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Public Policy

L'editoriale di TerzaRepubblica

Populismo all'italiana

COSA SUCCEDE IN ITALIA SE IN TUTTA EUROPA SI AFFERMA UN TRIPOLARISMO IN SALSA POPULISTA

09 gennaio 2016

Il 2016 si apre all’insegna di una “italianizzazione” dei sistemi politici di molti paesi europei – segnatamente quelli meridionali, i più deboli – e non è un bene. Dopo le elezioni in Spagna e le regionali in Francia, molti osservatori – anche sulla scorta di quanto era successo poco prima in Grecia e registrando le onde telluriche che rischiano di terremotare la più stabile delle democrazie europee, quella tedesca – hanno parlato di passaggio dal bipolarismo al tripolarismo, laddove la “terza gamba” è rappresentata dall’emergere di nuove forze politiche di stampo populista, poco importa se con connotazioni di sinistra o destra visto che le grandi culture politiche vanno scomparendo. Osserviamo che in Italia ciò è già avvenuto da tempo con l’affermarsi del movimento Cinque Stelle, tanto qualunquista da essere addirittura figlio di un saltimbanco. Altri hanno osservato che in realtà quello che sta accadendo è null’altro che una ridefinizione del bipolarismo, che non contrappone più destra e sinistra ma partiti tradizionali e partiti anti-sistema. Anche qui si tratta di un film già visto sui nostri schermi politici, non solo perché il grillismo è estraneo tanto al centro-destra berlusconiano quanto al centro-sinistra anti-berlusconiano (e ora renziano), ma perché lo stesso ventennio bipolarista della Seconda Repubblica nasceva dalla contrapposizione tra l’anti-politica (Berlusconi e la Lega) e i “tradizionalisti”. Insomma, facciamo scuola. Ma non perché il nostro sistema politico e istituzionale sia minimamente “vendibile” all’estero, bensì perché laddove la crisi economica si è fatta sentire di più – come appunto in Italia, che mantiene anche alla fine del 2015 la palma di paese che ha pagato il peggior tributo alla recessione – la reazione delle opinioni pubbliche è stata quella di punire (meritatamente) le forze di governo premiando (immeritatamente) quelle che strillavano di più.

Non solo. Questo fenomeno è andato incrociandosi, anche qui con l’Italia a fare da precursore fin dal 1994 con il berlusconismo, con quello della sostituzione del partito con il leader. Suggeriamo, a questo proposito, di leggere il saggio scritto per Laterza dal politologo napoletano Mauro Calise, già inventore negli anni Novanta della definizione di “partito personale”, che sotto il titolo “La democrazia del leader” descrive come in tutta Europa si stia vivendo il declino del “corpo collettivo”, costruito nei secoli per spersonalizzare il potere perimetrando quello del “sovrano”, anche (e per certi versi, soprattutto) nelle democrazie presidenziali. Con la conseguenza che, come dice Calise, “i cittadini chiedono sempre al leader di turno molto di più di quanto potrà fare”, finendo così per alimentare una perversa doppia tendenza: da un lato ad esasperare il populismo, perché la partita si gioca a chi la spara più grossa, e dall’altro a gestire il potere in chiave sempre più autocratica, in puro stile peronista.

Non crediate, cari lettori di Terza Repubblica, che ragionando sui sistemi politici si voglia parlar d’altro rispetto a quanto ci aspetta nel concreto. Il 2016 sarà un anno complicato, e se ne vedono già tutte le avvisaglie. La nostra economia, che nel 2015 è uscita dalla recessione ma ha aumentato il distacco con l’Europa, è destinata a soffrire per una congiuntura mondiale che si preannuncia turbolenta e per l’affievolirsi delle opportunità fin qui offerte dai paesi trainanti. Lo scenario mediorientale riversa su un mondo che non ha ancora trovato un equilibrio, vittima di fibrillazioni pericolose e di un terrorismo che innesca in Europa reazioni irrazionali e un flusso migratorio incontrollato che si riversa prevalentemente in Italia. Inoltre ogni giorno che passa si misura con mano quanto manchi l’Europa e come questo vuoto alimenti la demagogia dell’anti-politica.

Ma è proprio per poter affrontare con una qualche efficacia uno scenario così difficile e complesso, che sarebbe opportuno poter contare su sistemi politici consolidati e forti. E invece, anziché essere noi italiani a importare le virtù degli altri, qui sono francesi, spagnoli, e perfino tedeschi e inglesi, a importare i nostri vizi. Un fenomeno che vediamo come “il” problema, sia perché indebolisce la costruzione continentale proprio mentre ci vorrebbe uno scatto di reni verso gli Stati Uniti d’Europa, sia perché rischia di incamminarci non verso la Terza Repubblica – intesa come la modernizzazione del Paese, cioè il superamento di tutte contraddizioni istituzionali emerse nell’ultimo quarto di secolo – ma verso una terra sconosciuta, una Seconda Repubblica bis. Dove l’alternativa sarà tra tenerci un Renzi carico di limiti evidenti e per nulla disposto ad ascoltare chi gli permetterebbe di trasformare la rottamazione (necessaria) in costruzione di una vera alternativa programmatica di governo (indispensabile per uscire dal declino) e dare spazio alla “terza gamba” del sistema politico, quel movimento populista di cui un fine analista come Michele Ainis vede la vittoria al ballottaggio imposto da quella pessima legge elettorale che Renzi ha voluto imporre (e che certo non cambierà qualità e verso se anche fosse modificata dando il premio di maggioranza non più alla singola forza politica ma alla coalizione). E ciò sempre che quello che Calise chiama il “fattore M”, inteso come media e magistratura, non ci privi della spiacevole scelta prima ancora del voto che, con tutta probabilità, ci attende nei primi mesi del 2017, dopo il turno amministrativo e il referendum sulle riforme istituzionali che ci toccano nell’anno appena iniziato. Buon 2016.

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