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Accostare le due situazioni è solo demagogia

Francia e Italia, non c’è paragone

Da noi il numero di immigrati è più basso. Ma dobbiamo lavorare sul welfare

di Davide Giacalone - 10 novembre 2005

La Francia brucia ancora, anche se il coprifuoco ha dato i suoi effetti e le fiamme sono un po’ meno alte. L’osservazione di quel che accade è cosa utile ed istruttiva. La matrice religiosa, e segnatamente islamica, della sommossa era una bufala, lo avevo scritto. Da questo punto di vista, quindi, la politica adottata in passato dal ministro degli Interni, Sarkozy, fatta di dialogo ed aiuto, ai limiti del sacro laicismo francese, si è dimostrata efficace.

Qui in Italia il ministro Pisanu si è mosso nella stessa direzione, accompagnando la ferma repressione del crimine non meno che della predicazione d’odio con la mano tesa verso comunità d’immigrati (e non) che hanno tutto il diritto di praticare la loro religione. Bene.

La seconda questione è relativa all’alto tasso d’immigrati che popolano le periferie. A questo proposito qualcuno (Prodi) ha azzardato un parallelo fra Francia ed Italia, mostrando, all’evidenza, di parlare senza sapere. Ad animare la violenza di piazza, a Parigi e dintorni, sono state due diverse matrici, riconducibili agli “immigrati”. C’è una componente significativa di individui che gestiscono affari illeciti, dal commercio di droga ad altri tipi di racket. Gente che non s’è fatta scrupolo di ammazzare un signore che difendeva la propria auto dal rogo, ma che ha sottratto alle fiamme i propri Suv. A questa gente non garba affatto che il poliziotto di quartiere continui a gironzolare, e non piace che le forze dell’ordine possano effettuare delle perquisizioni a sorpresa e senza mandato. Per questa gente la morte accidentale di due ragazzi, che volevano nascondersi alla polizia, è stata la buona occasione per tentare di affermare un dominio territoriale.

Poi c’è la componente del disagio sociale, fortemente nutrita da “immigrati”, e lo metto, per la seconda volta, fra virgolette, perché è bene capirsi: si tratta in gran parte di persone nate e cresciute in Francia, non di disperati scesi dai barconi. Sono francesi, non hanno problemi d’integrazione, ma ne hanno di disoccupazione e di scarsa o assente copertura sociale. In questo la Francia sconta la vetustà ed inadeguatezza del proprio sistema interno, troppo protettivo (e costoso) con i garantiti, troppo poco attento a promuovere le opportunità e la mobilità sociale.

Su tutto questo s’è versato il cinismo della competizione politica, tutta interna alla maggioranza, con de Villepin e Sarkozy che hanno giocato a fare i galletti ed a posizionarsi per la corsa verso l’Eliseo.

Da noi le cose stanno in modo assi diverso. Il numero d’immigrati, da noi, è più basso. Si tratta prevalentemente di prime generazioni, il che significa che ci sono problemi d’integrazione, ma vuol dire anche che è gente venuta qui per lavorare, e, difatti, la percentuale di disoccupazione è bassissima. Le nostre periferie sono un problema perché all’anziano della porta accanto s’è sostituita una nutrita famiglia, con gusti, anche culinari, non simili ai nostri. Sono un problema perché le scuole elementari, dove oggi frequentano i bambini della seconda generazione, anche a causa dell’italica denatalità, vedono classi dove gli “italiani” stanno finendo in minoranza.

Ciò significa che abbiamo dei problemi, certamente. Non è saggio scaricarli sulle spalle dei più deboli, fornendo alla collettività un’immigrazione che è ricchezza e lasciando ai quartieri più popolari l’onere d’assorbirne il colpo. Ma significa anche che abbiamo problemi del tutto diversi da quelli francesi. Dagli errori dei cugini d’oltralpe due cose possiamo impararle: tollerare il piccolo commercio illegale è una forma di masochismo, perché poi si dovranno fare i conti con vere bande criminali; tenersi un welfare costoso ed anelastico è ancora più masochistico, perché il consenso comperato ieri torna indietro, sotto forma di rivolta, e con gli interessi.

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