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L'editoriale di TerzaRepubblica

Lettera aperta a Gentiloni

LETTERA APERTA A GENTILONI È IL MOMENTO DI DIRE NO AI GIOCHETTI ELETTORALI E DI FARE SCELTE CORAGGIOSE

27 ottobre 2017

Caro Gentiloni,
ora che la spinosa vicenda del rinnovo della guida di Bankitalia si è chiusa e che la nuova legge elettorale ha varcato anche le colonne d’Ercole del Senato, e mentre il Governo si accinge a varare la versione definitiva della manovra di bilancio, ci consenta, in nome dell’antica amicizia, di rivolgerci direttamente a Lei con alcune riflessioni e un accorato appello.
Sappiamo bene, e lo apprezziamo, che Lei incarna la figura del politico mite e rispettoso degli altri, amici o avversari che siano, e delle regole, a cominciare da quelle comportamentali. Più volte, in questa sede, abbiamo detto che il suo stile alieno da enfasi e retorica era quanto di più necessario dopo le dosi massicce di overstatement introdotte nella politica italiana da Matteo Renzi e dal renzismo, e in un contesto dove il populismo la fa da padrone. Inoltre, non ci sfugge la vecchia regola secondo cui, quasi sempre, ostacolare con troppa veemenza gli incendiari rischia di far divampare ancor di più il fuoco, anziché spegnerlo.
Per questo, caro Presidente, l’abbiamo sempre difesa, pur non facendo mai mancare il nostro pungolo costruttivo, anche quando francamente avevamo voglia di tirarle la giacca. Ed è sempre per questo che, pensando al futuro, teniamo a preservarla, nella convinzione che dopo le elezioni e per come si stanno mettendo le cose in Europa, ci sia bisogno di uomini come Lei per trarre d’impaccio il Paese. Detto questo, e proprio per questo, non possiamo esimerci dal dirLe che è venuto il momento di voltare nettamente pagina.
Lei, finora, ha tenuto fede al patto di lealtà che ha moralmente sottoscritto con il segretario del suo partito, fatto inusuale in un mondo, quello della nostra politica, dove regnano ipocrisia e trasformismo. Cosa tanto più apprezzabile visto che non è stato affatto ricambiato. È però venuto meno a quel patto confermando, alla fine, Ignazio Visco a governatore della Banca d’Italia. Ha fatto bene, ma doveva farlo prima. Molto prima. La necessità di preservare l’autonomia e l’indipedenza della banca centrale con cui il Governo (privo dei ministri renziani, assenti) ha motivato la scelta invisa a Renzi sussisteva fin dall’inizio, ed è difficile credere che negli ultimi mesi, anche prima dell’estate, in vista della scadenza del mandato di Visco, il segretario del Pd sia andato chiedendo a diversi interlocutori – non si capisce bene a che titolo – la loro disponibilità ad accettare un’eventuale candidatura. Insomma, come da più parti Le era stato suggerito, noi compresi, che sarebbe stato bene procedere alla designazione – a quel punto anche altra persona, non per forza Visco – ben prima della data ultima, tagliando così la strada ai giochi e giochetti che intorno a quella nomina si erano messi in moto, e ad essere onesti non solo per mano di Renzi. Siamo convinti che il Quirinale avrebbe accettato di buon grado quell’anticipo. Attendere, nella (comprensibile) preoccupazione che il Pd potesse procurare danni al Governo, e quindi introdurre elementi di instabilità in un quadro già complicato, ha finito per generare i presupposti del “caso” che si è venuto a creare nelle ultime due settimane, con ben più grave nocumento di quello che si temeva.
Ma non è per tornare sul tema Bankitalia, su cui abbiamo detto tutto quello che c’era da dire la scorsa settimana (leggere qui), che abbiamo fatto questo discorso. No, questo è lo spunto per riflettere sulla necessità che sia il Governo, e quindi Lei, a indicare al suo azionista di maggioranza la strada da percorrere, piuttosto che viceversa. Per carità, non Le chiediamo di mettersi in guerra con Renzi (tanto ci pensa già lui). Ma di sottrarsi al gioco di precostituirsi alibi e dotarsi di armi per la campagna elettorale, anche al prezzo di fare scelte sbagliate per il Paese, di alimentare il clima di tensione già in atto e di minare ancor più di quanto già non sia la credibilità delle istituzioni democratiche, questo sì, glielo chiediamo con forza.
Prendiamo il caso della legge elettorale. Quella che porta il nome di Ettore Rosato è probabilmente incostituzionale e sicuramente una schifezza. Lei, giustamente, aveva detto che il Governo ne sarebbe rimasto fuori. Perché, dunque, farsi costringere a mettere la fiducia, finendo così per far propria una cosa che è nata altrove e che doveva rimanere (anche se fosse stata una buona legge) di responsabilità del Parlamento? Ora sarà più difficile, una volta che si dimostrerà che il mix tra proporzionale e maggioritario aiuta l’ingovernabilità, indicare Gentiloni come l’uomo adatto alle complesse mediazioni che saranno necessarie dopo il voto perché estraneo alla modalità elettorale che avrà favorito il caos politico. Peccato.
Ma queste di Bankitalia e legge Rosato sono scelte ormai fatte. Vediamo invece quelle da fare, specie sul terreno dell’economia. Il giochetto di comportarsi come se fosse all’opposizione pur essendo il partito di maggioranza relativa che esprime il Governo, Renzi sembra volerlo ripetere con la richiesta di rinviare a dopo le elezioni l’adeguamento dell’età pensionabile alle aspettative di vita. Una scelta che sarà pure pagante sul piano elettorale – ma se si ragionasse sulla dimensione della platea dei diretti interessati, forse le aspettative si ridimensionerebbero – ma che rischia di essere devastante per la tenuta dei nostri conti, tanto che il presidente dell’Inps Boeri ha già avvisato che su questo potrebbe ritornare la speculazione finanziaria, misurabile con l’andamento dello spread. Dunque, che il presidente del Consiglio dia retta al ministro dell’Economia, fermamente contrario al rinvio, e mostri il coraggio necessario per tenere la barra dritta: dal 2019 l’età di quiescenza salirà dai 66 anni e 7 mesi di oggi a 67 anni.
Se poi Lei, caro Gentiloni, volesse addirittura stupirci (in positivo, naturalmente), potrebbe ripensare all’assunto su cui ha basato la legge di bilancio 2018, che fin qui è apparsa, per quanto se ne sa, una manovrina ina-ina di fine legislatura. È stato dato per certo, infatti, che l’aumento dell’Iva sarà sterilizzato, con ciò esaurendo quasi tutte le risorse della prossima Finanziaria. Ma c’è da chiedersi se, in un momento di ripresa che deve essere assolutamente sostenuta se si vuole si trasformi in crescita strutturale, sia davvero la giusta priorità usare 19 miliardi per tenere ferma l’Iva, considerato anche il fatto che bisognerebbe trovare altri 19 miliardi sia per il 2019 che per il 2020. Ora, facendo finta che le altre misure della legge di Bilancio siano tutte indispensabili e inderogabili – e non è così – è evidente che destinare solo un euro su cinque allo sviluppo è sbagliato. Tanto più che quasi 60 miliardi in tre anni sono proprio la cifra che servirebbe per rilanciare gli investimenti pubblici in conto capitale, che hanno un effetto moltiplicatore sul pil e sull’occupazione, più che recuperando così l’effetto negativo sui consumi che l’aumento dell’Iva avrebbe. Certo, capiamo bene che non sarebbe facile far approvare a pochi mesi dalle elezioni una manovra del genere, magari spiegandola con gli effetti positivi che avrebbe sull’inflazione, ancora maledettamente troppo bassa. Ma comunque non è di sicuro grazie alla sterilizzazione delle clausole di salvaguardia Ue (tra cui l’Iva, appunto) che gli italiani correranno in massa alle urne. Invece, una misura coraggiosa potrebbe restituire credibilità, oltre che verso i mercati e i partner europei, anche nei confronti degli elettori, perché non è vero che le cose serie e coraggiose sono elettoralmente improduttive. E poi, avendo noi quattro aliquote (4-5-10- 22 percento), mentre, per esempio, la Germania solo due (al 7% e al 19%), c’è spazio per una riorganizzazione intelligente. Anche perché la differenza tra gettito Iva potenziale e reale è intorno ai 40 miliardi, e questa “tassa occulta” va in qualche modo colpita. Insomma, se per sterilizzare l’aumento dell’Iva e nella molto aleatoria ipotesi che questo porti consenso elettorale, il governo si lega mani e piedi impegnando quasi tutte le (poche) risorse che ci sono, forse è il caso di cambiare rotta. E se non lo si vuole fare con questa manovra, almeno si dica che nella prossima legislatura sarà questa la scelta di fondo.
Caro Presidente, come avrà capito apprezziamo il suo understatement ma la vogliamo decisamente più coraggioso. Pronto a prendere per mano questo Paese smarrito, che altrimenti sarà definitivamente preda del populismo dilagante. Con stima e speranza.

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