ultimora
Public Policy

L'editoriale di TerzaRepubblica

Meglio Renzi dell'antirenzismo

OK, ITALICUM E SENATO SONO RIFORME PESSIME MA L’ANTI-RENZISMO BECERO È SOLO UN REGALO A RENZI

02 maggio 2015

Lo abbiamo detto e lo ripetiamo alla vigilia della sua definitiva approvazione: la nuova legge elettorale è un indigeribile minestrone privo di qualunque parentela con i sistemi europei più consolidati, che mischia proporzionale, premio di maggioranza, sbarramento e doppio turno per diventare alla fine una forzatura maggioritaria. Al di là della controversa e comunque non decisiva questione “preferenze-liste bloccate”, che sarebbe stato meglio risolvere adottando i collegi uninominali, il cervellotico sistema escogitato, ha palesemente questi difetti: adotta un premio spropositato a fronte di una soglia bassa; caso unico in Europa, somma sbarramento e premio, producendo uno squilibrio eccessivo tra l’obiettivo della governabilità e quello della rappresentatività; induce il rischio alla frammentazione delle opposizioni; non annulla l’indicazione del nome del candidato premier prevista da norme precedenti, palesemente in contrasto con il profilo costituzionale del nostro sistema istituzionale, che assegna al Capo dello stato il compito di indicare il nome del presidente del Consiglio e al Parlamento di approvarlo. Soprattutto, è un aborto per due ragioni: da una parte la clausola di salvaguardia, difficilmente aggirabile per decreto, proroga l’entrata in vigore al luglio 2016; dall’altra, è valida solo per la Camera, mentre per il Senato si userebbe la legge (proporzionale) uscita dalla sentenza della Corte Costituzionale, con il rischio che, nel caso in cui le riforme istituzionali dovessero fermarsi, si voterebbe con sistemi diversi per i due rami del Parlamento. Inoltre, essa si incrocia con una riforma del Senato che è una vera e propria schifezza, perché non risolve il problema dell’efficienza e velocità della produzione legislativa (mentre basterebbe rivedere i regolamenti parlamentari), e nello stesso tempo apre la porta agli esponenti del decentramento regionale proprio quando invece bisognerebbe rivederlo se non addirittura abolirlo.

Insomma, un italico pasticcio che ignora i motivi del fallimento della Seconda Repubblica e che rende palese la fondatezza di quanto da tempo andiamo affermando, e cioè che se è vero che dobbiamo fare le riforme dopo tanto immobilismo – e una nuova regolamentazione elettorale e un superamento del bicameralismo inefficiente sono cose più che necessarie – è altrettanto vero che fare le riforme sbagliate è peggio che non farne alcuna. E queste in campo, ahinoi, sono proprio del tutto sbagliate.

Detto questo, e proprio perché si tratta di un giudizio inequivocabile, ci permettiamo di dissentire in modo fermo e assoluto con la gran parte delle motivazioni di coloro – forze politiche e commentatori – che in queste ore si sono dichiarati contrari a queste riforme, senza per questo temere di essere bollati come filo-renziani. Le accuse più stupide, in sé e perché offrono su un piatto d’argento a Renzi argomenti a suo favore da spendere con l’opinione pubblica, sono quelle di chi ha gridato al fascismo, all’insorgere di una pericolosa “democratura”. È lo stesso errore commesso con Berlusconi. Se al Cavaliere, anziché rovesciargli addosso le accuse più infamanti, se invece di scatenargli contro magistratura e media fino all’ossessione, ci si fosse limitati a dire che non era capace di governare – come purtroppo era chiaro fin dall’inizio, causa mancanza di cultura politica – e gli si fossero opposte idee di governo riformatrici, vi possiamo garantire che la sua presenza a palazzo Chigi si sarebbe fermata al 1994. E invece l’anti-berlusconismo è stato il più formidabile propellente di cui Berlusconi abbia potuto godere. Ora la storia si ripete con Renzi.

Dire che si forzano i tempi, quando sono anni che si aspetta, e si forzano le regole perché è stata messa la fiducia, nonostante si sappia che gli è perfettamente consentito – e lui l’ha usata, pur non avendone alcun bisogno, proprio perché sapeva di poter beneficiare di questo stupido riflesso condizionato – o urlare che stiamo mettendo un uomo solo al comando, quando tutta la Seconda Repubblica è stata una leadercrazia travestita da bipolarismo, significa essere politicamente sciocchi e fare un regalo grande come una casa a colui che si vorrebbe combattere. Se poi a strapparsi le vesti sono coloro (minoranza Pd, Forza Italia) che al Senato quelle stesse norme avevano già approvato senza batter ciglio e contro le quali, nel merito, si limitano a chiedere “modifiche” (ma come, aprono la porta al fascismo e ci si limita a volerle ritoccare?), beh allora si cade addirittura nel ridicolo. In un referendum svoltosi nel 2009, promosso dal costituzionalista Guzzetta nel 2007, si proponeva il premio di maggioranza alla lista e non alla coalizione. Tra i tanti, lo firmarono Rosi Bindi, Gianni Cuperlo e Renato Brunetta e fu approvato anche da Berlusconi. Oggi, tutti soggetti che gridano alla “democrazia in pericolo”: ma via, siamo seri. Certo, anche Renzi nel gennaio 2014 twittava: “Le regole si scrivono tutti insieme, farle a colpi di maggioranza è uno stile che abbiamo sempre contestato”. Ma questa incoerenza non giustifica quella degli altri. Semmai aggiunge preoccupazione a preoccupazione. Tutta questa veemente invettiva da parte della “vecchia immobile” classe politica non fa che accreditare Renzi agli occhi dell’opinione pubblica come il premier che le cose le fa. Purtroppo, a prescindere da cosa fa. Mentre è del merito che dovremmo seriamente occuparci.

La verità è che se Bersani e soci vogliono davvero fermare queste schifezze – e lo sono, delle schifezze, non perché abbiano connotati anti-democratici, ma perché non servono a dare la necessaria governabilità al Paese – devono proporre riforme alternative e indicare in una nuova Assemblea Costituente lo strumento per rivedere in modo serio il nostro assetto istituzionale. E devono offrire non lo spettacolo penoso di gente che piagnucola perché Renzi gli ha portato via il gelato – anche perché agli italiani i malandrini fanno simpatia – ma di riformisti seri e decisi che spiegano ai cittadini che la governabilità non la si ottiene con qualche formula matematica, come ha dimostrato l’esperienza della passata legge elettorale, e che per assicurare un governo stabile non basta un premio di maggioranza, per quanto possa essere ampio, ma è necessaria la legittimazione dei governi e quindi occorrono regole e politiche condivise.

Il fatto è che Italicum e Senato federale sono solo delle scuse, il terreno di gioco per un doppio regolamento di conti, interno a Pd e FI. Renzi vuole creare un grosso partito centrista, emarginando quel che rimane della sinistra politica e sindacale. La quale, avendo perso ogni credibilità agli occhi del Paese, tenta di resistergli. Berlusconi, preso da rimettere ordine nel suo impero, non è più interessato a pagare i costi di Forza Italia, di cui intende liberarsi, insieme a quasi tutta la nomenclatura che lui stesso ha partorito, ufficialmente per far nascere il partito repubblicano americano in Italia (con buona pace del vecchio Pri di lamalfiana memoria), in realtà per qualcosa di più modesto, un manipolo di parlamentari fedeli che gli guardi le spalle. La prima sarebbe cosa buona e giusta, se Renzi avesse cultura di governo e classe dirigente all’altezza della sfida. La seconda è classificabile come questione sostanzialmente privata. Temiamo che la Seconda Repubblica bis che stiamo vivendo non ci porti affatto all’agognata – e più che mai necessaria – Terza Repubblica.

Social feed




documenti

Test

chi siamo

Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.