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Spirito e portafoglio

Al giorno d’oggi, la morte è davvero un cattivo affare

Spegnersi in un letto di ospedale è triste, ma anche economicamente svantaggioso

di Massimo Pittarello - 18 luglio 2013

Soffitto bianco. Cuscino bianco. Lenzuolo bianco. Anche i camici, dell’infermiere e del medico, sono bianchi. Bianco, il colore dell’ospedale. Asettico, impersonale, uniforme, standard; come spegnersi in un letto di una clinica. Sempre più persone muoiono in fotocopia fra le mura di un ospedale, in un letto altrui, magari in una stanza condivisa con tanti estranei e nessun parente. Ma se la fine è comunque scritta, non è affatto necessario esalare gli ultimi respiri in un nosocomio, in special modo per i malati terminali. Si è infatti diffuso il principio dell’Eubiosia – parola derivante dal greco ‘eu’, bene, e ‘bios’, vita – secondo il quale la buona vita, la vita in dignità, deve essere mantenuta fino all"ultimo.

Un filosofia che guida numerosi operatori sanitari di pazienti senza cura, soprattutto a livello oncologico, e che oltre a tutelare la spiritualità del malato terminale e dei suoi familiari, è un vantaggio anche per il benessere molto più materiale dei conti economici, già ampiamente disastrati, della sanità pubblica italiana. Solo per dare un’idea, molto terrena, del possibile risparmio dei conti, uno studio di Unindustria Bologna spiega come il costo giornaliero di un paziente malato di tumore sia di 780 euro in caso di ricovero in un ospedale pubblico, di 238 euro in caso di degenza nelle apposite strutture per cure palliative e di solo 21 euro al giorno nel caso di assistenza domiciliare, come avviene per la Fondazione ANT Italia. Una Onlus che nasce nel 1978 a Bologna, ispirandosi pienamente ai principi della Eubiosia. Dal 1985 ha assistito, in modo completamente gratuito, quasi 100mila persone in ambito oncologico. Nel solo 2012 ha curato 9500 persone e raccolto 22 milioni di euro (di cui solo il 17% pubblico). Per ogni paziente preso in carico la Fondazione stima un costo di 2100 euro, spalmato sui 100 giorni che sono la media di vita di una fase terminale.

Insomma, la standardizzazione fordista dei nostri ultimi respiri, oltre a essere triste, è anche svantaggiosa. Si può anche voler evitare di pensare a come lasciare un domani questo mondo, ma non si possono ignorare le enormi tasse che si pagano oggi per mantenere (fra le altre cose) un sistema sanitario pubblico inefficiente e spendaccione.

La demografia sta cambiando e le popolazione è invecchiata e la spesa sanitaria è cresciuta del 70% (al netto dell’inflazione) negli ultimi 10 anni: inoltre, nel 2050, una persona su tre avrà più di 65 anni. L’allungamento della vita impone infatti risposte immediate e strategiche per la sostenibilità del sistema sanitario. Lo studio di Unindustria Bologna ha calcolato che l’adozione del metodo della Fondazione Ant permetterebbe di risparmiare ogni giorno, per ogni paziente, 217 euro nel migliore dei casi e 759 nel peggiore, oltre all"inestimabile differenza di valore fra lasciare questo mondo nel letto della propria e amata casa, fra i ricordi e gli affetti di famiglia, e un bianco ma asettico letto d’ospedale. Insomma, invece di spendere tanto per un servizio pessimo, si potrebbe spendere assai meno per uno assai migliore. Hasta la muerte.

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