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L'editoriale di TerzaRepubblica

Compiti per le vacanze di Renzi

COMPITI PER LE VACANZE DI RENZI: PATTO CON I MODERATI, ITALICUM, ASSEMBLEA COSTITUENTE E L'ECONOMIA...

29 luglio 2016

 

 

 

Matteo Renzi è solo in declino o è già (politicamente) morto? Nella Roma dei palazzi che si vanno svuotando all’insegna del “tanto se ne riparla a settembre”, è questa la domanda che tiene banco. E il suo low profile a cosa prelude, ad un mesto e progressivo ripiegamento o a preparare la riscossa? Per quanto ci riguarda, preferiamo metterla così: Renzi ha un mese di tempo, l’agosto delle ferie, per preparare un radicale cambio di rotta, superando le sue ritrosie, accantonando le presunzioni di cui abbonda e spegnendo il fuoco bullista che arde in lui. E l’occasione per farlo – può sembrare strano, ma è così – gliela offre la vicenda Vivendi-Mediaset, sulla cui dinamica il presidente del Consiglio farebbe bene a riflettere. A ben guardare, infatti, dietro la rottura tra Vincent Bollorè e Silvio Berlusconi, c’è il mancato scambio occulto che era alla base del patto ora rotto dal francese: Berlusconi doveva essere il garante presso il governo Renzi degli interessi che Bollorè ha in Italia, a cominciare dal più dispendioso, Telecom. E così non è stato. Fino al punto che Renzi, dopo un paio di incontri a palazzo Chigi (sempre più merchant bank, secondo la definizione che Guido Rossi diede del governo D’Alema) con l’uomo d’affari bretone, a dir poco freddi, ha deciso di armare la mano di Enel nel settore della fibra ottica, in chiara ed esplicita competizione con Telecom. Il tutto nella più totale assenza dell’alleato-socio Berlusconi, che dopo la fine del patto del Nazareno e nonostante le prediche di Confalonieri e Doris, non è più stato capace di trovare il filo con cui ricucire il rapporto con quel giovanotto che per un momento gli era pure sembrato il suo più naturale successore. Ma se al Cavaliere una riedizione di quel patto farebbe comodo sul piano dei suoi interessi imprenditoriali, come dimostra la costosa rottura dei patti su Mediaset Premium decisa da Vivendi, a Renzi invece è indispensabile sul piano politico. Sbaglia, infatti, chi dice che il problema del presidente del Consiglio nonché segretario del Pd è quello di recuperare i voti persi a sinistra, per il semplice motivo che la sinistra mai è stata e tantomeno ora potrebbe essere maggioritaria in Italia. Renzi questo l’aveva capito benissimo, tant’è che ha portato il Pd verso il centro con l’idea di trasformarlo in un indistinto “partito della nazione”, o di creare quest’ultimo ex novo se la crisi di rigetto nel Pd glielo avesse imposto. Ma strada facendo Renzi si è perso. È vero che il patto del Nazareno non l’ha rotto lui, ma l’alleanza con Verdini non poteva, né può in prospettiva, essere sufficiente a surrogarlo. Tantomeno dopo il disastroso risultato delle amministrative e la crescente percezione che da quel momento si è avuta che i 5stelle, paradossalmente grazie a quello schifo di legge elettorale di cui Renzi ha la paternità, possano anche conquistare palazzo Chigi.

Ora, dunque, Renzi ha davanti a sé una triplice necessità: creare condizioni politiche (leggi alleanze) nuove; cambiare la legge elettorale e depotenziare il referendum; varare una politica economica di segno opposto a quella fin qui praticata. La prima si soddisfa solo favorendo una riaggregazione delle componenti moderate, i centristi e Forza Italia, in netta chiusura verso le destre, populiste e lepeniste. Da questo punto di vista l’irrompere sulla scena di Stefano Parisi – sempre che Berlusconi non se lo divori come ha fatto con tutti gli altri suoi “successori” – non può che favorire questo disegno. Finora, tra inusitati silenzi e recitazione di giaculatorie sulle riforme fatte, Renzi non pare averne approfittato. Invece dovrà farlo prendendo lui l’iniziativa, se vuole uscire dall’angolo in cui si è infilato (da solo). La chiave è quella dell’alleanza tra riformisti e moderati in funzione anti-grillini e come argine al dilagare dell’anti-politica. E deve trattarsi di un accordo politico alla luce del sole, non di un patto opaco. Renzi, infatti, deve mettersi in testa che il “suo” Pd è una specie di coperta corta, che non è in grado di vincere senza un solido sistema di alleanze.

Ma per realizzare questo obiettivo, Renzi deve affrontare il secondo dei nodi che lo stanno soffocando: Italicum e referendum. Il presidente della Repubblica gli ha saggiamente aperto la strada: spingere in avanti la data della consultazione popolare per permettere che nel frattempo la Corte Costituzionale, bocciando l’Italicum, lo costringa a trasformare il sistema di voto senza dover platealmente ammettere di aver cambiato idea (anche se, a nostro avviso, farlo per consapevolezza e non per forza gioverebbe alla sua credibilità). E a quanto sembra, Renzi si sarebbe predisposto in questo senso. Però, ammesso che questo accada, si tratterebbe di un passaggio necessario ma non sufficiente. Occorre depotenziare il referendum, o sposando la tesi dello spacchettamento o, ancor meglio, facendo una nuova proposta. Non nei contenuti, ma nel metodo: convocare un’Assemblea Costituente. Parisi ne ha già parlato, potrebbe non essere impossibile trovare la maggioranza qualificata che serve per indirla. E sarebbe non solo una cosa intelligente e utile al Paese, ma anche un colpo da maestro per tirarsi fuori definitivamente dall’angolo. Saprà essere così lungimirante, Renzi? Il dubbio non ci toglie la speranza.

Infine, l’ultimo passaggio: una nuova politica economica. Da questa ribalta glielo abbiamo detto fin dall’inizio che lo schema adottato – abbaiare ma non mordere in Europa e immaginare che la ripresa potesse essere figlia di un aumento dei consumi, a loro volta spinti da qualche mancia fiscale – non avrebbe prodotto alcun frutto. Oggi siamo in stagnazione e corriamo il rischio di tornare in recessione: continuare a raccontare ciò che si è fatto non solo non serve a migliorare le cose, ma irrita profondamente gli italiani, specie quelli che gli avevano dato fiducia, e lo indebolisce soltanto. La ricetta è quella che, a costo di passare da gufi, gli abbiamo sempre suggerito: massicci investimenti pubblici diretti e privati incentivati fiscalmente finanziati con maggiore deficit perché in cambio all’Europa si offre una manovra una tantum sul debito. Anche qui, la scarsa predisposizione all’ascolto e la scarsa qualità dei pochi consiglieri che si è scelto fanno pensare che sia difficile una sua riconversione. Ma il nostro compito è indicare una strada. Poi, se Renzi vorrà intestardirsi a continuare a percorrere la strada fatta fino qui, il primo a pagarne il prezzo sarà lui. Anche noi tutti, certo, ma trovare un’alternativa sta nel novero delle cose complicate, non impossibili.

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