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L'editoriale di TerzaRepubblica

L'errore del rinvio

ANCHE SE C’È UN “GOVERNO TECNICO” GIÀ IN AZIONE, LE ELEZIONI ANTICIPATE SONO INDISPENSABILI

 

12 luglio 2019

In politica i tempi sono tutto. Puoi immaginarti la più astuta delle mosse o partorire la migliore delle idee, ma se sbagli la tempistica, anticipando o aspettando troppo, sei fritto. È questo l’errore esiziale che a suo tempo hanno commesso Silvio Berlusconi – che non si accorse come la comunità internazionale, europea e non, lo avesse messo all’indice dopo aver reiterato all’eccesso le sue illusioni – e Matteo Renzi, che tronfio del successo alle elezioni europee del 2014, non ascoltò chi (noi tra questi) gli suggeriva di uscire dal Pd e fare in quel momento il partito riformista che oggi non trova la forza di creare, così come, visto che restava dentro il Pd,  di andare subito ad elezioni anticipate. Ed è questo il rischio (mortale) che sta correndo ora Matteo Salvini nell’indugiare a decidersi a mettere fine all’alleanza con i 5stelle e archiviare il governo Conte. Esperienza, questa, che era già finita con la tormentata manovra di bilancio chiusa allo scadere della fine del 2018: da gennaio non esiste più quella maggioranza – i due partiti sono separati in casa che non hanno più ragioni di convivenza se non la (presunta) convenienza – e di conseguenza ha perso ogni ragion d’essere l’esecutivo che era stato partorito sei mesi prima attraverso la trovata del “contratto di governo”.

Ma si è voluto far finta di niente, e usare i cinque mesi – in politica, un’eternità – che occorrevano per arrivare alle elezioni europee del 26 maggio, per fare campagna elettorale usando (e abusando) del fatto che 5stelle e Lega sono naturalmente portati, vista la comune radice populista, ad essere “di lotta e di governo”, capaci di rivestire contemporaneamente, dentro di loro e tra loro, il doppio ruolo di partiti di maggioranza e di opposizione. Poi si è detto: aspettate che l’esito del voto europeo ribalti i rapporti di forza tra Salvini e Luigi Di Maio, e vedrete che il capo della Lega regolerà i conti con l’estemporaneo alleato e tornerà a ragionare in termini di centro-destra. Ma nessuno, neppure Salvini, si aspettava un totale rovesciamento degli equilibri elettorali. Così, gasato dai sondaggi che gli hanno continuato a pronosticare che il traguardo del 40% fosse a portata di mano, e convinto che un alleato così generoso nel portare acqua al suo mulino non lo avrebbe più potuto trovare, il segretario della Lega si è messo in testa di far rendere la sua lucrosa posizione politica fino al punto da essere in grado, dopo una formidabile vittoria elettorale, di poter formare un governo monocolore (mi perdonerete, cari lettori, il vezzo di usare un vocabolo della Prima Repubblica, ormai desueto), o al massimo con l’ausilio ancillare del partito di Giorgi Meloni. Speranza comprensibile e per certi versi persino fondata, ma sicuramente molto pericolosa. Perché se poi ti capita tra capo e collo un imprevisto, ecco che ti tocca rimpiangere di non aver dato ascolto al vecchio e saggio consiglio della nonna che dice che “il meglio è nemico del bene”. E ora a Salvini l’insospettato accidente è capitato. Anzi due.

Il primo è rappresentato dagli esiti europei delle elezioni continentali. Terza vi ha già offerto il nostro punto di vista: Salvini ha perso le elezioni, se si considera che il loro scopo era quello di formare il parlamento europeo e in esso le maggioranze che governano Bruxelles, attraverso la Commissione Ue e il Consiglio europeo, e determinano gli equilibri dentro la Bce. E che questo sia stato il risultato lo si è visto plasticamente nei giorni scorsi, quando l’alleanza tra popolari, socialisti e liberaldemocratici, dispostasi lungo il tradizionale asse franco-tedesco, ha fatto banco, tenendo fuori dai giochi non solo la Lega, ma anche i grillini e di fatto l’Italia intera. Certo, non vanno sottovalutate le difficoltà che gli accordi raggiunti stanno incontrando, ma non diminuisce la portata dell’isolamento italiano. Ed è in questo quadro di (auto)emarginazione che in queste ore Salvini è stato investito dal secondo, e ancor più grave, guaio: l’affaire Metropol. Naturalmente, può darsi che si tratti di una sporca fakenews, come ovviamente Salvini e i suoi hanno subito bollato la faccenda, ma qui non è tanto la presunta dazione di denaro russo alla Lega che conta – per quella occorrono prove che per ora non ci sono – quanto i risvolti di intelligence e politici che non la vicenda, ma il suo esplodere in modo così forte, fa emergere. Qualcuno si è incaricato di pedinare, ascoltare e trascrivere, fotografare, filmare. È roba da professionisti, non da pizzicagnoli. E quale che siano gli intenti di chi ha ordinato e pagato una simile operazione, la cosa mette sicuramente in evidenza la debolezza, se non peggio, delle coperture internazionali dell’uomo forte della politica italiana. Quello stesso che ha voluto rinunciare a lucrare in termini elettorali il suo indubitabile consenso pensando di poterlo riscuotere con gli interessi più avanti, proprio perché, al contrario di come oggi appare, era convinto e sicuro di avere il vento in poppa sotto ogni profilo. Tanto più dopo la sua recente visita a Washington e dopo essere stato protagonista nell’accoglienza di Vladimir Putin a Roma.

Non sappiamo se ora Salvini si stia mangiando le mani, ma certo chiudere la partita subito dopo il voto di maggio sarebbe stato meglio. E non solo per lui, visto che il Paese soffre questa impasse come dimostrano le previsioni economiche del governatore della Banca d’Italia offerte alla platea dei banchieri riuniti a Milano per celebrare i 100 anni dell’Abi, la loro associazione: solo +0,1% di crescita del pil quest’anno (contro il +1,2% previsto per la Ue) ma soprattutto ci si fermerà allo zero virgola sia nel 2020 che nel 2021. Per fortuna, come si è visto plasticamente proprio all’Abi dove la classe dirigente del Paese si è raccolta intorno al Presidente della Repubblica, dentro il governo si è formato, come nel gioco delle matrioske, un “governo tecnico”, formato dallo stesso premier Conte – che ormai ha abbandonato ogni collateralismo pentastellato e ha come stella polare il Quirinale – e dal ministro Tria, cui va principalmente il merito di aver evitato che la procedura d’infrazione europea procedesse, con Mattarella come fondamentale punto di riferimento. Ma anche questa azione di surroga – che si è andata formando per sia attenuare le conseguenze dello sfibrante scontro continuo tra i due partiti di governo sia per contenere il crescente strapotere di Salvini e le sortite anti-euro (vedi i mini Bot) di alcuni dei suoi – se da un lato ha facilitato il tirare innanzi del vicepremier leghista, dall’altro ha dimostrato i limiti della sua azione.

Vedremo ora se Salvini vorrà con un colpo di reni approfittare della finestra non ancora del tutto chiusa – mancano pochi giorni – per andare alle elezioni a fine settembre, o se invece le ultime vicende lo indurranno ad aspettare a maggior ragione. Non sappiamo prevedere, perché ormai la politica italiana recita a soggetto. E non stiamo parlando della sublime tecnica recitatoria, le cui tracce risalgono ad Aristofane, che in assenza di un vero copione permette agli attori sul palcoscenico di sprigionare tutta la loro arte creativa, ma di una ben più banale povertà di contenuti e strategie che costringe tutti, i politici per scelta e cittadini di riflesso, a campare alla giornata. Ci si affanna a decrittare ciò che è già accaduto e a divinare ciò che dovrà accadere rincorrendo trame, più o meno segrete, mentre in realtà non solo non c’è alcuna sceneggiatura, ma neppure la più spicciola ed stracciona delle tattiche. Scrivemmo in occasione delle elezioni politiche del marzo 2018 che questa che viviamo sarebbe stata inevitabilmente una legislatura breve e che l’unica speranza che ci sentivamo razionalmente di coltivare era che potesse avere come risultato positivo il sostanziale azzeramento della geografia politica, populista e sovranista, che si era determinata. La sonora sconfitta dei 5stelle, per quanto li lasci ancora in una posizione non certo marginale quanto meno dal punto di vista dei numeri, è stato il primo tassello di questa indispensabile fase destruens. Forse seguirà una loro riarticolazione tra la componente più governativa e dorotea, che guarda al centro e a destra, e quella più barricadera, che guarda a sinistra. Ora, dopo l’infelice esperienza di governo pentaleghista, è il recupero della Lega ad alleanze più proprie e a una linea politica più matura e responsabile, è certamente un altro degli obiettivi. Sperando che si possa al più presto voltare decisamente pagina.

 

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