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L'editoriale di TerzaRepubblica

Italia affetta da Urnocrazia

IL GOVERNO MERKEL SI FARÀ, MENTRE LA “URNOCRAZIA” RENDE IMPOSSIBILE A ROMA CIÒ CHE A BERLINO È NORMALE

29 settembre 2017

I giudizi – quasi unanimemente impropri – che in Italia sono stati espressi sull’esito delle elezioni tedesche, hanno rianimato i sacerdoti dell’urnocrazia (il copyright è di Davide Giacalone), cioè quella particolare religione che venera il dogma secondo cui a seggi appena chiusi si debba subito sapere chi ha vinto e chi ha perso le elezioni e chi di conseguenza governerà, condizione in mancanza della quale la legge elettorale è necessariamente fallimentare e il sistema politico inesorabilmente bloccato. Trattasi di postulato non solo sciocco, ma anche pericoloso, perché induce, essendosi l’idolatria molto diffusa nel Paese, a commettere madornali errori – come, per esempio, l’ultimo parto della fantasia in tema di modalità di voto – pur di poter raccontare agli italiani che si darà loro un governo senza l’indecenza – vade retro satana! – di alleanze politiche negoziate, altrimenti dette “inciuci”.

I chierici di questa democrazia elevata all’ennesima potenza si sono dunque stracciati la tonaca di fronte al fatto che domenica scorsa a Berlino non ci fosse un governo bell’e pronto, arrivando a trasformare la vittoria di Angela Merkel in una mezza sconfitta e a bollare come dei fessi coloro (noi tra questi) che si ostinano a considerare il sistema tedesco, politico e istituzionale, come il più solido ed efficiente tra quelli fin qui sperimentati in Europa. Naturalmente, per costoro il fatto che in Germania per la terza volta consecutiva il governo uscente abbia vinto le elezioni, visto che Cdu-Csu e Spd hanno raccolto la maggioranza assoluta dei voti e degli eletti, cosa che da noi non accade da oltre un quarto di secolo, è fatto del tutto trascurabile. Certo, i socialdemocratici hanno stupidamente messo in conto alla Merkel il calo dei loro voti, quando invece dipende dalla loro evanescenza politica, e ne hanno fatto discendere una frettolosa indisponibilità a rinnovare l’alleanza con i popolari. Ammesso (e non concesso) che si tratti di una scelta irreversibile, questo non significa che la Germania resterà priva di un governo. I cristianodemocratici, che con il 33% (il Italia non ci arriverà nessuno) mantengono la media storica del loro consenso salvo il calo rispetto all’exploit del 2013, quando arrivarono al 41.5%, potranno in alternativa allearsi con liberali e verdi. Per farlo, non diversamente da come andrebbe se il patto da stringere fosse con l’Spd, dovranno aprire un negoziato politico e programmatico, che sarà duro e certo di non breve durata. Cosa che in Germania non scandalizzerà nessuno, come non ha scandalizzato la “grande coalizione” fin dal primo momento in cui si è realizzata, perché tutto avverrà alla luce del sole e, soprattutto, perché è ciò che prevede la democrazia parlamentare e la Costituzione tedesca.

Da noi, invece, c’è chi si è già permesso di intonare il de profundis del sistema che fin qui si rivelato come il più forte e stabile d’Europa, e di conseguenza tirare le orecchie a quegli stolti che si sono permessi, magari fin dalla caduta della Prima Repubblica come facemmo noi, di indicare quella tedesca come l’esperienza a cui guardare e replicare a Roma. In genere costoro sono gli stessi che nei vent’anni di fallimentare Seconda Repubblica e negli ormai sei anni (dal novembre 2011) di transizione verso il nulla (noi l’abbiamo chiamata Seconda Repubblica bis) ci hanno raccontato le meravigliose del maggioritario, del bipolarismo e dell’alternanza, ignorando che fossero tutte modalità declinate nella truce versione italica.

Adesso ci risiamo. Arriviamo senza una legge elettorale alla vigilia di elezioni che con tutta probabilità non ci consegneranno un vincitore – perché nessuno avrà voti a sufficienza, si badi bene – ed ecco che tornano di moda sia l’idea di esorcizzare la mancanza di consenso con qualche marchingegno nel sistema elettorale, sia di riesumare le vecchie coalizioni del bipolarismo, facendo finta che nel frattempo il nostro sistema politico non sia diventato tripolare. Alla prima stupidaggine si lavora rispolverando una modalità di voto almeno parzialmente maggioritaria che favorisca le coalizioni preventive – sempre in nome del fatto che quelle realizzate dopo il voto, in parlamento, sono sterco del diavolo – cosa che finirà per entrare in conflitto, come spiegavamo qui la settimana scorsa, con le pulsioni di autonomia di ciascun partito per la peraltro preponderante quota di proporzionale (senza nemmeno il correttivo del voto disgiunto). Sciocchezza aggravata dal fatto che si prevede di azzerare la soglia di sbarramento (altrimenti del 3%) per quelle liste che si presenteranno apparentate a quelle maggiori, cosa che, alla faccia della pretesa semplificazione maggioritaria, degenererà in un proliferare di listarelle individuali o poco più (con 300 mila voti si entra in parlamento). Quanto al diffondersi della stupida e inutile nostalgia del centro-sinistra e del centro-destra vecchia maniera, ci contribuiscono un po’ tutti. Persino i 5stelle, che pure sono il soggetto che rende tripolare il sistema politico attuale, quando fanno proprio la modalità inventata nel 1994 da Silvio Berlusconi e pedissequamente copiata a sinistra con Romano Prodi, del “candidato premier”. Cosa costituzionalmente non prevista – e che per questo avrebbe dovuto essere vietata – ma che ha fatto credere agli italiani di essere in grado con il loro voto di poter scegliere e nominare il capo del governo, salvo poi schifarsi della politica se le circostanze lo impedivano come è stato per Monti, Letta, Renzi e Gentiloni. Tutti presidenti del Consiglio (e non premier) perfettamente legittimi perché come tutti incaricati dal presidente della Repubblica e perché i loro governi sono stati votati dal parlamento, ma che invece sono apparsi “dimezzati” quando non addirittura abusivi proprio perché non eletti direttamente dal popolo così come recitava la messa cantata dei chierici dell’urnocrazia.

La Germania avrà dunque il quarto governo Merkel, nei tempi e nei modi necessari per fare in modo che duri la legislatura e produca decisioni (sulle quali alla prossima occasione i tedeschi si esprimeranno promuovendo o bocciando chi le avrà prese). Mentre da noi tanto più si profila la necessità di un’alleanza vasta o addirittura un “governo del Presidente” che eviti il vuoto e il ritorno alle urne dopo tre mesi, e tanto meno si lavora per creare le condizioni – politiche, culturali, normative – per rendere possibile ciò che altrove è considerato normale.

 

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