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L'editoriale di TerzaRepubblica

Renzi, i voltagabbana e Grillo

VOLTAGABBANA ITALICI E LEADER STRANIERI, È INIZIATA LA FUGA DA RENZI VERSO…

20 giugno 2015

Vien voglia di difenderlo, Matteo Renzi, ora che tutti gli adulatori di ieri prendono le distanze o addirittura gli voltano la schiena. “Giglio Magico, avete un problema, il vostro Renzi sta diventando un primo ministro come gli altri: chi lo ha plebiscitato alle primarie e ha dato il 40% dei voti europei al Pd lo ha fatto per avere Matteo, se avesse voluto un leader imbalsamato si sarebbe tenuto Letta, che era più competente”, ha sdottoreggiato Massimo Gramellini sulla Stampa, gli stessi, autore e giornale, che hanno intonato lodi sperticate al Rottamatore da quando ha messo piede a palazzo Chigi. Ed è solo uno dei tanti esempi di chi – vecchia abitudine italica – giudica partendo dai dati elettorali anziché dai fatti. Nessuno di questi, al contrario di noi, si era guadagnato l’appellativo di “gufo” prima del voto. Non una critica, non un appunto (della serie meglio tenerselo buono). Poi, vista la botta che gli hanno assestato gli italiani, ecco le supponenti analisi su che cosa non va, sulla spinta propulsiva che si è esaurita. Ecco che di colpo si scopre che sui migranti è afono, che in Europa non batte chiodo, che la riforma della scuola è un pasticcio, che su Cdp ha fatto un gran casino, che l’Italicum gli tornerà sui denti come un boomerang. Giudizi crudi, espressi come se glieli avessero sempre detti in faccia. Veri e propri professionisti delle “previsioni sul passato” che, appunto, fanno di tutto per renderti simpatico Renzi, anche quando ce la mette tutta per rendersi urticante.

Ma anche fuori dai confini patri s’intravedono spalle che si girano. Non ci riferiamo a Hollande che pur di recuperare voti manda i militari al confine di Ventimiglia, dimenticandosi i vezzeggiativi che Renzi aveva usato nei suoi confronti quando si era immaginato un (inesistente) asse franco-italiano in funzione anti-Berlino. E neppure alla Merkel, che non si è mai sforzata molto di nascondere lo scarso feeling con quel ragazzo troppo chiacchierone. No, pensiamo soprattutto agli americani, cui non sono piaciuti i tentennamenti su Putin e che dopo l’iniziale endorsement ora si sono fatti guardinghi e freddi. Ciascuno di loro avrà buone ragioni, per carità, ma anche qui gli eccessi ci spingono, nostro malgrado, verso moti di simpatia nei confronti di Renzi.

Per fortuna, però, ci pensa lo stesso presidente del Consiglio, esagerando, a costringerci a tornare “gufi”. E sì perché, francamente, è inascoltabile quando riduce il primo comandamento del verbo renziano, le primarie piddine – già, proprio quelle su cui ha costruito la sua fortuna politica – ad una specie di “peste della partecipazione democratica”. Non eravamo forse disfattisti, noi che ne abbiamo criticato l’uso “à la carte” fin dai primordi? Bisognava che perdesse lui per accorgersi che le primarie o favoriscono i cacicchi locali (copyright Macaluso) o i populisti urlatori? Per non parlare della valutazione sulle elezioni regionali. Prima ti fa sperare in una sana autocritica quando parla apertamente di un suo “insuccesso” (ci volevano i ballottaggi?) e definisce il dopo-elezioni come il “momento più difficile” di questa legislatura, poi ti fa cascare le braccia quando s’inventa il non meglio definito ritorno al “Renzi 1”, riducendo tutto alla comunicazione e alla percezione che si ha di lui. Peccato che “Renzi 2” dica esattamente il contrario di “Renzi 1”, quando i proprietari della Ditta erano altri. Ma non è delle sorti del Pd che ci preoccupiamo, anche perché uno che se ne intende come Emanuele Macaluso l’ha dichiarato già morto. Ci preoccupa invece il governo e la guida che esso deve dare al Paese in una fase decisiva, in bilico tra stagnazione e ripresa e con il pericolo incombente che i fatti greci diventino una bomba pronta ad esplodere sotto le nostre terga. E qui le risposte, ahinoi, latitano. Macaluso dice con saggezza che “occorrono analisi serie e spietate, non solo sul risultato elettorale ma sulla società italiana e sulla crisi della politica che condiziona l’economia”. E aggiunge: “Renzi pensava di essere lui la soluzione, ma, al contrario, con queste elezioni i rischi di implosione del Paese e della stessa democrazia si sono accresciuti”. Vero. Perché se il renzismo batte in testa, non è vero che il centro-destra abbia recuperato centralità e consistenza. Un repechage di Berlusconi è assurdo solo pensarlo, mentre il profilo politico di Salvini è incompatibile con palazzo Chigi, non fosse altro per ragioni internazionali (la vicinanza alla Le Pen e il flirt con Putin). Inoltre noi non crediamo al “candidato nuovo”, vuoi perché non ci sono nomi credibili all’orizzonte, vuoi perché l’effetto Brugnaro non è trasferibile sul piano nazionale e vuoi, infine, perché Berlusconi non perderà mai la convinzione che meglio di lui elettoralmente parlando non può fare nessuno.

Dunque, Renzi rimane nella “scomoda” posizione (che sia tale è ormai accertato) di uomo senza alternative e dunque indispensabile. Cosa che, nel breve (mesi), lo costringe (o lo aiuta, a seconda dei punti di vista) a restare dov’è, ma che lo espone a bersaglio di tutti e, paradossalmente, favorisce la nascita di ipotesi magari fino a ieri impensabili. Per ora la mettiamo lì con beneficio d’inventario, ma la sensazione è che più d’uno, dentro e fuori Italia, guardi all’ipotesi di un movimento 5stelle non più grillino, ancora capace di spendere parole d’ordine populiste per mantenere e accrescere il tesoretto di voti finora conquistato ma nello stesso tempo temperato da innesti riformisti tali da rendere possibile un programma di governo sufficientemente serio ed equilibrato. Ripetiamo, per ora sono più che altro sensazioni, quelle che abbiamo. Ma le attenzioni verso Luigi Di Maio si moltiplicano, per essere casuali. E comunque il tema merita un ulteriore approfondimento, e ci torneremo presto. Anche perché questo scenario politico non è destinato a durare a lungo.

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