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Dopo la sentenza della Consulta

Non ci resta che il voto (purtroppo)

Questo Parlamento è politicamente delegittimato. Non c'è crisi economica che tenga. Bisogna andare a elezioni

di Enrico Cisnetto - 08 dicembre 2013

Non c’è crisi economica che tenga, la legislatura è finita e bisogna andare alle elezioni. Inutile girarci intorno, osservare che formalmente il Parlamento non è delegittimato (vero) e sostenere che l’autonomia della politica è salva (falso), ma è del tutto evidente che la decisione della Corte Costituzionale di cancellare con un tratto di penna – politicamente salutare, semmai tardivo e per questo discutibile – la legge elettorale vigente segna nei fatti la fine di questo mandato parlamentare. Come sarebbe accaduto se la politica avesse fatto motu proprio una nuova legge elettorale: qualsiasi Parlamento del mondo di fronte alla scelta di un sistema di conteggio dei voti diverso da quello che è stato usato per formarlo, si scioglie. In questo caso, a maggior ragione, visto che a cancellare la legge elettorale è intervenuta una magistratura. E poco importa se, come sembra – ma bisognerà attendere la sentenza per capirlo meglio – la censura costituzionale non è retroattiva ma s’intende applicabile al futuro. Deputati e senatori saranno anche “non delegittimati” sul piano giuridico, ma lo sono sul piano politico. E se la politica vuole tentare di recuperare un minimo di decenza e credibilità non può che fare due cose: votare una legge elettorale che sani la cesura e le restituisca il diritto di decidere su una materia così decisiva, e poi chiamare gli italiani alle urne.

Ora, i lettori affezionati di questa rubrica sanno bene che io ho sempre considerato la crisi economica l’emergenza numero uno dell’Italia, e che in questi ultimi tempi in cui si sono moltiplicate le manifestazioni di ottimismo – della serie “si vede la luce in fondo al tunnel, la ripresa è ormai in atto” – ho predicato prudenza, scettico come sono che si possa uscire dalla più lunga e grave recessione degli ultimi cento anni senza aver messo mano ai tanti nodi strutturali che hanno avviato il nostro sistema economico e produttivo al declino e alla marginalità nell’ambito della competizione globale. E sanno pure che tanto con Monti quanto con Letta mi sono montanellianamente turato il naso di fronte a governi deludenti e in qualche caso pure perniciosi – ma politicamente e istituzionalmente indispensabili, così come indispensabile è la formula delle “larghe intese” – nella convinzione che il deflagrare della crisi politica e l’anticipo delle elezioni sarebbero state il peggiore dei mali.

Non ho cambiato idea: siamo ancora in recessione e se nel 2014 ne usciremo sarà per entrare in una fase di stagnazione, con il pil che crescerà non oltre lo “zero virgola”; la crisi industriale ci consegna un capitalismo debilitato e terra di conquista, l’export tiene ma non è in grado di coprire il buco creato dal crollo della domanda interna; i nodi di sempre (debito pubblico, produttività e competitività, burocrazia, giustizia, welfare) sono ancora tutti da sciogliere. Ma so anche che in una democrazia occidentale o è la politica a dare risposte ai problemi, o non potrà darle nessuno.

Dunque salvaguardare la centralità della politica, come premessa per risolvere la crisi economica, viene prima di ogni altra cosa. Ecco perché, mio malgrado e sapendo quanti rischi si corrono, sono per voltar pagina. Così mi allineo a Grillo, Berlusconi e Renzi? Ma è proprio per evitare che si saldi un asse populista che bisogna che la Politica (con la maiuscola) si riappropri della credibilità e legittimità perduta. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.