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Rapporto Istat: il confronto con partner Ue

Il circolo vizioso del sistema Italia

Apparati produttivi che non riescono a far fronte al dinamismo delle singole economie

di Enrico Cisnetto - 29 maggio 2006

Un caso unico a livello europeo. Nell’ultimo rapporto Istat, la situazione dell’Italia misurata tramite gli indicatori strutturali ci racconta una storia un po’ diversa da quella che dicono i dati congiunturali positivi di questi ultimi tempi. L’Istat ci fa sapere che il pil pro capite italiano del 2005, misurato in standard di potere di acquisto, pur essendo in linea con l’area euro, si è però ridotto rispetto di quasi 10 punti rispetto alla media Ue. Allo stesso modo, la produttività del lavoro è passata dal 121,2 al 108,8 del valore medio dell’Europa, mentre il costo del lavoro è aumentato in Italia dello 0,4%, in controtendenza con l’Uem dove è diminuito del 2,1%. Basta dunque confrontare i nostri dati con quelli degli altri paesi europei per capire che la crisi economica italiana è molto diversa da quella che hanno affrontato Germania, Francia e Spagna. Nel caso tedesco, l’apparato produttivo riesce a far fronte con equilibrio alla domanda di consumo. Se quest’ultima cresce, infatti, la produzione nazionale aumenta in modo corrispondente. Le esportazioni crescono più delle importazioni, e la bilancia dei pagamenti risulta in equilibrio. Nei casi francese e spagnolo, invece, i problemi sono più simili ai nostri, ma è una vocazione che fa la differenza. Sia in Francia, che in Spagna e in Italia, la bilancia dei pagamenti è squilibrata: le importazioni, cioè, crescono più delle esportazioni. E questo fattore deprime progressivamente il pil. Si tratta, perciò, di apparati produttivi che non riescono a far fronte al dinamismo dei rispettivi sistemi economici. Ma i casi nazionali sono però diversi soprattutto per quel che riguarda la composizione della domanda. Mentre per Spagna e Francia la maggiore domanda deriva dai più consistenti investimenti (sia fissi che in immobili), in Italia questi ultimi continuano ad essere in stagnazione da anni. La nostra domanda interna è perciò sostenuta prevalentemente dai consumi delle famiglie e da quelli pubblici. Ne deriva, contrariamente a quanto sostengono la sinistra radicale e la destra ignorante, che non basta un aumento dei salari per rimettere in moto la macchina. Se non si irrobustisce l’apparato produttivo, il loro aumento genera solo crescita delle importazioni: è come mettere benzina in un serbatoio bucato.
Anche il deterioramento delle finanze pubbliche in tutta l’Ue, in Italia è più che peggiorato: il rapporto deficit-pil per il 2005 in Europa è al 2,5%. In Italia è al 3,4%, e proprio ieri D’Alema ci ha fatto sapere che per il 2006 il governo si aspetta che arrivi al 4,6%. Stessa cosa per il rapporto debito-pil: leggermente cresciuto nell’Uem, molto cresciuto in Italia. Rispetto alla media europea, quello italiano è ora più alto di ben 35,6 punti. Ma anche qui, sono le debolezze dell’economia reale a deprimere le entrate e peggiorare i coefficienti. Si potrebbero tagliare di molto le spese, ma se si facesse solo questo, si finirebbe per deprimere ulteriormente l’economia. Quello dell’Italia, quindi, è un vero e proprio circolo vizioso. Che può essere spezzato rispettando un solo imperativo: crescere, crescere, crescere. Per farlo, come ha ricordato Montezemolo giovedì, bisogna superare quel deficit decisionale che paralizza da sempre i governi. Spero che Prodi stesse ascoltando.

Pubblicato sul Messaggero del 28 maggio 2006

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