzare la meritocrazia per mantenere la discrezionalità politica: chi ottiene il maggior consenso nelle tornate elettorali si porta dietro i suoi. A ptescindere… Gli “eletti” devono soddisfare le esigenze di chi li ha sostenuti per cui si trascinano dietro famiglia e famigli provocando il progressivo azzeramento di un’intera classe dirigente per favorire le catene di connivenza indispensabili per l’acquisizione del consenso. Il problema non è la qualità delle persone chiamate a ricoprire incarichi di vertice ma l’affidabilità e la capacità di strisciare per non inciampare. Così, Lapo Pistelli, come ha raccontato lui stesso, dopo una chiacchierata accoglieva l’invito dell’amministratore delegato dell’Eni, passando dalla politica alla vice presidente della più grande azienda pubblica del Paese. Tutti contenti dal presidente del consiglio, che di Pistelli era stato portaborse, a quello della repubblica senza che nessuno si sia domandato che ci fa uno abituato a raccattare voti ai vertici di un’azienda che vale più di tre ministeri. Ma, con i vertici dell’Ente sotto inchiesta, Pistelli non ha conquistato una prestigiosa poltrona ma una pole position dalla quale spiccare, il volo verso il vertice. Ma i sindacati, complici, non spendono una parola di fronte a questo sconcio, ma si battono per una scuola… senza sbocchi lavorativi.

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