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L'odio e la politica

Il fattore "O"

C'è solo la strada dell'Assemblea Costituente

di Angelo Romano - 09 aprile 2013

Dal dopoguerra ad oggi l’Italia è stata pervasa, mortificata, incapacitata da un costante rumore di fondo: l’odio civile. Una sorta di “fattore O” che, da allora, accompagna e condiziona il Paese.
Nel primo dopoguerra e fino agli anni novanta del ‘900 il “fattore O” si è nutrito di antifascismo, di mitizzazione della guerra civile alimentando la ghettizzazione di alcune forze parlamentari, l’ostracizzazione ad ogni livello di chi non osannava alla Resistenza ed ai suoi valori, nutrendo il principio di esclusione per pregiudizio ideologico fondandolo sulla presunta – e mai dimostrata - supremazia morale di una parte, quella dei vincitori, su tutte le altre. Senza mai un momento di conciliazione nazionale, di “pietas”, di riconoscimento dell’onore delle armi per il nemico.
Sempre il “fattore O”, scatenato da giudici strabici, ha determinato la fine della Prima Repubblica scaricando su pochi le indubbie colpe di tutti, ostracizzando i reprobi con i lanci di monetine, le manette facili, le vessazioni in carcere e gli esili forzosi.
Con l’avvento della mai nata Seconda Repubblica, il “fattore O” ha trovato il modo di sostanziarsi nell’antiberlusconismo, nella lotta ai presunti populismi, nella delegittimazione del voto di milioni di cittadini, bollati come acefali e teledipendenti, per il solo fatto di avere osato dare consenso all’odiato nemico.

Quello che si è scatenato, in un ventennio, contro il Cavaliere non ha precedenti nella storia di un paese democratico. Usata dagli avversari politici o dalla magistratura, l’arma è stata sempre la stessa: il “fattore O”. Persino la fase di paralisi seguita alle ultime elezioni è figlia dello stesso “fattore”.
Bersani e i suoi turchi, che di freschezza giovanile hanno ben poco, sono restati intrappolati nello stesso odio che hanno seminato a piene mani, fino a restare paralizzati, come statue di sale, alla sola ipotesi di venire a patti con l’odiato nemico, sia pure transitoriamente e nel supremo interesse dell’Italia.
Si sono spinti addirittura, sconfortati e incarogniti dal voto degli italiani che non li hanno premiati, a teorizzare la terminazione dell’avversario attraverso una dichiarazione di inelegibilità, una condanna che ne prevedesse l’interdizione dai pubblici uffici, uno stritolamento ope legis del suo impero.
Ma così non si va da nessuna parte se non nel baratro della regressione sociale, civile ed economica. L’odio deve nutrirsi di nemici da abbattere e, a ben guardare, è figlio di una concezione sbagliata della politica che è quella di considerarla come la guerra in tempo di pace.
Ricordate la “gioiosa macchina da guerra”?
Questa concezione legittima, in caso di vittoria, l’occupazione militare, il bottino, lo stupro, la persecuzione e l’ostracizzazione del nemico, l’epurazione, la pulizia etnica, la voglia di punire e perseguire, il sogno del genocidio, come legittima il terrorismo, anche solo psicologico, in caso di sconfitta. E ben lo sanno i tanti italiani vittime incolpevoli di epurazione ideologica.

Le tante malversazioni, corruzioni, ruberie, gli illeciti zavorramenti degli apparati pubblici, le interpretazioni parziali delle leggi, l’uso politico della giustizia, la protezione ad oltranza dei tanti Don Rodrigo e dei loro bravi, posti a presidio militare dei territori, non sono altro che la conseguenza della pratica attuazione di quella concezione sbagliata e manichea della politica che altro non è che perversione del potere, delirio di onnipotenza alimentato dall’idea messianica e fasulla che il bene e la verità stanno tutti da una sola parte.
Ma la politica è altro dalla guerra in tempo di pace. E’ collaborazione, nel limite delle differenze, per il bene comune, è servizio alla nazione, è capacità di dare un orizzonte condiviso alla comunità rappresentata, è lungimiranza per far sì che il futuro non sia una tegola che si abbatte sul popolo, ma un passo avanti verso l’orizzonte che quel popolo si è liberamente dato. E non c’è differenza, per quanto profonda, che non possa trovare un contemperamento nella salvaguardia dell’interesse generale.
C’è un enorme problema di cultura politica in Italia che riguarda ormai tutte le forze politiche, a prescindere da chi abbia per primo gettato il sasso per scatenare la guerra. Siamo nella barbarie più profonda e per uscirne occorre rinascere. Rinascere nello spirito civile, nella cultura, nelle istituzioni e nelle leggi.
Occorre rifondare un patto sociale ormai logoro e tanto sbrindellato da non avere più né trama né ordito.
Occorre rifondare un Stato ormai diventato un Moloch onnivoro e senza controllo, nemico anch’esso.
Occorre rifondare istituzioni ormai logore e senza credibilità alcuna.
Esiste una sola strada per farlo davvero: la Costituente.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.