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L'editoriale di TerzaRepubblica

Agenda Gentiloni cercasi

È VENUTO IL MOMENTO CHE GENTILONI PARLI AL PAESE E DEFINISCA L’AGENDA (COME SUGGERISCE CALENDA)

20 gennaio 2017

Avviso ai naviganti: se dopo aver buttato via il 2016 per colpa del referendum, ora l’Italia dovesse far rotta nel mare periglioso e inquinato di una lotta politica basata sul ritorno o meno di Matteo Renzi, e relativa guerra interna al Pd, dividendosi su legge elettorale – la prossima settimana dovrebbe arrivare il giudizio della Corte Costituzionale sull’Italicum – e data delle elezioni, si può star certi che finiremo violentemente contro gli scogli. Anche perché si sta profilando una nuova stagione di delegittimazione – questa volta con le banche, e in parte le imprese, nel mirino, o se si vuole contro i luoghi e le modalità di generazione e detenzione di ricchezza, stipendi (alti) compresi – che rischia di far riprecipitare il Paese nel clima del 1992-94, con tutto quello che significa per la tenuta del sistema politico-istituzionale e di quello economico. Con la conseguenza di consegnare ai grillini un warrant elettorale che le urne si incaricheranno di trasformare in un biglietto d’accesso a Palazzo Chigi, magari in compagnia di Matteo Salvini.

Sia chiaro, è più che comprensibile, oltre che probabile, che l’ex presidente del Consiglio tenti di tornare al centro della scena, così come che nel Pd si scateni una battaglia politica – se poi fosse sulle idee, magari sarebbe meglio – e va da sé che tra le forze politiche si debba aprire una discussione sul sistema elettorale da scegliere (anche qui, se già che ci siamo si riuscisse a rendere omogenei i meccanismi non solo tra Camera e Senato ma anche per gli enti locali, sarebbe tanto di guadagnato). L’importante, però, è che agli italiani non sia data in pasto solo questa roba. Perché il rigetto sarebbe totale e assoluto. Psicologicamente, il Paese sta messo peggio di quanto già non fosse dopo la lunga recessione. Renzi è stato una droga – all’epoca delle primarie e poi nella prima parte del suo esecutivo, ha riacceso speranze sopite – che però ha generato la depressione che compare quando la sostanza stupefacente smette i suoi effetti. Ora Gentiloni ha riportato normalità, ed è un gran bene. E Mattarella è apparso ai più come un solido ancoraggio. Ma è evidente che non basta. Anche perché tanto lo scenario geopolitico – l’incognita dell’era Trump, le dinamiche russo-turche, Brexit, Libia e Siria – quanto quello economico – si pensi solo alla sempre più probabile e ravvicinata fine della stagione dei tassi zero – sono in grande fermento e proiettano forti e ansiogene incertezze. Occorre dunque un salto di qualità. Prima di tutto nell’analisi, che necessariamente va aggiornata e anche (ri)portata su un livello strategico da cui da tempo è scesa. E poi nelle decisioni di governo.

Il nostro suggerimento a Gentiloni è quello di provare ad andare oltre il pur apprezzabile ritorno alla collegialità nell’esecutivo. Crei un gruppo di lavoro di personalità esterne al governo, politiche e non, ed elabori un piano da poter attuare di qui fino alla fine della legislatura, che deve essere il suo orizzonte temporale. Inoltre cominci a parlare agli italiani, dicendo loro parole di verità sulla situazione in cui siamo e sulle difficoltà ma anche le possibilità che abbiamo di aggredire i problemi e invertire la curva del nostro più che ventennale declino strutturale. Sarebbe già molto, sia in termini di metodo che di merito. Lo sappiamo, questa non può essere, non fosse altro che per ragioni temporali, una stagione politica nuova. Ma una nuova fase sì. Il cui significato politico più profondo deve essere quello della lotta al populismo dilagante.

Da dove partire? Sicuramente non dal vuoto pneumatico dell’intervista, pur preannunciata come epocale, di Renzi ad Ezio Mauro. Le parole che abbiamo letto su Repubblica erano una finta autocritica, la descrizione di sé come di un “combattente solitario” che ha perso, per ragioni di cattiva comunicazione, una battaglia ma che è pronto a riprendere e vincere la guerra. Analisi politica, economica e del sentire collettivo, zero.

Invece, diciamo che i tre punti – ambiziosi – indicati dal ministro Calenda da quando è tornato libero di potersi esprimere (Renzi considerava ogni sua uscita, come quelle di Delrio e di altri ministri troppo poco ortodossi per i suoi gusti, come un delitto di lesa maestà) paiono un buon punto di partenza: messa in sicurezza del Paese con un piano straordinario di interventi; rilanciare l’economia attraverso investimenti strategici, tutelando in modo più netto gli interessi nazionali; avviare una vera politica di inclusione sociale. Anche prendendo tutti gli spazi di bilancio che servono. Noi aggiungeremmo una postilla a quest’ultimo punto – più deficit per investimenti in conto capitale assolutamente sì, ma piano per una riduzione del debito attraverso l’uso del patrimonio pubblico – e un ulteriore punto: la necessità di cominciare a dare qualche segnale di inversione di tendenza a favore del garantismo e a scapito della giustizia sommaria. Non fosse altro per fermare la deriva della guerra sociale strisciante e l’insopportabile ulteriore decadimento della credibilità della politica e delle istituzioni pubbliche.

Bisogna assolutamente che al più presto Gentiloni dia il segno di una discontinuità nella politica economica. Va dato all’Europa, che sembra essere – anche in vista degli appuntamenti elettorali tedeschi e francesi – molto meno disposta alla benevolenza di fronte all’ennesimo sforamento della legge di bilancio 2017 sugli obiettivi precedenti. E va dato sia alle imprese, che devono tornare ad investire e fermare l’emorragia di cessioni (a stranieri e soggetti finanziari), sia ai lavoratori, cui chiedere più produttività in cambio di più salari. Industria 4.0 non può essere uno slogan buono per i convegni, ma deve assumere centralità nell’agenda del governo. Infine si affronti con decisione il tema delle banche – modesta proposta: perché non affidare ad Atlante, magari attraverso la forma del prestito obbligazionario, i 20 miliardi stanziati ad hoc? – prima che la marea montante dello scandalismo prenda il sopravvento.

La possibilità che le prossime elezioni, al di là della data, non aprano la porta di palazzo Chigi ai colleghi di Virginia Raggi è tutta nelle mani di Gentiloni e di una scelta finalmente lungimirante del Parlamento sulla legge elettorale, non di Renzi e della sua agognata rivincita.

 

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