Putin contro di noi
IL VERO COMPLOTTO È QUELLO DI PUTIN CONTRO DI NOI IL BIPOPULISMO LO AGEVOLA. MATTARELLA UNICO BALUARDO
di Enrico Cisnetto - 22 novembre 2025
Un atto di guerra ibrida, proprio mentre si vuole chiudere la guerra militare imponendo la resa incondizionata all’Ucraina. C’è qualcosa di ancor più grave, e inquietante, della già gravissima querelle istituzionale inscenata nei confronti del Quirinale per un presunto complotto ordito contro Giorgia Meloni. E sta nel vero motivo per cui è stato montato questo “caso”: delegittimare il sostegno dell’Italia all’Ucraina. Infatti, si è voluto colpire Francesco Saverio Garofani non in quanto consigliere del Presidente della Repubblica, ma per la sua veste di segretario del Consiglio supremo di Difesa. E non è casuale che la “bomba” sia stata innescata martedì 18 novembre, il giorno dopo la riunione al Quirinale del Consiglio medesimo, un organo costituzionale che si riunisce raramente, e che era stato convocato dal Presidente Mattarella, e fortemente voluto dal Ministro della Difesa Crosetto, con all’ordine del giorno l’esame di un dettagliato dossier sulla minaccia portata da Mosca nei nostri confronti. Un vertice che era servito sia a ribadire, senza riserva alcuna, il pieno appoggio politico e militare di Roma a Kiev – cosa non del tutto scontata, viste le resistenze filo-putiniane, mascherate con motivazioni “paci-finte”, sia dentro il governo che nel fronte delle opposizioni – e sia a prendere formalmente atto che la guerra ibrida russa nei confronti dell’Europa intera è già in corso, e i nostri cieli e le nostre infrastrutture sono esposti a rischi altissimi. Con ciò intendendo mandare un chiaro e inequivoco messaggio agli italiani, che non solo faticano a percepire i pericoli che stiamo correndo, ma che in molti casi sono indotti da una subdola campagna di propaganda a parteggiare per il nemico aggressore.
Intenzione benemerita, quest’ultima, frustrata dal montare della bolla mediatica creata dalla divulgazione di valutazioni politiche che Garofani avrebbe espresso nel corso di una cena conviviale (del 13 novembre, le date non sono un dettaglio), annotate (registrate?) da qualcuno e trasferite in una mail a firma “Mario Rossi”, cioè anonima, inviata a diversi quotidiani, tendenzialmente di centro-destra. Mail cestinata da tutti perché ritenuta inattendibile, tranne che da un giornale, che ha ritenuto di leggere nelle presunte parole di Garofani i contorni di una trama politico-istituzionale ordita dal Colle contro Meloni, per colpirla come presidente del Consiglio ma soprattutto per bloccare l’aspirazione sua e della destra di conquistare il Quirinale alla scadenza del mandato di Mattarella a gennaio 2029 (dopo le prossime elezioni politiche). Tesi sparata con un articolo firmato con un nome falso, che altro non era che il copia-incolla del testo della mail inviata da chissà chi.
Insomma, tempi e modalità dello “scandalo” sono indizi precisi della vera finalità dell’operazione. Mattarella si sta spendendo in prima persona per far tenere al Paese la barra dritta nel posizionamento sulle grandi questioni internazionali. Si pensi al solenne discorso pronunciato al Bundestag nel giorno del “lutto nazionale” tedesco, che ha restituito un’immagine dell’Italia completamente diversa da quella resa dall’equivoco “atlantismo antieuropeista” della destra (copyright Francesco Cundari) e dall’ideologico “pacifismo a senso unico” della sinistra. E si pensi all’inusuale e inattesa quanto opportuna convocazione del Consiglio supremo di Difesa. E lo fa perché avverte preoccupanti cedimenti (sostanziali) nel sostegno all’Ucraina, cui si accompagnano reiterate sottovalutazioni del pericolo russo, se non deliberate (prezzolate?) giustificazioni della politica imperialista di Mosca. Si va dal voto contrario all’ingresso di Kiev nell’Unione Europea (un passaggio che, al contrario dell’adesione alla Nato, persino il Cremlino, magari mentendo, ha definito “accettabile”) di Lega e 5stelle – i due partiti filo-putiniani che dividono i due fronti del nostro bipopulismo – fino all’incredibile mancata adesione italiana al programma Purl della Nato, che prevede l’acquisto (oneroso) di armamenti americani da girare (gratuitamente) a Kiev, tanto da costringere Crosetto a cancellare un viaggio già programmato a Washington per formalizzare l’accordo (firmato invece dagli spagnoli). Una scelta che Meloni si è fatta imporre da Salvini per evitare ogni frizione che possa impedirle di perseguire il suo obiettivo fondamentale, durare più a lungo possibile. Un durare che aulicamente si scrive stabilità, ma che declinato in questo modo inevitabilmente si legge immobilismo.
Naturalmente il leader della Lega fa leva su concetti di conio populista: non bisogna spendere soldi per la guerra, noi siamo per la pace (come se bastasse evocarla per ottenerla); non dobbiamo dare soldi a Kiev, che se li pappano i corrotti; spendiamo prima di tutto a casa nostra, per sanità e sicurezza (come se difendere i confini europei non ci riguardasse). Dietro i quali fa capolino una malcelata simpatia verso Putin. Ma non è solo questo. La linea che meritoriamente il governo ha tenuto fin dal suo esordio di solidarietà e sostegno all’Ucraina si è via via appannata con il definirsi e confermarsi nel tempo della linea di equidistanza della Casa Bianca, che nei fatti si è tradotta e continua a tradursi in un atteggiamento di favore verso Mosca. Fino allo scandaloso piano di pace – pardon, di resa – scritto dalla coppia Witkoff-Dmitriev, due che stanno alla politica e alla diplomazia come io sto alla fisica quantistica, con cui si pretende che l’Ucraina si suicidi regalando alla Russia ciò che in quasi quattro anni di guerra non ha saputo conquistare sul campo, con l’Europa che deve assistere inerme e per di più accollandosi una parte consistente degli oneri della ricostruzione. I cui benefici, in termini di business, andrebbero anche e soprattutto a Trump e Putin personalmente, ancora una volta e sempre di più protagonisti di un “patto scellerato” di cui noi rischiamo di rimanere schiavi.
Se questo è lo scenario tutt’altro che rassicurante che abbiamo di fronte, due sono le considerazioni da fare. La prima: si facciano un esame di coscienza coloro che per le ragioni più diverse, ma che complessivamente potremmo definire “speculative”, hanno montato il caso “complotto del Quirinale” – come gravità secondo solo alla richiesta d’impeachment del 2018 nei confronti dello stesso Mattarella di cui Luigi Di Maio non si è mai pentito abbastanza (cui aderì, è bene ricordarlo, soltanto un’altra forza politica, FdI di Giorgia Meloni) – e magari chiedano sommessamente scusa. La seconda: ben si capisce la preoccupazione che anima il Capo dello Stato e lo sforzo che compie – di cui dobbiamo essergli molto grati – per evitare che la somma di furbizie e ipocrisie prodotte dal sistema politico rendano l’Italia inattendibile in Europa e la pongano ai margini del patto di consultazione dei “volenterosi”, vera ancora di salvezza delle democrazie continentali e occidentali (vedi la War Room di mercoledì 19 novembre, qui il link). Una determinazione, quella di Mattarella, che deve compensare l’enormità del seguente combinato disposto: a) l’ambiguità meloniana di fronte alla liaison dangereuse tra Trump e Putin; b) il sovranismo anti-europeo e di fatto (ma anche volontariamente) filo-russo di Salvini (sono passati 10 anni da quando il leader leghista si fece immortalare nella piazza Rossa di Mosca indossando una maglietta celebrativa di Putin, e non sembra essere cambiato); c) la fragilità politica di Tajani, che si traduce in una posizione di subordine dentro la maggioranza di governo, facilitata anche dalla doppiezza che alberga nel Ppe, dove una componente dei popolari tedeschi non esclude un accordo di governo con l’estrema destra di Afd (vedi la War Room di giovedì 20 novembre, qui il link); d) l’ipocrisia del Pd di Schlein, che nei 45 mesi di guerra scatenata dalla Russia non ha mai sentito il bisogno di recarsi a Kiev per mostrare vicinanza al martoriato popolo ucraino un po’ perché non avverte, non so se per ignoranza o sottovalutazione, il pericolo del disegno imperialista di Putin, e un po’ perché sa benissimo che il “campo largo” sulla questione russo-ucraina e più in generale sulle valutazioni da dare alle dinamiche geopolitiche in atto, è attraversato da distanze non meno evidenti, e forse ancora più gravi, di quelle che riguardano la maggioranza e il governo; e) il peloso pacifismo che gioca a favore di Mosca, nelle intenzioni quello dei 5stelle di Conte (quello che da presidente del Consiglio in piena crisi Covid spalancò le porte delle nostre strutture sanitarie a scienziati russi per una mai chiarita missione che poi fu misteriosamente interrotta) e dei gruppetti prezzolati Pro-Pal e dintorni, e nei fatti quello della sinistra radicale (Bonelli-Fratoianni unitamente a Landini).
Fate la somma, e capirete a quale livello siano arrivati il turbamento e l’assillo del Quirinale, e perché, di conseguenza, sia così spudoratamente oggetto di attacchi e insinuazioni. Da un lato c’è una guerra ibrida già in corso che corre su due binari: il primo mira a destabilizzare i singoli paesi europei erodendone le istituzioni democratiche attraverso strumenti di orientamento delle opinioni pubbliche (uso massiccio di spam, social e intelligenza artificiale per far circolare fake news) e di condizionamento delle forze politiche e sociali (denari a sostegno di movimenti politici, associazioni culturali e progetti editoriali filorussi); il secondo ha come obiettivo l’intralcio al funzionamento di reti (attacchi cyber) e servizi (droni sugli aeroporti) quando non il sabotaggio materiale delle infrastrutture (vedi gli attacchi al sistema ferroviario polacco). Per farvi un’idea di cosa stiamo parlando vi suggerisco caldamente di leggere il report che il ministro Crosetto ha presentato al Consiglio supremo di Difesa (è consultabile sul sito del Ministero, qui il link per poterlo scaricare), dal quale, peraltro, devo ritenere siano state espunte le informazioni di intelligence più delicate. A fronte di questo pericolo – in essere, non soltanto potenziale come si tende a pensare – c’è un sistema politico-istituzionale che fa acqua da tutte le parti e che non è in grado di esprimere il necessario grado di autorevolezza, fermezza e indirizzo strategico che la situazione richiede. Per lo scarso livello di legittimazione popolare certificato dal tasso di astensionismo elettorale, per la scarsa cultura di governo del ceto politico, e per le contraddizioni insanabili del quadro politico, il mai deprecato abbastanza bipopulismo.
È per fronteggiare questo pericolo che è venuto il momento della chiarezza e delle decisioni coraggiose: i moderati europeisti del centro-destra devono smettere, costi quel che costi, di accettare che il governo continui a derubricare a normali divergenze d’opinione le sue lacerazioni interne, mentre a sinistra i riformisti del Pd devono rompere le ipocrisie e avere il coraggio di dire che quel campo largo in cui la segreteria Schlein l’ha portato, impantanandolo, è pieno zeppo di pulsioni filorusse che vanno denunciate e rifiutate, costi quel che costi. Il tetto sotto cui si ripara la nostra democrazia liberale e occidentale, che assicura la tenuta democratica dell’Italia, è pieno di infiltrazioni russe, e rischia di non reggere. La copertura ferma e dignitosa del Presidente Mattarella è fondamentale, ma da sola rischia di non bastare.
(e.cisnetto@terzarepubblica.it)
PS. Lo so, la settimana scorsa avevo chiuso la newsletter promettendovi che oggi avrei diffusamente affrontato il tema di come uscire dalla morsa del bipopulismo. La vicenda del Quirinale – purtroppo – mi ha costretto a continuare ad occuparmi dei motivi per cui il sistema è inadeguato e dei pericoli a cui il non rimuoverlo ci espone. Ma, giuro, sul “come” ci torno, non lo eludo.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
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