ultimora
Public Policy

L'editoriale di TerzaRepubblica

Evitiamo un altro 1992

L’ITALIA È DA BONIFICARE MA UNA RIEDIZIONE DEL 1992 SAREBBE LETALE

29 marzo 2015

Va tutto bene: la lotta alla corruzione, nuove norme e nuove pene, il ruolo di Cantone, la denuncia dei 60 miliardi di ricchezza finita nelle tasche dei corrotti, la riforma delle giustizia, il garantismo, Montesquieu. Ci sta sia la denuncia per la pericolosa corrosione, tanto delle istituzioni quanto delle dinamiche sociali, prodotta l’indecente livello cui è arrivata la corruzione, ma ci sta anche la denuncia di come le barriere garantiste siano state travolte e si sia prodotta una perniciosa assuefazione allo stravolgimento di regole basilari in una democrazia, come la presunzione d’innocenza, l’onere della prova, la certezza del diritto e delle pene. Non vogliamo essere cerchiobottisti, tra giustizialisti e garantisti, diciamo solo che il degrado italiano, quello che riguarda la democrazia, la giustizia e la società, è tale che sono molte le ragioni da dover distribuire. L’unica cosa, però, che sappiamo con certezza granitica è che l’Italia non è in grado di sopportare un altro momento di rottura come quello che con Tangentopoli si produsse nel 1992. Non ce la farebbe fisicamente, ne rimarrebbe inesorabilmente sfiancata. In modo drammatico, definitivo. Al di là del fatto che l’esigenza di fare pulizia sia sacrosanta e a prescindere dal metodo usato per farla. Siamo un paese che esce – a stento, si leggano bene gli ultimi dati della congiuntura – dalla recessione più lunga della sua storia repubblicana ed è affetto dal morbo della sfiducia e del disincanto, figuriamoci se dovesse sopportare una lunga fase di inchieste giudiziarie.

Ma corriamo davvero questo pericolo? Saremo forse condizionati dallo sbarco in grande stile sugli schermi di Sky della fiction appunto intitolata “1992” e dell’eco mediatica che l’ha accompagnata, ma temiamo di essere di fronte, con gli ultimi scandali – più o meno fondati che siano (purtroppo lo sapremo troppo tardi, visti i tempi assurdi della giustizia nostrana) – ad una riedizione di quella palingenesi che fu l’inchiesta Mani Pulite. Si dirà: bene, il Paese ha proprio la necessità di togliere di mezzo le consorterie e di superare certi metodi, tanto nella vita pubblica come nel business. Vero. E rimarrebbe vero anche se riuscissimo a distinguere tra vero malaffare e legittima rappresentanza degli interessi, cosa il fumus creato dall’incrocio tra giustizialismo e populismo ci impedisce di fare. Anche al netto delle isterie per cui tre persone che si scambiano favori sono un’associazione a delinquere, rimarrebbe comunque un eccesso di opacità che andrebbe rimosso. Ma detto questo, l’Italia ha già commesso una volta l’errore di fermarsi a guardare cosa succede, aspettando in trepida attesa il bollettino di guerra delle procure, per commettere nuovamente quell’errore. Anche perché, torniamo a ripeterlo, non ce lo potremmo permettere. Le conseguenze sarebbero: fuga di capitali e di cervelli (l’ennesima), disinvestimenti, ulteriore ridimensionamento dei consumi, diffusione di nuove dosi massicce di scetticismo e disillusione, dilagare del rancore sociale. Sarebbe come una sopraggiunta polmonite per un malato lungodegente dal fisico debilitato: mortale.

Sappiamo che questa valutazione si presta ad una critica radicale: così finite col proteggere e favorire l’illegalità. Lo sappiamo così bene che ci trema la mano nello scrivere parole che potrebbero essere fraintese. Perciò lo ribadiamo: l’Italia è un paese da bonificare. Solo che riteniamo sia da bonificare anche – e sottolineiamo anche – una giustizia che ci mette più di dieci anni per arrivare ad una sentenza definitiva, che non assicura la certezza del diritto, che scambia un avviso di garanzia per una condanna e che usa la carcerazione preventiva come surrogato dell’iter processuale. E, per questo motivo, riteniamo non si possa bonificare scrivendo le pagine delle grandi e spettacolari inchieste “di sistema”. D’altra parte, lo si è fatto nel 1992 e anni seguenti, creando aspettative messianiche che però sono andate clamorosamente deluse. Allora si disse che Mani Pulite, Di Pietro e gli altri eroi del pool di Milano, avrebbero miracolosamente salvato l’Italia. E gli italiani – o quantomeno la gran parte di loro – ci credettero. A distanza di oltre due decenni, oggi più nessuno crede che le varie inchieste daranno frutti commestibili. Non sappiamo come la fiction di Sky procederà dopo le prime puntate – che abbiamo guardato con curiosità senza però trovarci, almeno fin qui, il guizzo di un documento verità fuori dagli schemi, pur pagando il giusto tributo al romanzo televisivo – ma sappiamo che chi ha dai quarant’anni in su non potrà che misurare la distanza che separa – noi crediamo in peggio – la Seconda Repubblica, quella del bipolarismo pro o contro Berlusconi, che ora viene processata, dalla Prima Repubblica, allora messa al patibolo.

Questo spazio di confronto libero si chiama Terza Repubblica non a caso, e da tempi non sospetti, quando un po’ tutti, dagli intellettuali all’ultimo dei cittadini, guardava con speranza a ciò che la politica ha offerto dal 1994 in poi. Noi non ci abbiamo mai creduto, alla cosiddetta Seconda Repubblica (titolo peraltro totalmente usurpato). Dunque, figuratevi se possiamo avere qualche riserva a che si archivi quel ventennio con l’ignominia che merita. Tuttavia, la cultura di governo cui facciamo riferimento, la consapevolezza della complessità che ci circonda e il relativo desiderio di rifuggire da tutte le semplificazioni, e l’amore per l’Italia che nutriamo, ci inducono a non reclamare processi sistemici e punizioni esemplari. La stagione in cui viviamo non è la Terza Repubblica che noi abbiamo sognato, ma una sorta di “bis” sgangherato e senza futuro della Seconda. Ma sappiamo che non potremo davvero voltare pagina – se non quelle di media sempre più vittime di banalizzazione populiste – se si dovesse fare i conti con la storia più recente attraverso le inchieste e le aule giudiziarie.

Social feed




documenti

Test

chi siamo

Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.