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L'editoriale di TerzaRepubblica

Renzi double face

RENZI DOUBLE FACE TIENE TESTA AI MAGISTRATI E SBRACA SULLE PENSIONI. MA FARE SUL SERIO, QUANDO?

09 aprile 2016

Ma perché fa così? Mannaggia, Matteo Renzi non aveva fatto in tempo a stupirci positivamente con la sua coraggiosa sortita nei confronti della magistratura sulla vicenda degli affari petroliferi lucani, perfettamente coerente con la giusta rivendicazione del primato della politica da lui sempre evocata (e non sempre praticata), facendoci sperare che avrebbe finalmente aperto il dossier della giustizia da riformare di cui finora si è dimenticato, che eccolo (ri)cadere nella solita trappola del consenso comprato con una manciata di euro, questa volta accarezzando l’idea di concedere il bonus da 80 euro già distribuito ai lavoratori dipendenti anche ai pensionati con assegno minimo. Commettendo così più errori (gravi) in uno, e proprio mentre nel Paese monta un clima di stanchezza e ribellione che è il perfetto terreno di coltura di un’alleanza all’insegna del populismo più sfrenato tra Movimento 5stelle e Lega, intesa finora non si dice indagata, ma neppure nominata (se non da Terza Repubblica e da qualche sparuto commentatore “cane sciolto”), eppure più che mai in corso di organizzazione.

Partiamo dal “caso Guidi”. Dopo avervi detto la settimana scorsa, a caldo, che riteniamo giusto e opportuno il famoso emendamento “Guidi-Boschi”, non esserci vergognati di evocare la giustizia ad orologeria per la scelta di aver reso note intercettazioni fatte nel 2014 e tenute nel cassetto in attesa del loro “miglior uso” e aver rivendicato il buon diritto di praticare la “astensione consapevole” (per far vincere il no) nel referendum del 17 aprile che si è voluto condizionare montando ad arte questo caso “ambientalistico-mediatico-giudiziario”, non potevamo che cogliere con sollievo la scelta del presidente del Consiglio di attribuirsi la paternità del provvedimento. E di sfidare i magistrati – quelli del “traffico di influenze illecite” e del “disastro ambientale” di questa vicenda, come di tutti – a portare a conclusione le indagini e condannare gli eventuali colpevoli in tempi ragionevoli.

Se non fosse che l’accostamento è un po’ blasfemo, vi confessiamo che ci è venuto alla mente quando negli anni Settanta scoppiò lo scandalo per il finanziamento dei petrolieri (sempre loro) ai partiti e Ugo La Malfa chiese di essere ricevuto dalla Procura della Repubblica per dire “Quei soldi li ho presi io, li ho dati al partito e ne rispondo io perché il segretario del Pri sono io”. Non venne neanche ascoltato, ma in quelle parole – ribadite a Oriana Fallaci in un’intervista in cui spiegò: “l’importante è non accettare condizionamenti” – c’era tutta la forza di una rivendicazione ben lontana dall’invertebrato atteggiamento della classe politica degli anni di Tangentopoli all’insegna del “speriamo che il mio nome non esca”.

Insomma, bene o male il Renzi “arrogante” (Brunetta), “stalinista” (D’Alema), “cattivo” (Berlusconi), “ubriaco” (Pansa), lasciava il passo al Renzi “statista”. Certo, è d’obbligo ricordare al presidente del Consiglio che è in carica da oltre due anni e che finora nulla ha fatto per cancellare la cattiva giustizia – quella che non riesce quasi mai ad arrivare a sentenza “definitiva, cioè vera” (sono parole di Renzi) – e superare l’ormai venticinquennale il conflitto tra politica e magistratura, ripristinando un ordinato rapporto tra poteri dello Stato. Non basta auspicare che la giustizia sia veloce, che la carcerazione sia effettiva post sentenza e non preventiva e poi inesistente, che le intercettazioni (specie di natura privata) non finiscano in pasto all’opinione pubblica, e così via. Occorre – specie se ci si presenta come rottamatori della vecchia politica – mettere al centro della propria azione di governo un tema che non solo merita priorità per quel vale in sé, ma per gli effetti sistemici – si pensi all’economia – che è destinato ad avere.

Tuttavia, dicevamo, non si fa in tempo a coltivare un germoglio di speranza – magari sforzandosi di allontanare da sé l’idea che la sortita su Potenza fosse solo finalizzata a difendere se stesso e il suo clan, così come il giudizio che sbloccare lavori fermati da vincoli e pastoie amministrative assurde non mediante un cambio delle regole ma caso per caso, infilando codicilli fra centinaia di comma illeggibili, non è il massimo del buon governo – ed ecco spuntare come un fungo la sortita sulle pensioni minime. Un’operazione da circa 4 miliardi, che non ci sono e che se anche ci fossero andrebbero spesi diversamente se si vuole un minimo di ripresa economica decente. “È solo un depistaggio mediatico”, hanno detto in molti. Se è così, peggio che andar di notte: con le pensioni e le aspettative delle persone non si gioca. Se invece fosse un altro tassello della già inefficace politica economica renziana, sarebbe un “diabolico perseverare”. Perché finanziare gli italiani sperando che aumentino i loro consumi e che di conseguenza si rimetta in moto l’economia, è speranza vana, oltre che insana. Due tentativi sono già falliti, farne un terzo sarebbe suicida. E ha ragione da vendere Enrico Zanetti, che dall’interno del governo (è viceministro all’Economia) della maggioranza (è leader di quel che resta di Scelta Civica), non le manda a dire a Renzi: “si rischia di affiancare all’esasperato populismo di opposizione, un populismo di governo di cui non abbiamo bisogno”.

Renzi, per riprendere una suggestione di Galli della Loggia, deve smettere di rappresentare a se stesso e agli italiani un’Italia che non c’è perché “non ha né rimesso in moto il Paese né risvegliato il senso dell’interesse nazionale contro privilegi e corporativismi”. Il Def, il documento che dovrebbe essere di programmazione economica e che ormai è ridotto ad una inutile sequela di slide, presentato ieri sera fotografa una realtà in regressione rispetto agli annunci e alle aspettative create, ma – ahinoi – è ancora troppo ottimista quando riduce “solo” di un quarto (da +1,6% a +1,2%) la stima di crescita del pil quest’anno. Perché, a parte la congiuntura internazionale in via di peggioramento e l’assenza di uno straccio di politica europea (a parte quella di Draghi, che comunque fatica a dispiegare i suoi benefici effetti), è proprio la mancanza di una politica economica nazionale coraggiosa e rigorosa al tempo stesso, che ci mantiene in sostanziale stagnazione.

 Per questo nuvole minacciose si stanno addensando sull’orizzonte del governo, e Renzi farebbe bene a preoccuparsi di resettare la panoplia delle sfide lanciate, ad adottare finalmente un progetto programmatico di respiro, rivoluzionando il quadro delle priorità, e a riannodare il dialogo con quella parte del Paese, la maggioranza, che gli ha dato fiducia o vorrebbe tanto dargliela per non essere costretta a cadere nelle spire del populismo arrembante. Sappia che se si va o si andrà a votare in queste condizioni, Grillo (o chi per lui) e Salvini si alleeranno, e saranno dolori.

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