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I nostri leader studino il rapporto Beffa

Francia, modello da imitare

Ipocrita bollare la mossa di De Villepin come protezionismo, piuttosto prendiamo esempio

di Enrico Cisnetto - 27 febbraio 2006

Beati i francesi. Loro, almeno, i “campioni nazionali strategici” da difendere ce l’hanno, e senza ipocrisie hanno deciso di sottrarli alle possibili scalate altrui, europei compresi. Noi, invece, discutiamo da anni sul nostro (presunto) tasso di liberalismo, e non ci siamo accorti che il declino ci ha decimato i grandi gruppi industriali e terziari, tanto che ormai rischia perfino di essere inutile alzare tardivamente barriere. La decisione di Parigi di avviare la fusione tra Gaz de France e Suez, realizzata per evitare un’opa ostile di Enel o di qualche altro player continentale, susciterà sicuramente la sdegnata reazione della folta pattuglia dei “liberali scolastici” nostrani, ma per quanto cinica possa apparire essa non è un banale gesto protezionistico, ma appartiene ad un preciso disegno di politica industriale. Allora, vediamo cosa stanno facendo i francesi e come possiamo copiarli.

Intanto, Parigi ha capito una cosa semplice ma da noi “politicamente scorretta”: che l’integrazione europea non esiste – nel senso che l’euro era una condizione necessaria ma non sufficiente – e che per realizzarla non basta la buona volontà unilaterale dei singoli paesi, ma occorre un governo europeo eletto direttamente dai cittadini che riduca a federali gli attuali stati. In mancanza, non continuare a perseguire gli interessi nazionali in nome di un’inesistente “interesse europeo”, è un errore esiziale e imperdonabile. Inoltre i francesi non hanno chiuso gli occhi di fronte al declino, tanto che per vincere la sfida della globalizzazione hanno deciso di riconvertire la loro economia. Come? Hanno chiamato il patron della Saint Gobain, Jean-Louis Beffa, e gli hanno chiesto un censimento sull’apparato produttivo transalpino, da cui ne è discesa una selezione di 67 “poli d’eccellenza” (di cui 15 internazionali) affidati al coordinamento di due agenzie nazionali, una per la ricerca e l’altra per l’innovazione industriale. Andandoci a curiosare dentro si scopre che i centri di competitività francesi realizzano sei obiettivi: scegliere su quali settori puntare; convertire chi opera nel manifatturiero non più competitivo (settori tradizionali); mettere in rete le imprese più piccole, in una logica che non è solo quella del distretto territoriale; tamponare l’emorragia delle delocalizzazioni; ridurre il gap tecnologico con i paesi più avanzati; allenarsi per vincere la corsa alla creazione di “campioni europei” che prima o poi Eurolandia dovrà pur indire. Altro che le nostre 124 agenzie per la promozione del territorio, figlie e madri del micidiale binomio localismo-nanismo.

Si dirà: grazie, ma in Francia è lo Stato che decide queste politiche. Vero, ma va pur detto che gli imprenditori francesi si sono ben guardati dal considerare statalista il progetto Beffa, mentre da noi per anni si è creduto all’idea che la politica industriale fosse sinonimo di dirigismo, finendo per chiedere ai governi di turno sostegni: meno tasse, minor costo del lavoro, più domanda interna. No, oggi il “fattore Asia” richiede un nuovo modello di specializzazione, senza il quale più flessibilità, più formazione, più infrastrutture e meno costi – pur importanti – finirebbero solo per procrastinare i tempi della decadenza. Ed è suicida (anche se comprensibile) la tendenza a difendere l’esistente, immaginando che dazi e guerre commerciali possano rimettere in riga i parametri della competizione mondiale.

Dunque, non ci resta che copiare i francesi. Berlusconi e Prodi smettano di lanciarsi insulti e studino il rapporto Beffa. C’è molto da imparare.

Pubblicato sul Messaggero del 26 febbraio 2006

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