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Tra moderati e riformisti

Cercasi "santa alleanza" anti-populisti

L’UNICA ALTERNATIVA ALLA DERIVA POPULISTA-SOVRANISTA È LA “SANTA ALLEANZA” TRA MODERATI E RIFORMISTI

03 marzo 2017

Uomo avvertito, mezzo salvato: le prossime elezioni politiche le vinceranno i 5stelle, e più in generale le forze populiste e sovraniste, che con buona probabilità troveranno il modo di sommare le loro rappresentanze parlamentari. Ma, attenzione, non perché questi sentimenti, e in particolare quello di avversione all’Europa e all’euro, alberghino nella testa, o se si vuole nella pancia, della maggior parte degli italiani. No, la spiegazione è allo stesso tempo più rassicurante ma persino peggiore. Una prima spiegazione sta nel fatto che la maggioranza del Paese è ormai orfana di rappresentanza politica e quindi o si astiene o, sopraffatta dalla delusione e dalla rabbia, vota “contro”. Ma il vero problema è la debolezza delle forze europeiste, supine all’Europa sbagliata e incapaci di proporre una diversa ma sovrana (anzi, ancor più sovrana, e quindi più integrata, di questo ibrido), e soprattutto è la mancanza di un “cartello” che le unisca di fronte al pericolo della disgregazione.

Se questo spazio di opinione ha un senso – e il caloroso consenso di molti e qualificati lettori ce lo testimonia in modo crescente – è perché sostiene tesi e usa un linguaggio che sono alternativi sia al conformismo di governo che a quello di opposizione. Per questo oggi avvertiamo la necessità, come molte volte ci è capitato in passato, di lanciare un avvertimento che può risultare abrasivo ma che, speriamo, dovrebbe avere il pregio della chiarezza e il vantaggio della preveggenza: occhio che ci stiamo giocando la pelle. Perché in un’Europa e in un eurosistema costruiti male e gestiti peggio, ma pur sempre indispensabili per noi che siamo il paese più squinternato, se in Italia dovessero prevalere forze anti-sistema finiremmo tutti, noi per primi ma anche i paesi più forti e solidi, a gambe all’aria. Con conseguenze talmente disastrose da far impallidire le già gravi penalità che abbiamo pagato al fallimento della Seconda Repubblica e alla grande crisi economico-finanziaria del 2008 e anni seguenti. Noi, in particolare, finiremmo col sommare le conseguenze dei ritardi con cui abbiamo affrontato la globalizzazione – di cui la dimensione e gravità della recessione, senza paragoni nel mondo occidentale, è quella più vistosa – con gli effetti, che già si profilano, del rinculo, ormai in atto e perfino teorizzato dagli Stati Uniti di Trump, della globalizzazione stessa. Male attrezzati e poco consapevoli quando il mondo s’integrava, peggio messi quando il mondo ritorna protezionista. Insomma, un disastro. Perché possiamo simpatizzare per l’un fenomeno e maledire l’altro, o viceversa, ma l’unica cosa che non possiamo permetterci è non comprendere che si tratta di tendenze epocali che marciano a prescindere dai nostri gusti, e che richiedono di essere attrezzati nel momento in cui, piaccia o non piaccia, tocca attraversarle. Ecco, noi così come all’inizio degli anni Novanta eravamo impreparati all’avvento della globalizzazione, ora altrettanto lo siamo di fronte alla crisi dell’Europa e dell’euro, nel contesto di fenomeni neo-protezionistici mondiali. Con la differenza che questa seconda empasse si somma alla prima, presentandoci un conto unico che ha tutta l’aria di essere un micidiale kappao finale.

Ora, se questo è lo scenario – e, ahinoi, crediamo di essere stati solo che realisti nel descriverlo – occorrerebbe un colpo di reni delle forze moderate e riformiste, o che almeno a queste pur vaghe definizioni si affidano, nel rappresentare senza infingimenti la situazione al Paese e nel prospettargli una via d’uscita. Cominciando dal fare insieme la necessaria nuova legge elettorale. Vedete forse i segni di tutto ciò? Neppure l’ombra. Il Pd, già lacerato da una scissione dalla quale escono male in egual misura chi è rimasto (per averla provocata) e chi se n’è andato (per averla praticata), ora è nella bufera per la vicenda Consip che tocca la famiglia e il cerchio magico di Renzi. Pare la Dc del 1992, che di lì a poco sarebbe scomparsa. Il centro-destra non esiste più già da tempo, soprattutto per volontà di Salvini, ma Berlusconi perde tempo a tenerne in piedi il simulacro, invece che limitarsi a fare il padre nobile (si fa per dire) passando la guida di Forza Italia a qualcuno più giovane e attrezzato e favorendo la nascita di un soggetto centrista (il famoso “partito che non c’è”) che – specie nel contesto di una normativa elettorale di stampo proporzionalista – consenta di ottimizzare l’offerta politica marciando separati per colpire uniti.

Ma se questo è il quadro desolante che abbiamo di fronte, ancor peggio stiamo se si ragiona, come si dovrebbe, in una logica di alleanze. È del tutto evidente, infatti, che nessuna forza tradizionale può raggiungere la soglia che consente di guadagnare il premio di maggioranza (sempre che essa resti, ma temiamo che gli squinternati, ancora intrisi della retorica maggioritario-bipolare, non la rimuovano) e che rimane solo da sperare che ad essa non arrivino le forze populiste. Ma in tutti i casi ci sarà da formare una maggioranza in Parlamento, ed è sbagliata l’idea che essa, essendo necessariamente formata dalle forze che fino a ieri erano ferocemente contrapposte, non si debba annunciare prima del voto agli italiani. Si dice: ma se Pd e Forza Italia dicono che faranno la “grande coalizione” perderanno entrambi voti e saranno più deboli. A parte il fatto che sarebbe bene cominciare a chiamarla semplicemente “coalizione”, o se si vuole “coalizione europeista”, perché “grande” riflette numeri del passato, ma comunque va detto con coraggio agli elettori che l’unica alternativa ad essa è la vittoria del fronte populista-sovranista o, nel migliore (si fa per dire) dei casi, lo stallo in salsa spagnola o belga per mancanza di numeri sufficienti a formare un qualsiasi governo. E va detto prima, perché sia chiara la responsabilità che ciascuno avrà al momento del voto. Ovvio che per farlo, bisogna che prima si delinei una intesa. Non si dice un programma di governo, ma almeno il pubblico e solenne impegno che se non vinceranno né i moderati né i riformisti, entrambi i fronti uniranno le forze per dare un governo al Paese, in base ad alcuni convincimenti comuni (che sarai poi cura di tutti di non buttare alla ortiche con improvvide polemiche elettorali).

Sappiamo che stiamo dicendo cose che menano scandalo. E abbiamo letto, capendone perfettamente le ragioni, lo scetticismo mostrato, con autentico e apprezzabile dolore, da Michele Salvati nel temere improbabile quella che ha definito “una santa alleanza” di tutti coloro che non intendono recidere il cordone ombelicale che ci lega all’Europa pur con tutte le critiche che ad essa si possono, e si debbono, muovere. Anche se, contrariamente a Salvati, riteniamo che il contesto proporzionale non sia la causa che rende improbabile quella “santa alleanza”, bensì sia l’unico modo per favorirla perché altrimenti prevarrà la vecchia contrapposizione tra centro-destra e centro-sinistra a tutto vantaggio di Grillo e di Salvini-Meloni. Tuttavia, rimane il fatto che o quell’alleanza si fa, o l’Italia (e con essa l’Europa, se già non succederà per via del voto francese) precipiterà nel caos. Pensateci, egregi signori, tra un regolamento di conti e l’altro, se non volete che la storia vi carichi sulle spalle una tremenda responsabilità.

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