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Poniamo fine al bipolarismo "bastardo"

Comunque vada sarà bailamme

Ma di quale vittoria va parlando il Cavaliere?

di Enrico Cisnetto - 13 dicembre 2010

Comunque vada a finire, sarà un disastro. Tutto congiura negativamente intorno alla data del 14 dicembre. E non solo perché 48 ore dopo c’è un appuntamento – il vertice dei capi di Stato e di governo Ue e l’Ecofin straordinario – che rende decisamente surreale quello del Parlamento italiano chiamato a decidere sulle sorti del Governo. No, il vero problema è che quale delle due ipotesi prevalga, fiducia o sfiducia, gli sbocchi restano oscuri e ben poco utili al Paese (tanto più nella contingenza economica caratterizzata dalla crisi della moneta unica e dell’eurosistema).

Vediamo perché. Prima ipotesi: Berlusconi ottiene la fiducia. Magari non quella di “quota 317” ma quella stiracchiata della metà più uno dei presenti. E’ un guaio, in entrambi i casi. E non solo per i nobili e meno nobili motivi dell’antiberlusconismo militante. E’ un guaio perché se così fosse, il risultato deriverebbe dallo spostamento di una manciata di parlamentari che certo non andrebbero né sul piano politico né sul terreno della stabilità e continuità di governo a rafforzare l’esecutivo. Insomma, il Cavaliere assesterebbe uno schiaffone sonoro ai suoi nemici, ma non si scrollerebbe di un grammo di dosso il peso dei problemi che lo hanno trascinato in questa situazione.

E, di conseguenza, il governo non avrebbe alcuna chances non dico di far meglio di quanto fatto fin qui, ma neppure di continuare a galleggiare. Probabilmente lui stesso, o Bossi in sua vece, si ritroverebbe a fare questa valutazione, staccando la spina subito dopo il voto o un paio di mesi più tardi. Ma intanto la vittoria parlamentare – al di là della soddisfazione personale del premier e dei suoi fedelissimi, che possiamo già immaginare che toni assumerebbe – non darebbe alcun dividendo al Paese, anzi.

Non cambia il risultato finale, però, anche nella seconda ipotesi, quella che Berlusconi vada sotto e sia costretto alle dimissioni. A parte che in questo caso Dio non voglia che si riapra la penosa questione della fiducia ottenuta al Senato (dove è probabile vada così) e non ottenuta alla Camera, ma in tutti i casi saremmo di fronte ad una crisi al buio di cui non sappiamo minimamente l’esito e che per questo si presta alle speculazioni dei mercati finanziari. Sarebbe così sia per la testardaggine del premier, che ha fatto abortire tutte le iniziative di mediazione che sono state tentate in queste settimane, sia per la scarsa consistenza tattica e strategica di coloro che hanno aperto la crisi chiedendo a Berlusconi dimissioni preventive che era ovvio non avrebbe mai dato. Sul piano tattico, aver ascoltato nel volgere di poco tempo le indicazioni più diverse – e, spesso, contraddittorie – non ha certo favorito il cammino né delle opposizioni né dei finiani.

Un momento erano per far saltare il banco, un altro per un Berlusconi bis: l’idea che se ne è tratta non poteva che essere quella di una “armata brancaleone”, piena di contraddizioni e senza un’idea precisa in testa di ciò che avrebbe dovuto e sarebbe potuto succedere. Ma, soprattutto, è apparsa desolatamente povera l’indicazione strategica di chi ha voluto la testa di Berlusconi. Si è capito solo la sottolineatura dei difetti del Cavaliere – per carità, tutti veri, ma era facile esporsi all’obiezione che l’uomo fosse così anche prima – mentre poco o nulla l’opposizione, vecchia e nuova, ha saputo dire circa i limiti dell’azione di governo e soprattutto circa le cose che si sarebbero dovute fare (e a maggior ragione si devono fare oggi) in alternativa. Non una proposta un po’ organica in materia di giustizia – proprio quella che si rimprovera giustamente a Berlusconi di non aver messo in campo – non una linea di politica economica che faccia capire cosa succederebbe se il governo cambiasse premier o addirittura “azionisti”.

Certo, da anti-bipolarista della prima ora, non mi sfugge il processo di trasformazione del sistema politico che avvierebbe un cambio a palazzo Chigi. Ma perché questo sia da un lato definitivo e dall’altro costruttivo, ci vuole ben altro che la somma del vecchio e del nuovo antiberlusconismo. Intanto perché così, come insegnano gli 16 anni, si rischia che Berlusconi stia sulla tolda di comando per chissà ancora quanto. E poi perché per aprire quella fase nuova che abbiamo chiamato Terza Repubblica – ultimamente è slogan pronunciato anche da chi non sa bene cosa voglia dire – ci vuole un “progetto paese”, non un po’ di livore a buon mercato. Sì, sono più che mai convinto di quello che ho detto all’inizio: comunque vada il 14 dicembre, sarà un casino.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.