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L'editoriale di TerzaRepubblica

Armageddon italico

SANZIONI EUROPEEGUERRA MAGISTRATURA-MEDIA E GOVERNO VIRTUALE. ARRIVA L'ARMAGEDDON ITALICO

07 giugno 2019

“Tu chiamale se vuoi, congiunzioni astrali”. La situazione è grave, e parafrasare Lucio Battisti addolcisce un po’ l’amaro calice che, per lo più ignari, stiamo bevendo e tra un po’ saremo costretti, con violenza, a trangugiare. Sta di fatto che mai come oggi, forse neppure nel 1992 e seguenti e nel 2011, si erano verificate una congerie di situazioni tali da esporre il Paese a un pericolo mortale. Mettiamole in fila.

Il voto europeo ha dato all’Italia il non invidiabile primato di unico paese Ue in cui le forze nazional-populiste sono in maggioranza (lo è anche l’Ungheria di Orbán, ma il suo partito Fidesz-Unione Civica Ungherese, è nella sfera del Ppe, e questo fa la differenza). Ergo è isolato in sede comunitaria, e nulla vale lo sbraitare sulla fine del mandato dell’attuale Commissione Ue, visto che gli equilibri politici nel nuovo parlamento europeo (Popolari e Socialisti più Liberali e forse Verdi) e tra i paesi (asse franco-tedesco come architrave fondamentale) escono dal voto confermati. Tutti sanno che l’Italia è un socio fondatore della Ue e che, dopo Brexit, è la terza economia e la seconda potenza manifatturiera continentale, ma questo non toglie – anzi, per certi versi, accentua – l’intenzione dei partner di non concedere a nulla a interlocutori considerati inaffidabili, e nella fattispecie ad un governo che ha la data di scadenza di uno yogurt. La dimostrazione del nostro isolamento viene dall’esclusione dell’Italia dal primo degli incontri che servono a decidere le nuove cariche europee (Commissione, Consiglio e Bce), e dalle prime indiscrezioni che vogliono veder assegnato all’Italia un dicastero europeo di secondo piano e basta (mentre ora abbiamo Draghi, Tajani e Mogherini in tre posizioni rilevanti). Ma anche dall’atteggiamento del governo francese sull’ipotesi di fusione tra Fiat-Chrysler e Renault – peraltro pienamente legittimo, nonostante gli starnazzamenti di chi fino a ieri diceva che Parigi ci voleva colonizzare – segno di una totale mancanza di fiducia nell’interlocutore italiano, pubblico o privato che sia.

D’altra parte, la crisi di governo, dopo la irrituale conferenza stampa del presidente Conte, è virtualmente aperta. L’esecutivo gialloverde, in realtà, era già in stand by dal primo gennaio, quando con la manovra di bilancio si era esaurita la funzione del “contratto di governo” e si era aperta la lunga (5 mesi!) e demenziale campagna elettorale per amministrative varie ed europee. Ma l’esito del voto – il rovesciamento del peso di 5stelle e Lega – e le tossine di uno scontro senza precedenti tra forze della stessa maggioranza, hanno indotto Conte, in modalità autotutelante, a dichiarare che il re è nudo. Ora può darsi che i cerotti di un rimpasto e di una rinegoziazione programmatica – tali da fotografare i nuovi equilibri politici determinati dal voto – ci mettano una pezza momentanea, ma è evidente che non si andrà lontano. Anche perchè, ci aspetta una manovra pesantissima in un quadro congiunturale deprimente e sotto il tiro incrociato di Bruxelles e dei mercati.

L’avvio delle pratiche per la procedura d’infrazione per debito eccessivo è la premessa di un braccio di ferro con la Ue (vecchia e nuova Commissione non farà alcuna differenza) il cui esito non prevede che sia Bruxelles a calarsi i pantaloni, e mente o non capisce chi racconta il contrario. Non sappiamo se sarà questo governo (o simile rimpastato) ad affrontare la tenzone, o se si preferirà formalizzare la crisi per usarla come arma di prevenzione per sfuggirvi. Ma se e quando la corda con l’Europa fosse di nuovo tesa come è stato tra novembre e dicembre per la scorsa manovra, a mollare saremo comunque noi. O perchè qualcuno sarà stato così pazzo da portare alle estreme conseguenze lo scontro, o perchè, come accadde l’anno scorso, dopo aver sbraitato alla fine ci si arrenderà. Il problema, però, è che nel frattempo saranno lo spread e le agenzie di rating a sanzionarci. Il differenziale Btp-Bund, pur essendo tornato per un momento intorno a quota 300, finora non ha strappato, grazie all’azione calmieratrice della Bce, ma il recente avvertimento lanciato da Moody’s – il cui rating sull’Italia, Baa3, sarà rivisto il 6 settembre e se tagliato di un solo gradino diverrebbe junk, equiparando i Btp a “spazzatura” – ipotizza che se il governo italiano insisterà sulla flat tax in defict e a non aumentare l’Iva sarà “un clima di mercato in peggioramento a spingere il governo a cambiare politiche”. Tanto più se, come hanno detto per tutta risposta Di Maio e Salvini mentre ravvivano il fuoco del loro feeling dopo settimane a dir poco conflittuali, il governo “non dovrà procedere a manovre correttive” mentre “vanno stravolte le regole imposte dall’Europa negli ultimi dieci anni”, illudendosi e illudendo che il debito si possa ridurre tagliando le tasse e confermando di voler lavorare sull’idea dei minibot come strumento di pagamento dei debiti della pubblica amministrazione, pur se già adeguatamente bocciata da Draghi (“o sono valuta, e quindi illegali, o sono nuovo debito”).

Se dunque la linea della rappacificazione dentro il governo passa per una rinnovata battaglia politica nei confronti di Bruxelles, e quindi suona come una presa di distanza nei confronti del Presidente della Repubblica, unica garanzia dei nostri interlocutori europei, allora sarà come aver buttato benzina sul fuoco. Anche perchè l’Europa, stretta nella morsa tra Russia e Stati Uniti, è chiaramente sotto attacco nello scacchiere geopolitico mondiale, e dovrà serrare le fila, mollando al loro destino coloro che considera nemici interni. A Roma, impegnata nelle beghe nazionali, è sfuggito il senso dell’attacco che da Londra Trump ha rivolto al Vecchio Continente, ma nelle altre cancellerie e a Bruxelles e Francoforte è stato colto con la dovuta attenzione (e apprensione): con lo stile grossolano e alieno dalle sottigliezze diplomatiche che gli è proprio, il presidente americano ha incitato i britannici a portare fino in fondo la Brexit, suggerendo non solo di non pagare quanto dovrebbero restituire alla Ue ma persino di farle causa, rassicurandoli che gli Usa sono pronti a fare con loro accordi commerciali bilaterali di massimo favore. Ergo, un serrato incitamento a lasciar perdere quei pezzenti di europei (vedi la polemica sui contributi alle spese Nato), che si traduce in un truculento attacco all’Europa, e alla Germania dell’odiata Merkel in particolare, che Trump considera nemici sul piano politico, strategico e, soprattutto, commerciale. Di fronte al quale, giocoforza, ciascun membro della Comunità dovrà decidere, senza alcuna ambiguità, da che parte stare. Salvini e Di Maio sono pronti a farlo?

Insomma, siamo appesi ad un ramo che si sta spezzando. Anzi, è l’intero albero che rischia di crollare. E sì, perchè come se non bastasse rischia di cedere l’architrave fondamentale su cui, nell’ultimo quarto di secolo, si è retto il sistema paese. Ci riferiamo all’asse magistratura-media, i cui scricchiolii sono evidenti da quando è scoppiato il “caso Csm”, dando la sensazione che sia iniziata una guerra interna alla magistratura e di conseguenza in quei mezzi di informazione che di essa sono stati strumento decisivo, consapevole o meno che fossero. Ora, chi come noi ha sempre fatto del garantismo la propria stella polare e non ha mancato in tutti questi lunghi anni di alterazione del rapporto tra giustizia, politica, potere economico e media di denunciare la degenerazione del sistema, di fronte alla sgretolamento di questo equilibrio malsano potrebbe essere indotto a festeggiare. Magari ricordando la profezia del presidente Cossiga, che diceva che il sistema edificato con la Tangentopoli del 1992 era destinato a durare fino a quando “i magistrati non si arresteranno tra di loro”. Tuttavia, essendo responsabili, ci rendiamo conto che queste prime scosse che stiamo avvertendo potrebbero preludere ad un terremoto che non solo farà morti e feriti, ma rischia di rivelarsi devastante se non ci fosse – e non c’è – chi sa gestire il cambiamento incanalandolo verso nuovi e più sani equilibri. Qui, invece, è facile pronosticare un “tutti contro tutti”, tanto più tragico se si considera il contesto, interno ed europeo, che abbiamo provato a descrivervi.

“Tu chiamale, se vuoi, emozioni”, direbbe il grande Lucio Battisti. Ma equivarrebbe a “guidare come un pazzo a fari spenti nella notte per vedere se poi è tanto difficile morire…”.

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