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Medioriente: dopo le vignette peggiora la situazione

Prossimi a un punto di collisione

La discordia tra Usa ed Europa e l’indolenza di Cina e Russia facilita l’integralismo

di Antonio Picasso - 09 febbraio 2006

Sul filo del rasoio. Così potrebbe essere descritta, sinteticamente e con preoccupazione, la situazione internazionale del momento. Perché l’Iran si dimostra essere, ogni giorno di più, sordo alle pressioni internazionali per la revisione della propria corsa al nucleare. E il Medio oriente, a sua volta, è attraversato da movimenti di protesta e instabilità, dovuti alla inattesa vittoria di Hamas alle elezioni palestinesi e alla diffusione delle vignette danesi che hanno messo in ridicolo il profeta Maometto.
Proteste che, si suppone, nascondono nell’ombra la strumentalizzazione del regime siriano. E che non si sono placate nemmeno di fronte all’esplicita disponibilità al dialogo da parte di Israele, il quale ha fatto sapere di voler ritirarsi anche da altri territori della Cisgiordania – facendo capire al mondo che quella di Ehud Olmert è sì una leadership ad interim, ma comunque intenzionata a proseguire il cammino di pace di Ariel Sharon – e poi anche da parte dell’Europa, la quale ha tentato, in ogni modo, di smorzare i toni per evitare che la situazione degenerasse. Il premier danese, Anders Fogh Rasmussen, infatti, ha presentato le sue scuse, anche se non ufficiali, alla comunità islamica di Copenaghen. Mentre il presidente francese, Jacques Chirac, ha giudicato inopportuna la scelta di alcuni settimanali d’oltralpe di pubblicare quelle offensive strisce satiriche. Insomma, la cautela europea non è bastata e non basta ancora per placare gli animi delle piazze musulmane.
Ma è anche vero che Washington non sembra voler seguire la linea della vecchia Europa. Perché l’amministrazione Bush, con Condoleezza Rice in testa, sta lentamente assumendo una posizione e un linguaggio sempre più rigidi e aggressivi nei confronti del governo di Teheran. Atteggiamento che suggerisce che un’operazione militare in Iran non sia davvero da escludere. Siamo tutti sul piede di guerra, allora?
Certo, gli analisti minimizzano dicendo che un intervento in Iran non sarebbe paragonabile all’invasione militare in Iraq del 2003. Tuttavia, sempre di attacco di tratterebbe. E sarebbe a dir poco infantile pensare che Teheran non sia disposta a reagire. I precedenti in merito ci sono, per poter prevedere che, se così fosse, l’Occidente assaporerebbe amaramente il peso delle proprie scelte. Nell’aprile 1986, per esempio, in piena crisi Usa-Libia, il regime di Gheddafi non si fece alcun problema a lanciare due missili verso Lampedusa. Fu un avvertimento, al quale seguì un’immediata rappresaglia da parte dell’amministrazione di Ronald Reagan. Un incidente simile si può ripetere e, in questo caso, le ripercussioni sarebbero certamente maggiori.
Oggi, infatti, gli attori in campo sono tanti e purtroppo non uniti, soprattutto dalla parte occidentale, com’era negli anni della Guerra fredda. Stati Uniti ed Europa non riescono a trovare un effettivo punto di incontro tra le rispettive visioni. I primi dogmaticamente convinti della necessità di combattere il terrorismo, debellare l’integralismo islamico ed esportare la democrazia presso popoli che finora hanno vissuto sotto regimi dittatoriali. L’Europa, invece, priva di una linea di politica estera e di difesa comune, si trova sfilacciata tra le irrealizzabili aspirazioni francesi di essere ancora una potenza di medio livello, capace di fare sentire singolarmente la sua voce nel mondo, la pedissequa fedeltà britannica all’America e una linea, quella tedesca, comunque ancora in fase di definizione. I tentennamenti e le insicurezze italiane, in merito, non trovano alcuna eco oltre i confini nazionali.
Nel frattempo, Russia e Cina, dal canto loro, restano tranquillamente affacciate alla finestra del mondo. Le due superpotenze sembrano interessate all’evolversi degli eventi come lo sono gli spettatori a teatro nel seguire una pièce comodamente seduti in poltrona. Quando, invece, una mediazione per la risoluzione di questa catena di contenziosi porterebbe benefici a tutta la comunità internazionale e ammanterebbe i governi di Mosca e Pechino di un’aura di prestigio, quali nuovi pacificatori. Di questa fluidità globale, allora, ne approfitta il fanatismo islamico. Con due Paesi, Siria e Iran, di cui ormai si è capita la linea politica assunta, e altri attori da Al Qaeda alle tante organizzazioni paraterroristiche palestinesi – realtà differenti tra loro, ma che l’Occidente ha erroneamente accostato – dalle quali ci si può aspettare di tutto.

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