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Eurocrisi

Guai se Berlusconi fa Grillo

Il Cavaliere non covrebbe sfruttare la crisi economica che affligge sia l'Italia che l'Europa per fini elettorali

di Enrico Cisnetto - 22 giugno 2012

Recidivo. Il cavalier Berlusconi, cui piace scherzare con il fuoco dimenticandosi che spesso ci si brucia, è già la seconda volta che attacca l’euro. Capisco che si voglia ricandidare – come in questa sede è sempre stato pronosticato – o comunque ritornare al centro del ring politico, e che per riuscirci voglia imitare Beppe Grillo, ma finché per farlo usa il presidenzialismo non succede nulla, mentre se decide di proporre l’uscita dell’Italia dall’euro, è come se si accendesse una sigaretta maneggiando nitroglicerina. Lo diciamo, nonostante siamo stati accusati di euroscetticismo (nel migliore dei casi) e di essere eurodisfattisti (nel peggiore) per aver denunciato che la moneta unica nasceva con un difetto genetico – la mancanza di un governo federale che rappresentasse tutti gli europei e non fosse la sintesi (quando si riesce a farla) degli interessi degli stati nazionali – che l’avrebbe portata inevitabilmente alla morte se a quella tara non fosse stato messo rimedio. Figuriamoci, quindi, se la nostra può essere una difesa acritica dell’euro. Ma così come abbiamo sempre detto che le riserve dovevano cadere una volta preso atto che l’euro sarebbe comunque nato e che l’Italia doveva fare qualunque cosa pur di entrare nell’eurosistema, così ora diciamo che la nostra uscita – voluta o subita che sia – sarebbe un’immane tragedia. E che a furia di evocarle, le tragedie, si materializzano. Dunque, egregio Cavaliere, lasci stare, che è cosa troppo delicata per farne oggetto di speculazione elettorale (peraltro prematura). L’Europa sta rischiando la disintegrazione, e noi con essa, e non è proprio il caso di alimentare la convinzione che senza euro saremmo stati meglio ieri e staremmo meglio domani. Detto questo, e assodato che l’idea di tornare ad una “moneta debole” che si svaluti progressivamente è propria di chi non ha idee, è altrettanto chiaro che l’euro così come è conciato non regge più. Per esempio, secondo il professor Luigi Campiglio, pro-rettore della Cattolica di Milano, per i mercati l’Europa come soggetto monetario ha già smesso di esistere tanto che l’euro sta diventando una “non moneta”, e con differenziali di spread così alti non potrà comunque reggere a lungo. È una tesi comprensibile, e condivisibile, anche se rischia di escludere ogni possibilità di recupero. Noi pensiamo, invece, che se la Bce riuscisse nel suo intento – davvero meritorio – di difendere l’esistenza stessa della moneta comune ancor prima del suo valore e di acquisire il potere di supervisione dell’intero sistema bancario continentale, e se i governi fossero capaci di stabilire una road-map di una progressiva integrazione, attraverso cui arrivare ad un bilancio federale (che sostituisca una parte di quelli statali, senza aggiungersi ad essi) e alla creazione di un debito pubblico federale che assorba la parte eccedente il 60% rispetto al pil di quelli nazionali, allora le sorti dell’eurosistema potrebbero cambiare di segno. Ma dobbiamo partire dal presupposto che questi obiettivi sono difficili da raggiungere – perché è alta la probabilità che paesi come Germania, Olanda e Austria si rifiutino di accettare queste riforme – e che di conseguenza ci sia, volenti o nolenti, uno show-down. Con la complicità di Hollande si può tentare di forzare i tedeschi ad uscire loro dall’euro, costringendolo ad indossare i panni di una “minoranza dissidente” anziché pretendere che lo facciamo noi e gli spagnoli (oltre a greci e portoghesi), adducendo il fatto che è illogica l’idea della secessione di una vasta maggioranza di paesi. Ma dobbiamo sapere che non sarà facile indurre Berlino a rinunciare a 700 miliardi di crediti cosiddetti Target2, specie se associata ad una rivalutazione del neo-marco del 25-30%. Non è escluso che insista in un cieco masochismo, come pensa il direttore di Die Zeit, Joffe. Ma non possiamo contarci più di tanto, sempre immaginando lo scenario più negativo in cui i cocci dell’eurozona non si possano più rimettere insieme. E allora, ecco che il ritorno alla lira – subito e non voluto, tantomeno evocato – potrebbe essere una necessità. Dotarsi di un “piano d’emergenza” in caso si sia costretti all’evacuazione dall’euro, è cosa saggia. Credere di poterne uscire senza pagare dazio, e magari auspicarlo apertamente, è da irresponsabili. L’Italia è vicina al punto di rottura, traumatizzata com’è dall’emorragia recessiva che non si ferma e dalla depressione da paese allo sbando che pervade chiunque, da Bolzano a Trapani. I dati forniti ieri da Confcommercio – i consumi e redditi sono tornati indietro di 15 anni, siamo tutti più poveri – e le indicazioni drammatiche che vengono dal mercato immobiliare, ormai completamente bloccato tanto che si stimano in 750 mila le unità abitative ultimate o in via di costruzione che non hanno domanda, fotografano una situazione che va ben oltre la cifra del dibattito politico, tra le forze politiche, nel governo e sui media. È il caso di suonare la sirena d’emergenza.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.