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L'editoriale di TerzaRepubblica

Diario della crisi

PERCHÉ NON POSSIAMO SENTIRCI TRANQUILLIZZATI DALLO SCAMPATO PERICOLO DELLE ELEZIONI ANTICIPATE

01 giugno 2018

Nella notte della Repubblica, qualunque governo è meglio di nessun governo? Dopo tre estenuanti mesi dal voto, e con tutto quello che di deprimente e pericoloso è successo in questi 90 maledetti giorni, è comprensibile che si desideri tirare un sospiro di sollievo di fronte al varo di un qualunque governo, e poco importa che si tratti del Salvini-Di Maio-Conte (in ordine di peso politico), sarebbe stato lo stesso se si fosse trattato di un altro. Sentimento comprensibile, per carità, ma infondato, perché i problemi seri vengono adesso. Per capire quali saranno, prima analizziamo schematicamente cosa è successo fin qui, cercando di abbinare alla chiarezza delle valutazioni parole non esagerate, che di toni apocalittici è fin troppo carica l’aria. Dunque:
1. Nessuno ha vinto le elezioni del 4 marzo.
2. Era perfettamente legittimo che forze come 5stelle e Lega si mettessero insieme per formare una maggioranza. L’importante è non venirci a raccontare che il governo che volevano formare, cosiddetto del cambiamento, fosse la diretta espressione della volontà degli italiani, visto che Di Maio ha fatto la campagna elettorale dicendo che avrebbe fatto da solo per non contaminarsi con nessuno, e che Salvini stava dentro un’altra alleanza.
3. È stato dato a queste forze il tempo e il modo di fare il governo politico che volevano, ma esse hanno passato settimane a spendere veti reciproci e a gestire dinamiche interne (l’ala radicale pentastellata per Di Maio, i notabili moderati per Salvini).
4. Alla fine i due si sono affidati ad un terzo, non eletto e politicamente indecifrabile. Poi, in modo a dir poco irrituale, hanno costretto il Capo dello Stato a prendere atto del presidente scelto, del programma e della lista dei ministri, ignorando gli articoli 92 e 95 della Costituzione.
5. Il presidente della Repubblica, bersaglio di provocazioni e ricatti senza che alcuna forza politica e parlamentare lo abbia difeso come le circostanze richiedevano, ha agito nel pieno rispetto della Costituzione. E con l’animo scevro da pur legittimi risentimenti, anche quando è stata agitata l’arma della messa in stato d’accusa, tragicomica prima ancora che eversiva.
6. Il caso Savona è stato costruito a tavolino, probabilmente con il concorso di forze e interessi estranei all’Italia, ed è stato usato per far saltare tutto. Di questo caso Salvini ne è parso per un momento il beneficiario, mentre Di Maio quello che è rimasto col cerino acceso in mano.
7. Proprio per questo, da parte del Capo dello Stato, intestarsi il veto su Savona ministro, e farlo evocando i mercati, è stato un errore (politico). Diverso, invece, sarebbe stato se avesse respinto l’ineffabile professor Conte, essendocene tutte le premesse sotto il profilo della procedura costituzionale e considerata la totale indecifrabilità politico-culturale del candidato presidente del Consiglio.
8. Il combinato disposto tra il sopravvenire della reazione dei mercati, un aumento dello spread percentualmente più forte anche rispetto al 2011, la netta percezione da parte dell’opinione pubblica del costo materiale dell’inspiegabile (se non con calcoli di bottega), la volontà di Salvini di rompere tutto e andare al voto, la minaccia (più che opportuna) del Quirinale che la data delle elezioni anticipate potesse collocarsi nel pieno delle ferie (specie dei cittadini del Nord) a tutto danno della Lega, e la pesante reazione interna ai 5stelle verso le ingenuità e le continue giravolte di Di Maio, ha poi generato il compromesso che abbiamo sotto gli occhi.
9. Adesso un governo è stato in qualche modo varato, e nei prossimi giorni avrà la fiducia delle Camere. Il fatto che si tratti di uno strano esecutivo, qualcosa che evoca più il ridicolo sarchiapone (l’animale inesistente dell’irresistibile sketch di Walter Chiari) che il mitologico ircocervo, nulla toglie che gli si debba rispetto istituzionale, quello stesso che i suoi due azionisti di maggioranza non hanno avuto nei confronti della presidenza della Repubblica.
Detto questo, noi non apparteniamo alla schiera di coloro che sospendono il giudizio in attesa di vedere quello che costoro sapranno fare. Perché se è giusto dare giudizi non preconcetti sui fatti, non meno giudicabili sono le premesse che ci hanno portato fin qui. Per esempio, riteniamo assai acuta l’osservazione di Sabino Cassese circa il fatto che il contratto di governo firmato da 5stelle e Lega sia fondamentalmente basato sulla paura. Infatti, esso parte dal fatto che il Paese vive una serie di ansie e timori a cui il “governo del cambiamento” ha il compito di dare risposte corrispondenti, con lo stesso stato d’animo. Intanto, non è detto che l’intero Paese sia pervaso da fobie, ma in tutti i casi non è assecondandole che si risolvono i problemi. Quando c’è qualcuno che semplifica e fa leva sulla ricerca dei nemici, chiamando alla mobilitazione contro di essi per conquistare consenso, noi per definizione dubitiamo che quel qualcuno abbia le risposte giuste alla complessità dei fenomeni che si debbono affrontare.
Dunque, va detto con chiarezza che quel programma, pardon contratto, contiene un mix di idee sbagliate, proposte irrealistiche e ovvietà. Tuttavia, siccome è fisiologico – e pure opportuno – che l’azione di governo e le dinamiche della politica evolvano giorno per giorno, è soprattutto quello che in quel documento programmatico non c’è scritto, o che c’era ed è stato tolto, a suscitare preoccupazione. Per esempio, si è detto dell’Europa e dell’euro, ma non meno preoccupante è l’ambiguità che riguarda la collocazione dell’Italia nello scacchiere internazionale (si pensi a ciò che può innescare in termini di tenuta dell’Occidente, l’avvio effettivo da parte di Trump della guerra doganale tra Stati Uniti ed Europa). Ora, anche se certe idee bacate non sono riportate nel contratto, non serve essere mossi da pregiudizi per pensare che domani chi ha pensato quelle forzature possa poi concepirne altre. Né è sufficiente che in quattro e quattr’otto siano state accantonate, perché cambiare idea è cosa pregevole se ciò avviene attraverso una pubblica discussione e pagando il prezzo (morale, culturale, politico) di quella revisione, altrimenti trattasi di trasformismo allo stato puro.
Ma è anche sul terreno più propriamente politico che fin d’ora si possono rintracciare le premesse delle grane che ci toccherà subire. È facile immaginare, infatti, che i motivi che in queste settimane hanno spinto Salvini a fare in modo che l’epilogo della crisi fossero le elezioni, a maggior ragione si faranno sentire nei prossimi mesi. Tanto più che il 26 maggio dell’anno prossimo sono fissate le Europee, elezioni che essendo regolate dal proporzionale puro indicono naturalmente tutti i partiti a giocare per conto proprio, massimizzando le distinzioni. Riusciranno 5stelle e Lega – che, ricordiamolo, non sono state in grado di stipulare una vera alleanza politica – ad evitare le spinte centrifughe che quella campagna elettorale promette?
O piuttosto, qualcuno non sarà tentato dal mettere in conto la brevità di questa esperienza di governo, considerandola – come ha scritto Massimo Franco sul Corriere della Sera – una sorta di taxi elettorale per cui si faranno un po’ di leggi in deficit per poi utilizzare le reazioni severe di Bruxelles e di Berlino come vessilli da sventolare nella nuova orgia elettorale? E, se nel battere questa strada, si ritenterà, come è già stato fatto sciaguratamente in questi giorni per demagogica strumentalità tribunizia, di delegittimare il Quirinale dipingendo la fedeltà costituzionale come ostacolo al cambiamento per mantenere privilegi di casta, quali conseguenze potranno esserci per la tenuta della Repubblica?
Sullo sfondo c’è poi lo scenario internazionale in cui la vicenda di questi 90 giorni di crisi politico-istituzionale si è collocata. Il muoversi di figure americane (Bannon e certa finanza Usa) e di ombre russe (Putin) e tedesche (la destra bavarese), oltre che l’evidente volontà di indicare come centro del bersaglio la Bce di Mario Draghi, ci ha indotto a ritenere che quella a cui abbiamo assistito sia stata una guerra politico-economica nella quale l’Italia è stata usata come strumento per conquistare la vera posta in gioco, e cioè la sorte della moneta unica e dell’eurosistema. È ragionevole pensare che essa sia finita, o ne siano venute meno le ragioni, solo perché il professor Conte si è insediato a palazzo Chigi? Evidentemente, no. E allora anche questo fronte, insieme a quanto è destinato a succedere nel cortile italico, finirà col tenere alto il livello dell’incertezza.
È difficile dar torto a coloro che hanno tirato un patriotico sospiro di sollievo nel vedere scongiurate elezioni anticipate che avrebbero addirittura cancellato la diciottesima legislatura dai libri della storia repubblicana. Ma attenzione, che dietro l’angolo dello scampato pericolo rischiamo seriamente di trovare pericoli ancora più grandi. Per ora, nella notte buia della Repubblica, la luce resta spenta. Nelle prossime settimane, e senza indugio alcuno, dovremo trovare il modo di accedere qualche fiammella.

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