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  • 20150426 - Giustizia da riformare

Le dichiarazioni di Padoan

Giustizia da riformare

Le riforme strutturali, giustizia compresa, valgono tre punti di pil

di Enrico Cisnetto - 26 aprile 2015

Speriamo non restino parole al vento. Il ministro Padoan, cui non manca certo la prudenza, ha sostenuto che dalle riforme strutturali l’Italia può guadagnare tre punti di pil, a patto però che tra queste ci sia la riforma della giustizia. Magari fosse, perché troppo a lungo proprio la giustizia è stata affrontata solo con logica emergenziale e mediatica, tralasciando quella revisione complessiva che l’avere il peggior sistema giudiziario del mondo industrializzato rende indispensabile, affinché le imprese possano operare in un quadro di certezze e con un minimo di serenità e la nostra economia, quindi, possa ripartire.  

Gli ultimi episodi confermano l’urgenza di un intervento drastico, non del solito facile scandalismo. L’allungamento dei tempi di prescrizione appena approvato, come dimostra l’esperienza, non offre alcuna garanzia che il presunto colpevole possa essere condannato più facilmente, e, soprattutto, aggrava la lentezza già biblica dei tempi dei processi. E’ ragionevole estendere procedimenti che durano mediamente 7 anni nel penale e 4 nel civile e in cui, per esempio, per recuperare un credito ci vuole il triplo del tempo che in Francia o Germania? Anche l’inasprimento delle pene, compresa la previsione del reato di falso in bilancio per le piccole e medie imprese, rientra tra i provvedimenti adottati in funzione propagandistica che alla fine peggiorano solo le cose. Primo, perché sotto il cappello della lotta alla corruzione, viene introdotto un ennesimo adempimento di “bilancio” all’attività imprenditoriale, come se non ce ne fossero già abbastanza. Secondo, perché si continuano a creare nuovi reati quando la deterrenza della sanzione dipende dalla certezza della pena e non dalla sua entità. Terzo, perché più si alzano le pene, più cresce l’arretrato e meno la giustizia funziona. E quello italiano è un arretrato che fa paura, e nel civile pesa come un macigno sulle nostre imprese: sei milioni di processi che costano 96 miliardi di mancata ricchezza. Nessun imprenditore onesto resiste con facilità ad un sistema in cui ci vogliono 1000 giorni per avviare il primo grado di una causa civile, di media 10 anni per i fallimenti e 9 per la giustizia tributaria. Mentre nel caos i lestofanti hanno vita facile e guadagni assicurati. Secondo Confindustria smaltire questa enorme mole frutterebbe il 4,9% del pil. Sia la Banca Mondiale che Bankitalia, poi, stimano che i ritardi della giustizia civile pesino per l’1% del pil (circa 15 miliardi) ogni anno. Inoltre, lentezza dei processi, incertezza normativa, gogne mediatiche, frammentazione e sovrapposizione degli uffici giudiziari, costo dei processi per le imprese (intorno al 30% del valore della causa), uso spregiudicato della carcerazione preventiva e della custodia cautelare (lo è il 42% dei detenuti), allontanano gli investitori stranieri dall’Italia. Casi come quello dell’Ilva sono esiziali.

Allora, suona come un sonoro schiaffo alla cattiva giustizia la rinuncia della prescrizione da parte di Marco Tronchetti Provera. Dopo la condanna in primo grado per ricettazione – il reato sarebbe aver ricevuto un cd da un suo collaboratore… – il manager Pirelli avrebbe potuto usufruire della prescrizione ma, poiché crede nella sua innocenza, sfida la lentezza dei tribunali. Ecco, è possibile che un cittadino, per affermare la propria innocenza, debba rinunciare ai propri diritti? (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.