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L'editoriale di TerzaRepubblica

Renzi e il Quirinale

IL PREMIER GIOCHI D’ANTICIPO E LANCI AL QUIRINALE UN POLITICO DI CARATURA SOTTRATTO ALLO SCHEMA RENZISMO-ANTIRENZISMO

13 dicembre 2014

“Tutto dipende da quale esito avrà la guerra per il Quirinale”. Non c’è protagonista, grande o piccolo, della Roma “dei palazzi” che oggi non si esprima così. E che non aggiunga: “finchè non sapremo che sale al Colle, la politica resterà immobile. Altro che legge elettorale e nuovo Senato”. Fummo dunque facili profeti quando, in tempi non sospetti, indicammo nella disputa per il dopo Napolitano la madre di tutte le battaglie politiche, quella da cui sarebbe discesa la continuità o la fine prematura del “renzismo”, come stagione di transizione tra una Seconda Repubblica già morta e una Terza ancora da nascere. Lo schema di gioco è facilmente sintetizzabile: da un lato i renziani che cercano di imporre una figura – il cui nome probabilmente ancora non c’è, o che comunque non è mai pronunciato – che salvaguardi il potere di palazzo Chigi, e dall’altra tutti coloro – nemici, falsi amici, sodali delusi del premier – che vogliono un presidente che impedisca il rafforzamento della presa di Renzi, o addirittura che gli faccia lo sgambetto.

Messa così, sinceramente non c’è da tifare né per l’una né per l’altra ipotesi. Non ne guadagnerebbe l’Italia, non la si aiuterebbe a uscire da un declino che ogni giorno si fa sempre più pesante. Declino che la vicenda romana – i cui contorni, al di là dell’eco mediatico, sono peraltro ancora tutti da definire – contribuisce ad alimentare, almeno nella sua accezione di clima di sfiducia intorno al futuro del Paese.

Per questo, sommessamente, ci permettiamo di suggerire al presidente del Consiglio un colpo d’ala sul tema Quirinale, che gli consenta di rompere questo schema logoro e proporsi agli occhi degli italiani – e dell’Europa, che nella vicenda certo non intende fare da semplice spettatore – come uno statista capace di aprire davvero una nuova stagione della nostra vita repubblicana. Abbiamo bisogno di un Capo dello Stato che non sia né renzista né anti-renzista, perché il prevalere dell’uno come dell’altro fronte aprirebbe le porte ad asimmetrie politico-istituzionali ben più gravi di quelle che già ci sono, e delle quale proprio non si sente la necessità. Così come dobbiamo evitare che di fronte ad un bilanciamento delle forze che si contrappongono, s’imbocchi la strada di una personalità magari prestigiosa ma completamente digiuna di politica. Non serve un presidente da esportazione, tantomeno taglianastri. Serve un uomo o una donna che abbia caratura e autorevolezza politica, che conosca le istituzioni e la macchina amministrativa, che abbia assoluta confidenza con la Costituzione, che presieda il Csm da garantista e che in quel ruolo sappia aiutare il governo a riformare la giustizia superando una delle patologie più gravi della “malattia italiana”, che in Europa gli venga riconosciuta la credibilità, il vero ingrediente che manca alla classe dirigente nostrana. E questo identikit vale tanto nel caso che la transizione ci porti verso il cancellierato (sistema tedesco) – perché il contrappeso del Quirinale deve essere assegnato ad una figura politica e non semplicemente emblematica o, peggio, incolore – quanto, a maggior ragione, che ci porti verso un sistema presidenziale (francese o americano).

È dunque nell’interesse di Renzi che la Terza Repubblica si vada finalmente definendo, e che il prossimo inquilino del Quirinale sia all’altezza di questa sfida. Un paria o un “bel nome” non gli servirebbe a questo scopo, e il primo a pagare il prezzo di una scelta sbagliata sarebbe inevitabilmente lui. Basti pensare a quanto sarà difficile reggere l’urto della questione giudiziaria, ferita rimasta aperta fin dal 1992 e ora resa purulenta dagli ultimi scandali. C’è da fare un ricambio totale di classe dirigente, c’è da definire una volta per tutte le forme di finanziamento della politica, c’è da riformare la giustizia. Ma c’è anche da rilanciare l’economia, attraverso un piano straordinario di investimenti (uno vero, non quello finto di Junker), e nello stesso tempo c’è da sistemare i conti pubblici riducendo in modo strutturale il peso del debito pubblico. Sapendo che abbiamo gli occhi addosso dell’Europa e la pistola della “troika” puntata alla tempia. Dunque, deve essere chiaro: queste ambizioni non si soddisfano e questi pericoli non si tengono a bada aprendo un fronte di guerra tra Palazzo Chigi e il Quirinale, o pretendendo che al Colle salga un “nessuno”.

Per questo, auspichiamo che Renzi abbia la sensibilità politica di orientarsi su un nome che disponga delle caratteristiche di cui abbiamo detto, che lo faccia proprio e che cali l’asso al momento giusto, spiazzando le due tifoserie (compresa la sua). Non spetta a noi indicare nomi e cognomi. Ma siamo sicuri che se risponderà all’identikit che abbiamo descritto, non solo sarà una scelta fatta per il bene del Paese, ma corrisponderà all’interesse personale del presidente del Consiglio. In fondo, piaccia o non piaccia, la sua sorte e quella dell’Italia marciano su binari così paralleli da finire per intersecarsi. Speriamo non così tanto sovrapposti da far deragliare, lui e noi.

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