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L'editoriale di TerzaRepubblica

La svoltina moderata del Governo

LA “SVOLTINA” MODERATA DEL GOVERNO È SOLO FINALIZZATA ALLE FUTURE MOSSE POLITICHE DI SALVINI

07 settembre 2018

Qualcuno l’ha chiamato “ravvedimento operoso”, mutuandolo dalla terminologia fiscale. Altri più prosaicamente hanno parlato di un furbesco mettersi a vento. Sta di fatto che negli ultimi giorni il linguaggio del governo, e in particolare di Salvini e Di Maio, sia sulle scelte di politica economica che ci si accinge a fare sia su Europa, euro e mercati è improvvisamente e drasticamente cambiato. Con il risultato che mentre si era arrivati a pronosticare una “tempesta perfetta” in arrivo (Giorgetti) in coincidenza con il giudizio dell’agenzia di rating Fitch – che ha cambiato in negativo le sue aspettative sull’Italia – come per incanto lo spread è sceso di una quarantina di punti, il rendimento dei Btp decennali è tornato sotto il 3% e la Borsa ha rialzato la testa. Bene. Ma è sufficiente? No, decisamente no. Per tre motivi fondamentali.

Il primo è che a cambiare, per ora, è stato solo il linguaggio. Si dirà: ma è proprio sulle espressioni mediatiche e non su atti concreti che era nata l’idea che l’Italia potesse tornare a vivere lo tsunami dell’autunno 2011, quando lo spread a 600 punti costrinse Berlusconi a passare la mano a Monti. Vero. Ma è altrettanto vero che ora, tra la nota di aggiornamento del Def e la bozza della legge di Stabilità, è il momento delle decisioni impegnative. Dunque, il tema da adesso in avanti è: le scelte legislative saranno coerenti con le dichiarazioni roboanti, un impasto di populismo e demagogia, che per mesi ci hanno assordato, riscatenando così le reazioni degli operatori finanziari e dell’Europa, fin qui tutto sommato moderate? Oppure saranno in linea con i toni pacati all’insegna de “rispetteremo le regole europee” a cui anche i pasdaran pentaleghisti si sono adeguati nonostante che solo qualche settimana fa quando le stesse parole e le medesime modalità comunicative venivano usate dal ministro Tria se ne immaginava la cacciata dal governo per eccesso di conservatorismo? Difficile dire. Anche perché il cambiamento d’atteggiamento è stato così repentino e non sorretto da alcuna analisi revisionistica, che nessuno può ragionevolmente scommettere su come sarà davvero la manovra di bilancio. E quando il pronostico su scelte basilari per un qualunque governo e per qualsiasi maggioranza parlamentare è “1-2-X”, c’è da preoccuparsi non poco.

E qui veniamo al secondo motivo di preoccupazione: la rispondenza della politica economica alle esigenze del Paese. Finora la discussione pubblica è stata un po’ surreale, perché fondamentalmente basata sulla domanda rivolta a 5stelle e Lega: in quale misura e in che tempi realizzerete le cose che avete scritto nel contratto di governo, e che a loro volta discendono da quanto promesso in campagna elettorale? Lo schema fin qui è stato: se del reddito di cittadinanza, della flat tax e della revisione della legge Fornero ne faranno una piccola parte, spiegando che occorre spalmare quei provvedimenti su tutti i cinque anni della legislatura, allora sarà andata bene perché si potrà contenere il deficit entro il 2% e sperare che Bruxelles sia sufficientemente comprensiva. Al contrario, se si pigerà sull’acceleratore, magari in una rincorsa tra i due soci di governo a chi spinge maggiormente le proprie proposte nella speranza di guadagnare più consensi, allora sarà andata male perché si sforeranno i parametri Ue e persino i margini di elasticità che si possono strappare. Nessuno, o quasi, però, si preoccupa di valutare se, a prescindere dal dosaggio e quindi dai costi, quel pacchetto di misure sono ciò che serve alla nostra economia per evitare di riscivolare nella zona grigia della crescita “zero virgola”. Noi, in questa sede, l’abbiamo detto senza riserve fin dal primo momento: non è questa la ricetta giusta. L’Italia ha bisogno di un piano di investimenti sia per l’allargamento della base produttiva e la riqualificazione della sua offerta di prodotti e servizi, sia per la sua modernizzazione infrastrutturale. E tutte le risorse vanno dunque concentrate a questi fini, sapendo che la crescita del pil non può essere drogata dal sostegno ai consumi (oltre ad essere sbagliato, non funziona, come dimostrano gli 80 euro renziani) e che i posti di lavoro non si creano per decreto. E abbiamo anche aggiunto che pure per la nostra, di ricetta, occorre sforare il parametro del deficit. Probabilmente di più di quanto potessero avere in mente Salvini e Di Maio. Ma il contesto nel quale si deve calare una simile circostanza necessita di due fondamentali caratteristiche: la riaffermazione della scelta europeista, anzi degli Stati Uniti d’Europa, e non certo di quella sovranista, per cui la negoziazione con la Ue è nel quadro del rafforzamento dell’eurosistema e del patto con Francia e Germania; una contestuale manovra sul debito, ai fini di una sua riduzione una tantum sotto la soglia del 100% del pil. Per questo non ci appassiona sapere se staremo sopra, a pari o sotto il 2% di deficit, che è la soglia che i primi abbozzi di manovra, da circa 30 miliardi, sembra aver preso come punto di riferimento. Se anche fossimo sotto, ci saremmo risparmiati la guerra dello spread e il braccio di ferro con l’Europa – e comunque non è poco, questo non ci sfugge – ma non avremmo risolto alcuno dei problemi strutturali che affliggono la nostra economia da oltre un quarto di secolo.

C’è infine un terzo motivo, più politico, per cui il ravvedimento verbale di queste ore del governo pentaleghista non ci toglie le preoccupazioni. Noi riteniamo che di Salvini si possa pensare qualunque cosa, meno che sia stupido. Ed è il leader della Lega che mena la danza fin dal primo momento. È lui che ha scelto la linea dura, costringendo Di Maio a inseguirlo anche per non dar fiato alla sua potenziale opposizione interna. Ed è sempre lui che ora ha bagnato le polveri, inducendo il leader grillino a tirare fuori dall’armadio il doppiopetto (non a caso ha chiuso l’assurda vertenza Ilva proprio adesso). Ma perché l’ha fatto? Tutti hanno puntato sulla paura come spiegazione più logica. Sulla paura ingenerata dall’alert che la Bce ha trasmesso a Roma circa i titoli italiani, che da questo mese non sono più acquistati come prima dalla banca centrale europea con il sistema del Quantitative Easing, e sempre meno lo saranno nelle prossime settimane. E sulla paura che il mugugno degli imprenditori, specie del triveneto, si possa trasformare in una vera e propria rivolta, magari coinvolgendo anche i lavoratori delle imprese manifatturiere, con tutto quello che ne conseguirebbe in termini di tenuta del consenso potenziale che Salvini ha saputo fin qui generare in modo quasi clamoroso. Ma è possibile che esista anche un Salvini preoccupato? Non è da escludere, ma ci convince poco. Pensiamo, invece, che lo abbia indotto a cambiare atteggiamento una valutazione di natura squisitamente politica. E cioè che è venuto il momento di rompere con i 5stelle, o addirittura se gli riesce di rompere i 5stelle, e di fare un nuovo soggetto di centro-destra, assorbendo ciò che rimane di Forza Italia e del partito della Meloni. Che potrebbe allearsi, eventualmente, con la componente più moderata del movimento grillino, ammesso che non si faccia inghiottire da quella più radicale e che osi mettersi in proprio. Le voci di incontri tra Salvini e Berlusconi, di loro accordi sugli assetti Rai, di un partito unico di cui il Cavaliere potrebbe essere il presidente, Salvini il segretario e la Meloni vice, sono tutti indizi che vanno in questa direzione. Gli stessi imprenditori del Nord, dal lombardo Bonometti al veneto Zoppas, che hanno evocato la discesa in piazza mano nella mano con i loro lavoratori, sembrano prediligere una scelta di questo genere. E gli apprezzamenti, tanto entusiastici quanto goffamente precipitosi, alla annunciata modifica dei propositi del governo da parte del presidente della Confindustria Boccia, che teme una rivolta interna alla sua organizzazione per l’inconsistenza del suo ruolo, lo stanno a testimoniare.

Ma se questo fosse davvero lo scenario, ci sarebbe da rallegrarsene? Da un lato sì, perché mettere fine a questa esperienza di governo sarebbe una cosa di non poco conto, e noi stesso non più tardi della settimana scorsa abbiamo chiesto a chiare lettere la crisi, anche al buio, di questo esecutivo e di questa maggioranza (niente affatto celebrata nelle urne). Ma nello stesso avvertiamo la preoccupazione di un partito di centro-destra a trazione leghista, e quindi sovranista e populista, che abbia la leadership assoluta nel Paese. Per questo torniamo a ribadire: il Nuovo Risorgimento dell’Italia passa attraverso la nascita di un soggetto liberal-riformista ed europeista, che raduni le forze migliori della nostra società.

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