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L'editoriale di TerzaRepubblica

Caro Babbo Natale...

LETTERINA PER IL 2024: UNA NUOVA YALTA MA SOPRATTUTTO IL RISVEGLIO DELLE COSCIENZE OCCIDENTALI

di Enrico Cisnetto - 16 dicembre 2023

Caro Babbo Natale,

il mondo si accinge ad affrontare il 2024 – anno bisesto e dunque, per la tradizione, funesto – lasciandosi alle spalle molte macerie. Quelle della guerra che da 22 mesi insanguina l’Ucraina per mano di Putin, e quelle che il 7 ottobre scorso ha prodotto Hamas in Israele, cui si aggiungono le conseguenze della inevitabile reazione nella striscia di Gaza. Ma oltre alle macerie materiali e alle vittime umane, non vanno sottovalutati i detriti geopolitici prodotti da questi conflitti, come pure da quelli potenziali, come la minaccia cinese su Taiwan. Anzi, il vero obiettivo delle mosse belliche di Russia e Hamas (che significa anche Iran, e non solo) era, e resta, quello di destabilizzare l’Occidente, e in particolare l’Europa, per arrivare a ridisegnare gli equilibri planetari su basi completamente diverse da quelle nate a Yalta nel 1945 e consolidatesi nei 78 anni successivi passando prima per la guerra fredda, poi per la caduta del muro di Berlino e la fine del comunismo sovietico, infine attraverso la più recente stagione del multilaterialismo. Un sommovimento che significa chiudere un’era e aprirne un’altra, ancora tutta da definire ma che a prima vista rischia di avere contorni inquietanti. Un pericolo di cui nelle democrazie occidentali, e in quella italiana in particolare, non sembra esserci consapevolezza.

Ecco perché, caro Babbo Natale, mi rivolgo a Te con questa letterina natalizia – anche se sono un nonno e non un bambino – affinché nella lista dei doni tu possa trovare posto per le cose (immateriali) che mi permetto di chiederti. Nella lista dei miei desideri al primo posto c’è proprio la consapevolezza che manca. Ho scritto la settimana scorsa, a commento del rapporto annuale del Censis, del “sonnambulismo” degli italiani. Ma temo che nel “sonno della ragione” si siano addormentati anche tutti gli altri cittadini del mondo libero, che si sono assuefatti alla libertà e al benessere diffuso di cui godono finendo per perdere la percezione del valore di queste conquiste, ma soprattutto il senso della necessità di salvaguardarle. Per cui, caro Santa Claus, ti prego, portaci in dono il risveglio delle coscienze che spazzi via il vittimismo a cui ci siamo lasciati andare negli ultimi anni. Cosa che ha aperto le porte, da un lato, ad uno spaventoso “populismo negazionista” che ci sta ammorbando e, dall’altro, ad una asfissiante dittatura del “politicamente corretto” che spaccia il falso per vero. Basterebbe che ciascuno diventasse conscio che è iniziata una partita nella quale c’è in palio la continuità, o meno, del nostro sistema di vita. Sotto profilo civile, perché le libertà e i diritti che assicurano le democrazie non sono nemmeno paragonabili con ciò che offrono le dittature, o anche solo le cosiddette democrature. E sotto il profilo economico, perché il benessere e le protezioni sociali e di welfare dell’un campo non sono quelle dell’altro.

Il pil mondiale ammonta a oltre 100 trilioni di dollari ed è destinato a più che raddoppiare nel giro di un decennio o poco più. Come sarà spartita questa crescita aggiuntiva, quali fonti di energia ne saranno protagoniste e chi ne disporrà, quali forze militari presidieranno le aree di maggior sviluppo e quali le aree in via di sviluppo (Africa in primis), come si orienteranno le opinioni pubbliche e chi avrà il controllo dei sistemi di informazione che ne influenzano i pensieri e i comportamenti: ecco cosa c’è in ballo. E la partita si svolge dentro una fase di transizione in cui i vecchi assetti sono in disfacimento – Cina, India e Russia messe assieme pesano nell’economia mondiale come gli Stati Uniti e il sorpasso della sola economia cinese su quella Usa è atteso per il 2030 – e i vecchi modelli di sviluppo paiono superati, messi in crisi dalle politiche di salvaguardia dell’ambiente, totalmente asimmetriche tra Occidente e resto e del mondo, e dalla rivoluzione digitale e tecnologica in atto, nella quale non primeggiano più come un tempo i soli americani e israeliani, con il contorno degli europei, ma ci sono gli asiatici che eccellono.

Sarebbe facile, caro il mio omone con la barba bianca e il vestito rosso, chiederti di portare la pace nel mondo. Questo lo lascio fare ai bambini, come è giusto che sia, e al Papa, che peraltro potrebbe fare il suo mestiere con un po’ di ambiguità in meno. Io, invece sono consapevole di che guaio sarebbe se Putin vincesse la partita nella quale si è messo, e dunque ti chiedo in regalo la sua sconfitta. Cosa questo voglia dire è tutto da discutere. Io, per esempio, ho cercato di capirlo in due puntate della mia War Room. La prima, quella del 28 novembre con Giorgio Ferrari, Christian Rocca e Paolo Valentino (qui il link), nella quale è emerso il pericolo di una crescente solitudine di Zelensky, vittima di un pesante isolamento, tra Putin che sembra essersi rafforzato militarmente ed è tornato sulla scena mondiale partecipando, seppur da remoto, al G20 convocato sotto l’egida indiana, e gli alleati occidentali che manifestano una crescente preoccupazione di fronte al protrarsi indefinito della guerra e danno segni di cedimento nel rifornimento di armi a Kiev, che con l’arrivo del grande freddo ha visto l’impasse della sua controffensiva. Ora la decisione di queste ore dell’Unione Europea di accelerare il processo di adesione dell’Ucraina è da salutare con grande soddisfazione – stavo per scrivere “ovviamente”, ma poi ho visto le parole apocalittiche di Lucio Caracciolo, che immagina l’Europa schiacciata dal peso dei costi della ricostruzione ucraina, e capisco che la fascinazione putiniana non ha confini – ma non compensa la delusione per lo stop dato dal Senato americano ad una nuova, decisiva, fornitura militare a Kiev.

Non so quanto Santa Claus possa esaudire questi desideri, ma nel caso provo ad elencarli. Tre sono complicati ma praticabili: convincere i repubblicani americani a non ostacolare Biden nel soccorso all’Ucraina; indurre Zelensky a considerare anche le geometrie variabili di questa maledetta partita; fare in modo che nei quattro anni che partono da novembre prossimo ai tavoli delle grandi questioni internazionali non sia seduto, o eviti di sedersi, Donald Trump, per tutto quello che può significare un suo ritorno alla Casa Bianca, perché se vincesse avrebbe un impatto devastante, al di là della speranza che la sua avversione all’Europa potrebbe indurre il Vecchio Continente a reagire realizzando finalmente quell’unità politico-istituzionale che per cecità fin qui non è riuscita a darsi.

Quasi impossibile anche per uno che vola nei cieli con una slitta è il quarto desiderio: evitare che Vladimir Putin sia rieletto per la quinta volta presidente della federazione russa alle elezioni (si fa per dire) di marzo 2024. Il quinto è semplicemente un auspicio: che le concessioni sul piano economico che la Cina è interessata a strappare agli Stati Uniti siano di tale portata da indurre Pechino se non a spegnere il fuoco appiccato da Putin e da Hamas con il supporto di chi gli sta dietro, quantomeno ad evitare che si propaghi ulteriormente. In fondo Xi Jinping avrebbe un vantaggio: il suo è un regime dispotico e la sua politica non ha bisogno del consenso popolare. Un’asimmetria con le democrazie che una volta tanto potrebbe essere usata a fin di bene. Certo, ha ragione Angelo Panebianco quando invita a non illudersi che “la Cina sia oggi resa meno baldanzosa sul piano internazionale a causa della crisi economica interna” perché proprio in questo caso “la salvaguardia della stabilità politica richiede un sovrappiù di retorica nazionalista”, che a sua volta “genera maggiore aggressività internazionale”.

Ma alla fine mi accontenterei se nella cesta dei doni natalizi ci fosse uno strumento adatto a dirimere questi e tutti gli altri conflitti, esistenti o potenziali, ad alta o a bassa intensità, che ci sono in giro per il mondo e che a metterli in fila c’è da rabbrividire: Yemen, Siria, Darfur, le tensioni tra Iran e Arabia Saudita, nei Balcani, nel Baltico, tra Pakistan, India e Cina, tra le due Coree, nell’Africa attraversata dalla Wagner, dagli islamisti e dai soldi cinesi. E ovviamente Taiwan, nodo gordiano tra Washington e Pechino. Come abbiamo visto nella War Room di martedì 12 dicembre con Marta Dassù, Paolo Garimberti e Giampiero Massolo (qui il link), in questo quadro così maledettamente complicato e confuso, si avverte il vuoto di capacità – intesa come leadership e come strumenti e luoghi – di individuare equilibri finalizzati ad un nuovo ordine planetario. Ecco perché il mondo senza bussola avrebbe bisogno di una nuova Yalta. Ovviamente non la fotocopia della riunione dei grandi della Terra che dovevano far ridisegnare e spartirsi il mondo dopo la Seconda guerra mondiale, ma qualcosa che gli somigli metodologicamente. Nella War Room è emersa l’idea di prendere spunto dal dopo Yalta a tradizione tedesca, ma non c’è dubbio che un luogo che non sia il G8 o il G20 in cui si cerchi con buona volontà di mettere ordine dove regna il disordine sarebbe davvero auspicabile.

Che dalla famosa casa di Babbo Natale di Joulupukin Pajakylä in Finlandia – un paese assai bisognoso di avere ombrelli protettivi sopra la testa – esca magicamente un’idea regalo per il 2024? Sperare non costa nulla. Ma siccome coltivare la speranza senza far nulla è il più grave dei peccati che si possano commettere, sarà bene che nel frattempo noi occidentali una cosa la facciamo senza bisogno di aspettare Santa Claus: capire che la nostra fragilità è, a proposito di doni natalizi, il miglior assist che possiamo regalare alle potenze autoritarie. Parlo della fragilità dell’Occidente rappresentata dall’odio per se stesso, o quantomeno dall’oblio dei suoi valori di democrazia liberale, dall’antisemitismo dilagante senza più freni e inibizioni, dall’emergere di minoranze rumorose votate alla causa anti-occidentale, di correnti di opinione filo-putiniane, di sovranismi ottusi e di neofascismi pericolosi. È quello che Panebianco chiama “desidero di suicidio collettivo”, su cui gli autocrati fanno affidamento perché la loro forza diventi irresistibile. Ecco il proponimento per il 2024, cari amici di TerzaRepubblica: farsi parte attiva, in ogni luogo e circostanza, per spegnere questo desiderio suicida, per illuminare le coscienze, a cominciare da quella di ciascuno di noi. Parola d’ordine: vietato essere agnostici e pusillanimi.

È con questo augurio, e naturalmente con quello di trascorrere in serenità le imminenti festività, che vi saluto e vi do appuntamento a sabato 13 gennaio. Buon Natale e buon Anno!!

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.