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L'editoriale di TerzaRepubblica

MESe crisi di Governo

DEBITO, RISPARMI, CREDIBILITÀ: IL MES NON VA USATO PER REGOLARE I RAPPORTI TRA I PARTITI E NEL GOVERNO

06 dicembre 2019

Il governo non cadrà per colpa del MES, il Meccanismo Europeo di Stabilità altrimenti detto Fondo Salvastati. Alla fine, allungando i tempi di approvazione e facendo qualche ritocco marginale che l’Italia piagnucolando implorerà la Ue di ottenere e che Bruxelles concederà nella solita logica di riduzione del danno, cioè per evitare fughe in avanti sovraniste, si monterà una sceneggiata in cui si tenterà di far credere di aver ottenuto chissà quali mirabolanti risultati. Tentativo pietoso che tornerà a unire tutte le componenti della maggioranza e l’opposizione che fin qui se le sono date di santa ragione, salvo che ciascuno se ne attribuire il (presunto) merito. Ma se il Conte2 non ci lascerà le penne, almeno per questa buccia di banana, di sicuro a cadere sarà l’ennesima occasione per la politica italiana di dimostrare di avere un briciolo di dignità e di capacità di entrare nel merito dei problemi complessi e affrontarli con serietà e competenza.

La nascita del MES è datata 2012, e quando fu approvato la maggioranza parlamentare risultò larghissima perchè era chiaro l’interesse di tutti a disincentivare la speculazione sui debiti eventualmente in sofferenza. Inoltre, ma questo sfuggì ai più, il suo avvento servì, tra l’altro, a facilitare la Bce ad imprimere una svolta radicale nella politica monetaria, quella che ha potuto ridimensionare il costo del debito pubblico, facendo risparmiare un sacco di soldi ai paesi più indebitati, Italia in testa, e consentendo di guadagnare tempo prezioso nel riaggiustamento delle politiche economiche, tempo che noi abbiamo sciaguratamente sprecato. Anche i passaggi successivi, compreso quello del giugno scorso (quando ancora regnava il Conte1) non sono mai stati oggetto di contenzioso politico interno, forse per la difficoltà dei nostri Pico della Mirandola di maneggiare una materia così complicata. Neppure da parte dei sovranisti nostrani, che vorrebbero farci credere che essendo (allora) al governo obbedirono al precetto di non sollevare temi di stampo anti-europeo. Poi, improvvisamente, ecco esplodere la polemica, soprattutto dentro la maggioranza (sempre alla ricerca di motivi del contendere). Una polemica, con tanto di trombe del nazionalismo a produrre rumore stonato, che impedisce, ancora una volta, di affrontare questioni della massima importanza, come è quella del MES, con la serietà e l’efficacia necessarie. Proviamo dunque qui a sistematizzare, per punti, i diversi aspetti della adesione italiana al MES.

Primo. L’esistenza dell’European Stability Mechanism è cosa buona e giusta per l’Europa e, tanto più, per l’Italia. Disconoscerlo in linea di principio, significa essere contro il processo di integrazione europea, e di conseguenza tifare per il fallimento dell’euro e dell’eurosistema. Chi lo fosse, libero di esserlo, ma abbia il coraggio di dirlo con chiarezza e senza reticenze e furbizie.

Secondo. Anche le cose buone sulla carta, possono rivelarsi negative se male applicate. Per esempio, è vero che le proposte di riforma che sono state formulate dall’Eurogruppo lo scorso giugno presentano alcune criticità, sia per l’Unione Europea che per l’Italia, anche di non poco conto. Per esempio: l’eccesso di potere assegnato al MES (che viene definito come insindacabile e irresponsabile), tra l’altro a discapito della Commissione europea, con conseguente confusione e inadeguatezza degli organi che sovraintendono all’operatività del MES; la pericolosità delle Cacs (Clausole di azione collettiva) che a partire del 2022 renderanno più facile obbligare gli Stati membri a procedere forzosamente alla ristrutturazione dei debiti; la mancata chiarezza circa il coinvolgimento dei privati in caso di intervento di ristrutturazione del debito; la necessità di evitare che un’eventuale crisi del debito sovrano si trasformi in crisi del sistema bancario, tema tanto più importante per l’Italia visto che gli istituti di credito hanno in portafoglio circa 400 miliardi di titoli del debito nazionale. Cose di non poco conto, dunque, che non a caso hanno indotto due sinceri europeisti come il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, e il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, ad esprimere, seppure con grande prudenza per evitare strumentalizzazioni sovraniste, specifiche preoccupazioni per alcuni passaggi della proposta di riforma. Ma nulla a che fare con le sparate tipo “alto tradimento” perchè “il nuovo Mes danneggia gli italiani” cui in modo irresponsabile si sono lasciati andare i Matteo Salvini o i distinguo irrituali per essere ministro degli Esteri venuti da Luigi Di Maio.

Terzo. La quantità di debito pubblico che l’Italia ha accumulato e continua ad accumulare è tra i più gravi problemi che abbiamo, anche perchè è alimentato fondamentalmente da una spesa pubblica solo di natura corrente, e non in conto capitale, che non fa crescere il denominatore nel rapporto tra il debito e il pil. Tuttavia, quel debito, pur di dimensione patologica, è stato fin qui, ed è tuttora, sostenibile. Perchè alla sua sostenibilità concorrono altri fattori del sistema economico, dai conti con l’estero al risparmio privato, che rendono il quadro complessivo del paese ben più complesso di quello reso dalla sola finanza pubblica. Infatti, il debito aggregato, cioè quello pubblico più quello privato, è nella media europea, mentre il patrimonio delle famiglie supera di oltre tre volte il debito dello Stato. Dunque, al contrario di quel che lasciano credere gli incoscienti che strillano sul MES facendo immaginare che con la sua approvazione ci auto-costringiamo a servircene, non corriamo il rischio immediato di bancarotta. Naturalmente, non è questa una condizione acquisita per sempre. Lo spread e il giudizio delle società di rating ci dicono che i mercati stanno col fucile spianato e che, in caso di crisi, saranno comunque loro – MES o non MES – a costringerci, prima o poi, a usare quella massa di risparmio per avviare la discesa del debito che le riforme, sbagliate e soprattutto mancate, non sono state capaci di realizzare.

Allora, anziché abbaiare alla luna, perchè i politici starnazzanti non pongono a se stessi e agli italiani il tema di come si pensa di poter reggere a lungo un debito ormai prossimo al traguardo, psicologicamente devastante, del 140% del pil e dei 2.500 miliardi di valore assoluto? E di quale risposta dare, non in termini polemici o mediatici, ma concreti, alle previsioni della Commissione Ue e del Fondo monetario internazionale, secondo cui a politiche invariate il debito aumenterà di 10 punti prima del 2030 e di oltre 20 (arrivando così al 160% del pil) in circa 15 anni.

In conclusione, ci sono ottime e fondamentali ragioni che militano a favore dell’apertura di questo nuovo ombrello protettivo europeo, e ci sono buone e circostanziate ragioni per cui sarebbe utile aggiustarne alcune sue parti, evitando di dare per scontato che il testo sia ormai intoccabile. Sapendo che l’esistenza del MES non ci risolve certo il problema dell’eccesso di debito pubblico, ma come l’airbag in un’automobile offre uno strumento per risolvere in maniera meno traumatica possibile un’eventuale – il cielo non voglia – crisi finanziaria nazionale. Per centrare l’obiettivo del miglioramento del testo non ha certo senso rifiutare la firma del Trattato, né serve più di tanto tirare la palla avanti e guadagnare tempo, mentre è indispensabile avere credibilità e muoversi con intelligenza politica e diplomatica. Per esempio, allargando il fronte delle questioni aperte, dal completamento dell’Unione bancaria europea alla assicurazione sui depositi. Tutte qualità che andavano messe in campo prima e che ora, invece, rischiamo o non di avere o di usare tardi e male. Per questo deve essere chiaro agli italiani che chi “mette a rischio” i loro risparmi – per usare uno slogan della Lega – sono per l’appunto quelle forze politiche che sostengono la necessità di fare più deficit spending inutile (cioè assistenziale e non per investimenti, e dunque incapace di produrre crescita), e quelle che mettono in dubbio, apertamente o nei fatti, l’appartenenza dell’Italia all’eurosistema. È ora di finirla con i piromani che prima appiccano il fuoco e poi ne denunciano i rischi.

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