ultimora
Public Policy

L'editoriale di Terza Repubblica

Quirinale, l'ora del sussulto delle coscienze

SIAMO AL CROLLO DEL SISTEMA E STIAMO CORRENDO GRAVI RISCHI MA UN SUSSULTO DELLE COSCIENZE PUÒ ANCORA SALVARCI

di Enrico Cisnetto - 29 gennaio 2022

Comunque vada, sarà un (in)successo. Qualunque esito avrà, la penosa vicenda del Quirinale – resa ancor più deprimente e preoccupante dal rischio di una guerra in Ucraina che finirebbe col coinvolgere la Nato e l’Europa, una situazione che richiederebbe ben altro clima a Roma – è destinata a lasciare un mucchio di macerie dietro di sé. E non sarà l’eventuale scelta di un presidente donna, per il solo fatto che sia tale – ammesso che la settima votazione o le successive diano effettivamente questo risultato – a rendere meno raccapricciante lo scenario agli occhi degli italiani. Sembra infatti ci si stia occupando di curriculum e di volti, quasi fosse un casting, senza neppure domandarsi quali requisiti dovrebbero essere richiesti per un Presidente della Repubblica, quali le capacità politiche e quali le sensibilità istituzionali. Il sistema politico, già reduce in questi ultimi anni da una serie di fallimenti a ritmi sempre più serrati, in questo frangente ha reso drammaticamente palese tutta la sua impotenza.

Il centro-destra, la cui esistenza era già stata messa in discussione dalla divisione mostrata in occasione della formazione della maggioranza di unità nazionale che ha sorretto il governo Draghi, si è letteralmente liquefatto. Prima con la squinternata aspirazione senile di Berlusconi, fintamente unitaria ma in realtà divisiva (oltre che inutile), poi con la girandola di candidature “bruciate”, infine con l’harakiri sulla e della seconda carica dello Stato, andata allo sbaraglio nonostante fosse chiaro che nessuno dei due fronti politico-parlamentari ha, né può avere, la maggioranza a dispetto dell’altro. Casellati ferma a 382 preferenze, cecchinata da almeno una settantina di franchi tiratori interni, ha fatto esplodere il malessere della coalizione. Ma anche il centro-sinistra non ha mostrato di stare messo meglio. Qui, anche grazie al fatto che gli errori tattici del centro-destra hanno consentito a Letta e Conte di giocare di rimessa, non sono emerse esplicite divisioni tra i partiti che lo compongono per il solo motivo che le faglie sono tutte interne alle singole forze politiche, e tali da rendere plasticamente visibile la fragilità dei rispettivi leader. In tutti i casi, la politica della scheda bianca di Pd e 5stelle, nell’attesa che l’inerzia possa portare Draghi al Colle “come frutto non di una decisione netta, bensì di un cedimento alle circostanze” (sono le efficaci parole di Stefano Folli), non ha certo dato frutti, né a loro né al sistema parlamentare, di cui tutto aveva bisogno meno che di questa pubblicità negativa. E infatti, i 336 voti a Mattarella nella sesta votazione, arrivati “dal basso”, come si usa dire, e tutti dal centro e dalla sinistra visto che il centro-destra si è astenuto, la dicono lunga sulla atomizzazione del Parlamento e sulla riduzione allo stato liquido della politica.

Si dirà: meglio, così il processo di decomposizione del sistema accelera, e le alternative possono maturare più velocemente. Teoricamente, sì. Anche perchè è dal 1994 che si è aperta una crisi del sistema politico e istituzionale da cui non si è mai usciti, nonostante la cosiddetta Seconda Repubblica e l’aborto della Terza (più qualche fase di transizione, compresa quella che stiamo attraversando). Ecco, sarebbe ora di voltare davvero pagina. Ma anche in questa circostanza, dopo essere riusciti a mischiare la nomina del Capo dello Stato con le sorti del Governo, sia per aver voluto (Draghi) e consentito (i partiti) che il presidente del Consiglio entrasse nella baruffa quirinalizia, sia per aver comunque aperto il tema del rimpasto dell’esecutivo, il rischio è che alla fine si butti via anche il bambino insieme con l’acqua sporca. Si pensi solo quale effetto dal sinistro sapore sudamericano o sovietico, produce il fatto che si sia pensato di ricorrere al capo dei Servizi segreti in carica per sbrogliare la matassa del Quirinale. E questo anche se Elisabetta Belloni – peraltro servitrice dello Stato di gran vaglia – non dovesse risultare effettivamente scelta o, se scelta, non votata, perchè comunque il solo pensare a questa eventualità rappresenta già il segno della resa della politica al proprio fallimento. Se poi dovesse essere eletta, con il concorso fondamentale delle forze populiste – si veda l’incredibile e assurdo viatico dell’uomo del “vaffa”, Beppe Grillo, che l’ha salutata con un tweet (“benvenuta Signora Italia, ti aspettavamo da tempo”) – non solo si produrrebbe un vulnus alla democrazia, ma ci si infilerebbe dritti dritti in una crisi di governo, considerate le reazioni di Renzi, Forza Italia e Leu. Altro che impazzimento della maionese, come qualche giornale ha scritto; siamo alla cucina, anzi alla casa intera, che brucia.

Avevamo trovato un buon antidoto alla crisi italiana, fatta di declino strutturale e di emergenze da affrontare: l’unità nazionale e il governo Draghi. Ma ce lo siamo divorato. Prima con la stucchevole discussione sul fatto se l’ex presidente della Bce fosse causa o conseguenza della crisi dei partiti, mentre si è palesemente trattato del tentativo di salvare il Paese lasciato in mani improbabili proprio mentre veniva messo in ginocchio dalla pandemia e dalla recessione. Poi, è arrivata l’impasse nell’azione dell’esecutivo, iniziata già dopo l’estate e andata crescendo via via che ci si avvicinava alla scadenza quirinalizia. Ora siamo di fronte a questo assurdo incrocio di destini tra Quirinale e Chigi, per via del sommarsi di diversi egoismi personali e sulla base dell’assunto che la maggioranza che regge il governo e quella che esprime il Capo dello Stato debbono coincidere, pena la messa in discussione dell’esecutivo (asserzione sbagliata gravida di conseguenze che pagheremo a caro prezzo). 

Nel frattempo, nulla è stato fatto per archiviare il nostro sgangherato bipolarismo, popolato di partiti “fuochi fatui” e di leader di mezza tacca, diventato “bipopulismo” con le elezioni del 2018. C’era da dare rappresentanza politica alla “agenda Draghi”, che ho sempre considerato largamente maggioritaria nel Paese, cogliendo l’occasione – irripetibile – che essa corrisponde in larga misura ai piani di sviluppo e alle riforme strutturali da realizzare che sono comprese nel patto con l’Europa. Cosa che avrebbe finalmente impresso una discontinuità radicale al sistema politico. C’era da ridisegnare la nostra architettura istituzionale, ripensando un paese vecchio, burocratico, elefantiaco e, dunque, inefficiente. E c’era, infine, da rivedere le regole del gioco, senza reticenze ma neppure senza la fregola del cambiamento per il cambiamento, demandando l’onere non al Parlamento, che ha già dato prova di non esserne capace, ma una nuova Assemblea (o anche Commissione) Costituente. Per far tutto questo c’era bisogno di prendere il Paese per mano e rendergli chiaro, aprendo un dibattitto finalmente depurato delle scorie del pressapochismo (politico e mediatico), avendo coscienza che questo doveva essere il lascito alto di questa fase di transizione guidata dall’uomo di maggiore rappresentatività e credibilità internazionale di cui l’Italia dispone. Invece, forse per paura di fare la fine di Monti (significativo che nessuno abbia pensato a lui per il Quirinale), Draghi si è tenuto lontano da questi obiettivi politicamente strategici. Di qui a lasciare campo libero a partiti in preda alle convulsioni, il passo è stato breve.

Ora la situazione si è fatta pericolosa, quasi da cambio di regime, con elezioni anticipate al buio dietro l’angolo che non potrebbero che registrare un record di astensionismo e nessun vincitore. C’è bisogno di un sussulto delle coscienze. Quella di Draghi, che dovrebbe dire chiaramente che intende restare alla guida del governo, impegnandosi non solo a concludere la legislatura continuando il lavoro iniziato su pandemia e Pnrr, ma anche a cercare di dare uno sbocco futuro alla transizione che sta guidando. E quella di Mattarella, che se chiamato a fare il sacrificio di un secondo mandato – sapendo che la formazione di una nuova Camera e di un nuovo Senato, sulla base della legge costituzionale che ha tagliato di un terzo il numero dei parlamentari, dopo le elezioni del 2023, gli consentirà di rendere più corto l’impegno – non potrà sottrarsi all’esigenza del Paese di avere autorevolezza politica alla presidenza della Repubblica e al dovere di assicurargliela.

Siamo in una situazione straordinaria, occorrono scelte straordinarie. Al momento in cui scrivo (venerdì 28 gennaio a tarda sera) e in attesa della settima votazione, e forse di qualche altra, resto convinto, come ho scritto in tempi non sospetti, che la continuità di Mattarella al Quirinale e Draghi a Palazzo Chigi sia la scelta migliore e resti la più probabile, ma che nel caso ci si arriverà nel peggiore dei modi possibili.

Social feed




documenti

Test

chi siamo

Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.