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L’editoriale di TerzaRepubblica

Merkel, Macron e noi

SE IL DUO MERKEL-MACRON VINCE CI ARRIVANO SOLDI NON A DEBITO MA ANCHE VINCOLI CHE (FINALMENTE) SPARIGLIERANNO LE CARTE (CONSUNTE) DELLA NOSTRA POLITICA

23 maggio 2020

Mentre l’Italia ha riaperto i battenti ma è ancora ben lontana dal rilancio, non avendo minimamente idea su quali basi strategiche dovrebbe avvenire, sulla scena politica, Renzi, una volta tanto, ha fatto la scelta giusta evitando la caduta del governo proprio nel momento in cui la ciambella di salvataggio, ancora una volta, ci arriva dall’Europa, e in particolare dai tanto vituperati Merkel e Macron.

 

Sì, non si stupiscano i lettori che in questi mesi mi hanno visto menare fendenti critici al Conte2, che pure avevo giudicato – e ancora continuo a considerare – meno peggio del Conte1. Non ho cambiato idea: questo esecutivo non era all’altezza dei problemi italiani pre-Covid, a cominciare dallo scivolamento in zona recessione dell’economia, figuriamoci se lo è di fronte alla complessità delle questioni, contingenti e strutturali, che ora, dopo tre mesi di epidemia, sono esplose tutte insieme e urlanti chiedono di essere risolte tutte e subito. Ma non basta considerare necessario un cambio di governo perché diventi possibile. Anche perché se è palesemente inadeguato l’esecutivo, non meno lo è il Parlamento, che non offre combinazioni politiche alternative. Si dirà: per questo Renzi, che aveva sollevato un tema sacrosanto come il governo della giustizia cucinato in salsa giustizialista, avrebbe dovuto far saltare il banco votando la mozione Bonino, l’unica delle due di sfiducia – tra loro assolutamente contradditorie – ad essere commestibile. Sì, ma far saltare il governo adesso, senza che la via del ricorso alle elezioni sia praticabile per ovvie ragioni pratiche, avrebbe significato arrecare un danno al Paese, non il contrario. Che poi lo spregiudicato Renzi non l’abbia fatto per questo, o solo per questo, è un altro paio di maniche, e non basta il tentativo di dopare emotivamente la circostanza (“il discorso più difficile della mia vita”, ha detto al Senato) per nascondere le vere ragioni (di bassa cucina).

 

La verità è che il Paese è vittima di una insanabile contraddizione: da un lato avrebbe assolutamente bisogno di un governo all’altezza delle sfide tremende che ha di fronte – o se vogliamo metterla giù più in maniera più positiva, delle opportunità di straordinario cambiamento che questa emergenza dischiude – e dall’altro non si può permettere una crisi di governo in questo momento, senza uno sbocco immaginabile e senza la praticabilità delle elezioni anticipate. La domanda è: ma c’è una possibile quadratura di questo maledetto cerchio? Forse sì, e ce la offre l’Europa.

Non mi riferisco tanto, o solo, alle risorse che ci potrebbero arrivare, senza costringerci a indebitarci, dal nascente Recovery Fund, quei 100 miliardi (speriamo) che il marchingegno pensato dal governatore federale tedesco e dal presidente francese potrebbe portarci su 500 complessivi che sarebbero messi a carico del bilancio Ue. Certo, quei soldi sono importanti, forse fondamentali, ma ancora di più lo è il fatto politico sottostante: se Merkel e Macron alla fine riusciranno a piegare le resistenze austriache e olandesi e porteranno a compimento quella che sarà, seppure un po’ mascherata per non dirsi eurobond (parola inaccettabile da diverse opinioni pubbliche continentali), emissione di debito pubblico federale, allora non solo sarà messo in salvo l’euro e consolidato con iniezioni di cemento armato la comune casa europea, ma sarà offerta all’Italia la possibilità di confermarsi a pieno titolo paese europeo. Immagino che qualcuno obietterà: ma è già così, l’Italia è europeista. Sì, a parole lo è. Ma nei fatti no. E ultimamente lo è stata poco anche a parole.

Quello che intendo dire è che se Berlino si schiera anche a costo di doversi scontrare con i paesi nordici suoi amici – che Parigi fosse in partita era già scontato – e l’asse franco-tedesco si rinnova e consolida proprio su un terreno come questo, ovvio che a Roma verrà chiesto di firmare un patto di sangue. Francia e Germania non vogliono che l’Italia riprecipiti nella situazione in cui era l’anno scorso, cioè quando c’era un governo sovranista che non lo diceva apertamente ma aveva nel suo programma anche l’ipotesi di uscire dall’euro e dall’Unione europea. Certo, Salvini non lo diceva ad alta voce ed in modo esplicito, ma lasciava che lo dicessero alcuni dei suoi, non fosse altro perché era convinto che servisse a guadagnare consensi in un’opinione pubblica spinta a pensare che l’Europa fosse nemica perché la maggior parte dei problemi da lì venissero. Ora la situazione è completamente cambiata, sia nella dinamica dei rapporti tra Bruxelles e Roma, sia nel sentire profondo degli italiani. Ma questo non vuol dire che Conte abbia la garanzia che Merkel e Macron si accontentino di sapere che Salvini non è più al governo, né che l’aiuto sia elargito senza sapere come verrà speso. Tanto più che il presidente del Consiglio continua a commettere l’errore di chiedere soldi senza mai indicare uno straccio di programma che consenta di credere che non verrà commesso ancora una volta l’errore esiziale degli ultimi anni: spendere (e fare debito) senza produrre pil, o comunque in modo non proporzionato.

 

Vi ricordate la lettera dalla Bce di Draghi al governo Berlusconi in cui si dettava l’agenda delle cose da fare? Ecco, ora c’è aspettarsi qualcosa di simile, anzi di ancora più stringente in termini di riforme strutturali da realizzare, di investimenti in conto capitale da mettere in piedi, di tagli di spesa corrente improduttiva da decidersi a fare, di semplificazioni e sburocratizzazioni da trasformare da auspici a concrete realizzazioni. Così come si vorrà degli impegni sul rientro dal debito, quando sarà il momento (non ci chiederanno di rientrare in un anno dal 160% del debito-pil, sarebbe illogico, ma porre le basi per una riduzione, sì). La logica è stringente: noi, anche pagando un prezzo politico interno – ognuno hai suoi nazionalisti e populisti alle calcagna – vi mettiamo in condizione di salvarvi, e con voi la moneta e l’eurosistema, e siccome per farlo mutualizziamo i costi di tale salvataggio, voi vi date finalmente una regolata.

Si dirà: si scrive invitati a fare, si legge costretti a fare. Vero. Ma possiamo forse dar loro torto? Io no, anzi spero vivamente che sia la volta buona che si faccia quel che da almeno trent’anni non si fa più: governare. E pazienza se è per costrizione. Sono cose che avremmo dovuto e dovremmo fare da soli, ora c’è l’occasione di poter “approfittare” (brutta parola, ma efficace) di questa occasione imprevista, tragica e straordinaria nello stesso tempo, del coronavirus. Come ha detto giustamente Marcello Sorgi in un mio War Room, “a novembre eravamo un paese che non riusciva a trovare i 13 miliardi per evitare di far scattare l’aumento dell’Iva, adesso siamo un paese che non deve più stare nell’ambito del Patto di stabilità, che probabilmente riceverà un centinaio di miliardi a fondo perduto, che è stato autorizzato ad indebitarsi tanto che abbiamo fatto due decreti per farlo, che potrà attingere al fondo Sure e al Mes, che ha la Bce che compra titoli e calmiera il mercato, ma chi ce lo doveva dire una cosa di questo genere?”.

 

Ma questo – e qui si ritorna al tema da cui siamo partiti, il quadro politico nazionale – non sarà il giudizio di almeno una delle due maggiori forze di maggioranza, e di due su tre di quelle di opposizione. Che cosa faranno quando ci sarà da decidere se prendere o non prendere i soldi del Mes? Come reagiranno se prima di farci mettere mano al recovery fund ci chiederanno degli impegni scritti o comunque palesi? Sempre Sorgi ci ricorda che finora abbiamo visto ingoiare dai 5stelle un rospo dopo l’altro, da quello dell’Ilva a quello delle trivelle, dai vaccini alla Tav. Vero, ma è altrettanto vero che la corda del movimento è talmente tesa che non ci sarebbe nulla di strano se si rompesse da un momento all’altro. E questi i passaggi europei sono rospi troppo grandi da poter essere inghiottiti per molti parlamentari grillini. Nello stesso tempo, il centro-destra è palesemente spaccato su questo fronte. E non solo perché Berlusconi, ascoltati i buoni suggerimenti di Gianni Letta, ha finalmente deciso di varcare il Rubicone e porre i voti di Forza Italia al servizio di accordi europei ragionevoli, ignorando (era ora) i bei di Salvini e Meloni. Ma anche e soprattutto perché nella Lega e forse anche in Fratelli d’Italia ci sono molti dubbi sull’idea di tenere una posizione oltranzista. Le posizioni di Giorgetti – su cui può confluire anche Zaia, che ha guadagnato credito in questi mesi difficili – sono ormai venute allo scoperto, e lui non fa mistero della necessità di costruire un fronte di salvezza nazionale di fronte alla gravità della crisi e alla complessità dei problemi che il Paese ha di fronte. Cosa che è facilitata dall’ormai palpabile appannamento di Salvini e dal conseguente continuo arretramento della Lega nei sondaggi. Più complicate sono le dinamiche in casa Meloni, non fosse altro per il motivo opposto, e cioè la crescita del partito e della leader nei sondaggi, cosa che tende a soffocare le distinzioni. A meno che non sia la stessa Meloni a rendersi conto, a un certo punto, che le potrebbe convenire di più vestire i panni del rassicuratore piuttosto che quelli del guerriero.

 

In tutti i casi questi processi, ancora molto carsici ma sufficientemente visibili, vanno considerati come positivi. C’è bisogno di ridurre il peso delle componenti populiste e sovraniste, siano esse al governo che all’opposizione. E, di conseguenza, unire le forze più ragionevoli. Certo, ci sarebbe anche bisogno di sangue nuovo e diverso nelle vene della nostra politica. Come ha detto nel suo discorso di insediamento il nuovo presidente nazionale di Confindustria, Carlo Bonomi, abbiamo bisogno di un programma di governo che ci consenta di recuperare al più presto i punti di pil – almeno 10%, ma temo decisamente di più – che perderemo quest’anno e anche i tre punti che a fine 2019 ancora ci separavano dal 2008. Un impegno di 2-3 anni mostruoso, considerato che ci siamo abituati a muoverci tra stagnazione e al massimo fragili ripresine. Uno choc, come ho scritto la scorsa settimana, arrivando a dire uno qualunque purchessia. E per farlo abbiamo bisogno di forze che siano disposte a costruire il loro consenso su quei progetti di sviluppo e non sulla distribuzione assistenziale di risorse che non abbiamo (e quindi a debito), oltre che avere idea di come fare, e cioè dotato di una cultura politica solida e non solo mediatica e twittarola. Ma la nascita di nuove realtà sarà tanto più possibile quanto si renderà dinamico (e le spaccature interne ai partiti, se sono basate su differenziazioni programmatiche e non personalistiche, producono sempre dinamismo) il quadro delle forze già rappresentate in Parlamento. Speriamo che l’Europa ci aiuti anche in questo. Forza Merkel, grazie Macron.

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