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Public Policy

Troppi protagonisti improvvisati alla ribalta

L’Italia nel pallone

Il prezzo della politica personalizzata

di Elio Di Caprio - 13 maggio 2011

Qualcuno probabilmente si turerà il naso prima di votare e scegliere chi debba rappresentarlo nella prossima tornata elettorale amministrativa che si svolgerà ancorata al solito tema del berlusconismo e della mancanza di alternative. Ma non sarà come le altre volte: è aumentato il senso di stanchezza collettiva per un gioco al massacro mediatico sempre più avvilente che è destinato a non fermarsi nei prossimi due anni di fine legislatura e si associa alla consapevolezza che, al di là delle parole, delle litanie di schieramento, delle insofferenze strumentalizzate, non c’è più un euro in cassa per fare riforme che siano veramente tali o per opere pubbliche che vadano oltre la fase dell’annuncio. Il declino economico testimoniato dalle cifre del PIL e della disoccupazione non dovrebbe essere un argomento da salotto, eppure anche su questi dati ci si schiera su fronti contrapposti.

Ecco quindi che la comunicazione non serve più a convincere – cosa ben difficile quando l’incoerenza e le contraddizioni di maggioranza ed opposizione, dalla Libia al tema giustizia, sono così evidenti da sbalordire anche la parte meno smaliziata dell’elettorato- ma solo a distrarre l’opinione pubblica che non fa in tempo a memorizzare un avvenimento o una dichiarazione e subito ne arriva un’altra spiazzante, magari uguale e contraria, talvolta inutile e strumentale su temi che si sa in anticipo non avranno mai seguito. A questo punto si può parlare a ruota libera di tutto, dai patrimoni da tassare alla riduzione delle tasse per tutti, dal ponte sullo Stretto al nucleare, dalla meritocrazia alla fine del precariato.

Nella continua recita a soggetto dei tanti personaggi che pensano di fare notizia dicendo e contraddicendosi continuamente – esemplare è quanto avvenuto a proposito delle nostre posizioni sulla Libia- non c’è una strategia precisa di comunicazione a meno che non sia quella falsamente movimentista di dimostrare che una maggioranza c’è anche se confusa o che un’opposizione c’è anche se divisa, incapace finora di sfidare gli annunci degli avversari con programmi alternativi.

La bolla dell’ Italia ( politica) non scoppia mai o non ancora perché ci stanno dentro a loro agio un po’ tutti. C’è spazio per il protagonismo improvvisato dei tanti “cani sciolti” che trasmigrano per convenienza da un gruppo all’altro, talvolta con biglietto di andata e ritorno, per i tanti giornalisti d’assalto che anticipano e interpretano più del dovuto i loro politici di riferimento, c’è spazio per le innocue narrazioni astratte alla Niki Vendola come per le intemerate di Antonio Di Pietro che, fosse per lui, abolirebbe guerra, tasse e nucleare tutti insieme.

Ma il protagonista per eccellenza, il dominus mediatico a cui tutti si accodano resta comunque il Premier, l’ex principale esponente dell’opposizione a Prodi che Veltroni aveva promesso di non più menzionare e che ora più di prima è il leader italiano più citato (sia pure in maniera più critica che elogiativa) dai mass media di mezzo mondo. E’ sempre lui il leader di una repubblica presidenziale a metà, eletto dal popolo e inviso ai magistrati, che può recitare la parte che vuole: prima disprezza la carta stampata che “nemmeno legge” e poi sguinzaglia il giornale di famiglia per stanare avversari interni e esterni, accusa i parlamentari di essere troppi, inutili e perditempo e in via eccezionale ne sceglie alcuni per farli “responsabili” del suo sistema di potere.

Le parole prevalgono sui fatti, è vero, e non potrebbe essere altrimenti in tempi di campagna elettorale permanente. Ma come non scorgere un’irridente noncuranza per il senso critico di tutti noi, del “parco buoi” bombardato da valanghe di messaggi inutili e contraddittori? E’ questo il frutto avvelenato della personalizzazione della politica portata all’estremo e accentuata da una legge elettorale che nata per creare due fronti contrapposti senza incrinature interne non ha neppure premiato la fedeltà dei nominati a chi li ha nominati (con la Lega in solitaria eccezione) a tal punto che il governo dei nemici immaginari è stato costretto per sopravvivere ad andare a scovare i tanti amici immaginari del fronte opposto che hanno cambiato bandiera e partito.

In un quadro siffatto, a dir poco scomposto e arruffato anche la nota del Capo dello Stato che invita ad una verifica formale della maggioranza di governo recentemente “trasformata” dalla campagna acquisti dei parlamentari assume un aspetto ambiguo, appare doverosa per rimontare l’ evidente discredito della classe politica e insieme tardiva ed impropria rispetto ad altri interventi d’allarme che lui e i suoi predecessori, da Scalfaro a Ciampi, avrebbero potuto esercitare molto prima in momenti più critici quando il sistema si stava avviando per chiari segni verso una deriva falsamente plebiscitaria vanificando così i contrappesi previsti in Costituzione.

In un’Italia (politica) ancora nel pallone e con tanti inutili protagonisti del giorno prima o del giorno dopo, il monito di Giorgio Napolitano va quanto meno apprezzato come una presa di distanza dagli spettacoli indecenti di una casta politica che ha perso ritegno e pudore come se costituisse un mondo a parte mai obbligato a rendicontare. Ma il cauto interventismo del Capo dello Stato non basta più a tappare tutti i buchi di credibilità nei comportamenti pubblici che continuamente vengono alla luce.

Se Giorgio Napolitano andasse avanti e dichiarasse una volta per tutte che questa legge elettorale che ha determinato a valle i tanti sconci di cui lui e noi siamo spettatori va cambiata, siamo sicuri che riscontrerebbe il consenso trasversale di tutto il Paese.

Lo farà? Non è stato molto peggio che per impedire il voto di scambio si sia approvata una legge elettorale come quella vigente che permette la nomina, lo scambio e il commercio degli eletti?

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