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I cattivi maestri

La Deutsche Bank è messa peggio delle nostre banche

Per il Financial Times c'è un buco di 12 miliardi. L'istituto si difende: conti in ordine. Ma nessuno, in Europa, controlla.

di Davide Giacalone - 05 aprile 2013

L’Europa latina, sentina di tutti i mali e rifugio di tutti i malandrini, contrapposta all’Europa germanica, teca di tutte le virtù e domicilio di tutti i rigoristi? S’i’ fosse capo (del governo), con licenza di Cecco Angiolieri, non mi diletterei a tagliar teste in tondo, ma, con spirito d’amicizia e fratellanza europea direi ai tedeschi che questa storia della Deutsche Bank potrebbe anche non essere vera, ma resta molto significativa. Imprescindibile. Non solo puzza da lontano, ma racconta molte cose interessanti, circa la Germania. E siccome sono e resto un europeista, assolutamente certo che l’Europa non si fa senza la Francia, o la Germania, o l’Italia, rammenterei agli amici tedeschi che ogni volta che uno di questi paesi ha pensato di farla fregando gli altri s’è poi fregato con le proprie mani. Sicché, s’i’ fosse capo, non perderei l’occasione per dimostrare che i tedeschi ci hanno provato. E vanno fermati.

Ho molte volte sostenuto che le banche italiane sono sottocapitalizzate. Confermo, ma Deutsche Bank è messa peggio. Vedo che in giro non c’è gran voglia di dirlo, temendo la reazione del colosso, ma da quelle parti urge un aumento di capitale, altrimenti il gigante sbriciola le gambine sulle quali deambula. Non perdiamo occasione per criticare il modo in cui la politica, per il tramite delle Fondazioni, mantiene la presa sulle nostre banche. Confermo, ma le Landesbank sono messe peggio, perché non solo sono dominate dai potentati locali, non solo vengono utilizzate per fare politica, dirigendo il credito là dove porta l’interesse, ma sono meno trasparenti del Monte dei Paschi di Siena. Adesso non so se è vero che la DB ha fatto sparire dal suo bilancio 12 miliardi di dollari di perdite, realizzate grazie a speculazioni su titoli derivati, ma so per certo che la risposta data al Financial Times fa morire dal ridere: ha già indagato un noto studio legale, dimostrando l’infondatezza delle accuse. Quel fregnone di Giuseppe Mussari non ci aveva pensato: già mio cugino ha svolto indagini accurate, dimostrando la sana amministrazione della banca. Altro che indagini di un avvocato: dal bilancio di quella banca manca qualche cosa di simile a 50 miliardi, a valere sul 2012.

No, le indagini non deve farle la Bundesbank, la banca centrale tedesca, perché una roba di questo tipo ha rilievo sistemico e continentale, quindi, se si ha a cuore lo spazio della moneta comune, dovrebbero fare capo alla Banca centrale europea (anche perché le norme sugli accantonamenti, stabilite dalla Banca d’Italia, sono assai più serie di quelle tedesche). E no, nel far partire la vigilanza europea, indispensabile per avere un sistama bancario europeo, senza il quale non regge un’area monetaria comune, non è possibile che le Landesbank restino immuni a quei controlli. Angela Merkel vorrebbe così, ma non si può concederlo. Né ai tedeschi né a nessun altro.

Se quelle perdite ci fossero state saremmo difronte ad un falso in bilancio, con danno di credibilità e affidabilità della banca. Non sarebbe la prima volta che capita, non è bello, ma neanche un dramma, purché autorità indipendenti riportino l’ordine e l’equilibrio. Poi si devono ripianare le perdite. Il punto è questo: DB avrebbe nascosto tutto per non dovere umiliarsi alla richiesta di aiuti statali, ora, però, secondo la dottrina germanica, fatta valere per Cipro, le banche non devono più essere salvate dagli stati, bensì dalle proprietà, dagli obbligazionisti e financo dai correntisti. Che effetto credete che faccia sapere che i soldi depositati presso DB sono a rischio?

A tal proposito: fin qui le banche tedesche hanno raccolto capitali pagando un tasso inferiore agli altri, o pagando niente, essendo questo il prodotto di un sistema nel quale si è fatto credere che altrove i soldi avrebbero corso maggiori rischi. Se ora si scopre che ciò era frutto di un falso, è bastevole chiederne conto a una banca, o non coinvolge due o tre anni d’indebiti vantaggi in capo a un Paese? E se il buco va ripianato dagli azionisti, fra quelli c’è lo Stato tedesco. E qui va ricordato che se non ci si attaccasse ad un artificio contabile, sommando al debito pubblico tedesco anche quello della KfW (Kreditanstait fuer Wiederaufbau, la loro Cassa depositi e prestiti), il rapporto con il pil andrebbe al 110%. Non solo molto vicino al nostro, ma con un debito aggregato (pubblico e privato) superiore al nostro e meno garantito dal patrimonio. Va a finire che i tedeschi siamo noi.

Ma non lo siamo. Per due ragioni. La prima è che loro (non la Merkel, ma Gerhard Schroeder) le riforme strutturali, anche del mercato del lavoro, destinate al rilancio della produttività le hanno fatte, tagliando anche spesa pubblica. La seconda è che la loro classe politica magari sbaglia (e sbaglia), ma difende gli interessi nazionali, mentre noi palleggiamo a centro campo e magari sbottiamo nel definire volgarmente la signora cancelliere. Non lo siamo per colpa della nostra classe dirigente. Non per i numeri, però. Quindi, s’i’ fosse capo, coglierei al volo l’occasione. A capo, invece, c’è uno che si vantava d’essere il più tedesco degli economisti italiani.

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