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L'editoriale di TerzaRepubblica

La minaccia russa e la nostra ignavia

LE GUERRE RUSSE, MILITARE E IBRIDA, REALIZZATE CON LA COMPLICITÀ USA, CI MINACCIANO ANCHE PER LA NOSTRA IGNAVIA

di Enrico Cisnetto - 13 settembre 2025

La storia non si ripete mai eguale, ma ha fatto più che bene il presidente Mattarella a risvegliare le nostre coscienze ricordandoci il baratro del 1914 in cui il mondo cadde, e hanno ragione coloro (pochissimi, ahimè) che per capire dove ci possono portare le ore che stiamo vivendo hanno rievocato gli anni Trenta del secolo scorso come preludio della Seconda Guerra Mondiale, a cominciare dalla crisi economica del ’29 cui ci riportano le follie trumpiane sui dazi. C’è in giro, nelle classi dirigenti come nelle opinioni pubbliche, uno spaventoso deficit di comprensione e un pericoloso eccesso di sottovalutazione di quanto sta accadendo, che è figlio di pressapochismo e ottusità ideologica, ma anche di ignoranza della storia e degli insegnamenti che da essa si possono e si debbono trarre. E la nostra inconsapevolezza è l’arma più micidiale dei nostri nemici, che noi stessi gli mettiamo in mano.

Cari lettori, ci eravamo lasciati a fine luglio e in questo mese e mezzo sono accadute molte cose, tanto che più volte sono stato tentato di interrompere il silenzio del riposo. Però ho desistito, non per pigrizia ma perché via via maturavo la convinzione che tutto era da ricondurre ad un preciso copione di cui vi avevo già dato conto nei mesi scorsi: il ritorno di Trump alla Casa Bianca ha rotto irrimediabilmente (almeno finché sarà lui il presidente degli Stati Uniti) l’Alleanza Atlantica e con essa l’architrave su cui è stato costruito e per ottant’anni ha poggiato l’Occidente democratico, e negare questo assunto, attaccandosi al simulacro di una solidarietà transatlantica che non c’è più, è un errore capitale che ha favorito e favorirà molti di quegli accadimenti gravi intorno ai quali si levano i giusti moniti di chi la storia l’ha studiata e ne ha fatto tesoro; questa rottura spinge la Russia di Putin a insistere nel perseguire il suo disegno di voler riedificare i confini dell’antico impero zarista e rinverdire la potenza strategico-militare della vecchia Unione Sovietica attraverso la destabilizzazione dell’Europa, di cui la guerra all’Ucraina è solo il primo tassello, mentre il mondo “terzo”, quello che negli ultimi decenni ha prodotto un boom economico e demografico senza precedenti, sotto la guida della Cina cerca di imporre nuovi equilibri planetari. A ben vedere, tutto ciò che è successo questa estate e ancora sta accadendo in queste ore – dal “finto” vertice Putin-Trump in Alaska fino ai droni russi lanciati in Polonia, ma anche la scelta di Israele di “andare fino in fondo” e persino la crisi francese – è riconducibile a questa epocale lacerazione storica che ho sommariamente riassunto.

Sì, partiamo proprio dalla caduta del governo Bayrou e dal conseguente tentativo di sbarazzarsi di Macron che sta infiammando le piazze di Parigi. Tutti si sono buttati su chiavi interpretative interne: la crescita del deficit e del debito che espone l’economia francese a difficoltà simili a quelle italiane del 2011, la caduta di popolarità dell’inquilino dell’Eliseo, la crisi dei partiti tradizionali e nello stesso tempo dell’opzione tecnocratica imposta da Macron, la consunzione del sistema politico-istituzionale transalpino, che induce a pensare che la Quinta Repubblica, ormai prossima ai 70 anni di vita (è dell’ottobre 1958 la settima Costituzione, quella del semipresidenzialismo), sia arrivata al capolinea. Letture legittime, sia chiaro, a cominciare dalla constatazione di come i populismi di destra e gli estremismi di sinistra siano cresciuti anziché diminuire come il disegno macroniano si proponeva di fare. È un dato di fatto. Anche se fatico a considerare solo un banale luogo comune la convinzione, diffusa ovunque tranne che in Francia, che quello sia “un paradiso abitato da gente convinta di trovarsi all’inferno”.

Ma io guardo alla crisi francese inforcando occhiali geopolitici. Bastano alcune semplici constatazioni. La prima: è vero o non è vero che le due forze che hanno impedito la sopravvivenza del governo Bayrou, la destra lepenista e la sinistra radicale, hanno in comune una linea di politica estera filo-putiniana? Nel caso del Rassemblement National di Le Pen e Bardella c’è addirittura un non smentito legame finanziario con Mosca, mentre la linea anti-riarmo e anti-Ue della sinistra radicale dentro e vicina a France Insoumise guidata da Melenchon fa oggettivamente il gioco di Putin. E come mai proprio ora è stato impedito a François Bayrou di restare a Matignon, nonostante che a dicembre gli sia stato consentito di succedere a Michel Barnier? Forse perché il vero obiettivo è il Macron che si è messo alla testa dei “volenterosi”, unica alternativa ai “vuoti” creati dalla presidenza americana in sede Nato, e in Europa è il leader più fieramente anti-Putin, il maggior critico di Trump e il più disposto insieme con l’inglese Starmer – cui non a caso stanno creando grattacapi politici interni non da poco – a interventi militari diretti a sostegno di Zelensky? Tutti hanno sottolineato che il nuovo primo ministro designato da Macron, Sébastien Lecornu, sia un fraterno amico del presidente, e i più stupidi (non pochi, purtroppo) hanno fatto facili battute sul suo cognome, ma nessuno ha notato come nel gabinetto Bayrou fosse ministro della Difesa e che sceglierlo assume un preciso significato circa le priorità che la Francia si deve dare in questo drammatico momento. C’è da giurarci che a Mosca ne abbiano preso nota.

Insomma, la destabilizzazione della Francia è un obiettivo primario della politica anti-europea di Putin, non fosse altro perché vuol dire mettere in crisi il solo paese dell’Unione Europea dotato di deterrenza atomica, l’unica forza militare in grado di mettere in soggezione il Cremlino. Sappiamo che Mosca investe ingenti risorse – denaro, intelligence, attività cyber, infiltrazioni, interferenze elettorali – per minare dall’interno i sistemi politici dei paesi continentali, sfruttando le loro debolezze, e per creare nelle opinioni pubbliche europee, soprattutto attraverso campagne e diffusione di fake news sui social media, correnti di pensiero funzionali sia alla messa in crisi di governi, partiti ed equilibri politici considerati nemici, sia ad alimentare la protesta sociale. Prendiamo la rivolta che si è generata l’altro giorno a Parigi, quella denominata “Bloquons tout”, lanciata anonimamente su Tik-Tok e X da oscuri nostalgici della stagione dei Gilet Gialli (quella di cui si erano innamorati i 5stelle nostrani) con l’intendimento (per fortuna irrealizzato) di bloccare l’intero paese facendo leva sulla protesta sindacale e sulla copertura della sinistra di Melenchon. Pensate che un simile movimento dal basso, come si usa dire, senza bandiere né leader, che la stampa francese ha indagato senza venirne a capo, sia potuto nascere e organizzarsi spontaneamente? O piuttosto che ci sia una regia occulta? Io propendo per questo seconda spiegazione, e aggiungo: chi se non la Russia può avere avuto l’interesse a promuoverlo e finanziarlo? 

Il mio non è amore per la dietrologia, ma repulsione per l’ingenuità e le sue nefaste conseguenze. Lo stesso sentimento che mi porta a considerare fasulle le smentite che fosse di marca russa l’attacco cibernetico ai sistemi di navigazione dell’aereo di Ursula von der Leyen. E che mi porta ad escludere l’errore involontario tra le possibili cause della pioggia di droni russi sul territorio polacco – anche perché, nel caso, la reazione del Cremlino sarebbe stata diversa – e a considerare quell’incursione una deliberata provocazione nei confronti non soltanto della Polonia, ma anche dell’Europa e della Nato. Con l’intento di saggiarne le reazioni, sapendo di poter contare sulla sostanziale indifferenza americana, seppure mascherata da una finta (ma neanche tanto) indignazione verbale. Anzi, mi spingo oltre, e noto che la gravissima provocazione russa sia stata messa in atto in corrispondenza con la crisi politica francese – non a caso chiusa in poche ore da Macron, anche a costo di una evidente precarietà – e l’esplosione della piazza. Non è una coincidenza, ma una precisa strategia partorita a seguito, e in conseguenza, del vertice russo-americano di Ferragosto. Il quale non ha mai avuto, da entrambe le parti, l’obiettivo della pace in Ucraina – e neppure di succedanei come la tregua o anche solo un momentaneo cessate il fuoco – ma la celebrazione del ritorno sulla scena internazionale del “ricercato” Putin, anche a costo di una “figura di emme” da parte di Trump. Ho già scritto ripetutamente, nei mesi scorsi, del patto occulto, ma facilmente intellegibile, tra lo zar di Mosca e l’aspirante autocrate di Washington, sancito sul terreno degli interessi privati di Trump e per questo ancor più forte e vincolante di una sua versione politico-strategica (dimensione che interessa solo a Putin). Quell’incontro in Alaska, per le dinamiche del suo svolgimento a fronte di un totale vuoto di contenuti, ha clamorosamente confermato l’esistenza di questo patto scellerato, così come lo confermano i penosi balbettii di The Donald di fronte al ripetersi, anzi al crescere, delle aggressioni militari russe, fino, da ultimo, all’incommentabile alibi concesso a Putin, e cioè che decine di suoi droni sarebbero finiti “per errore” a oltre 300 km al di là dei confini della Polonia. 

L’Europa, le democrazie occidentali, sono (siamo) sotto il tiro di una duplice minaccia: il fuoco nemico della Russia che ambisce a tornare Urss, e il fuoco amico degli Stati Uniti di Trump, che ha tradito tutti i vecchi alleati, flirta con i russi, è in soggezione verso la Cina ed è impegnato ad abbattere tutti gli architravi della democrazia americana e a fomentare una guerra civile interna. Un combinato disposto terribile, che dimostra come, da un lato, la tutela e il sostegno “anche militare” dell’Ucraina sia un doveroso atto di legittima autodifesa da parte del Vecchio Continente e del mondo libero, e dall’altro, che la guerra russa non inizi e non finisca a Kiev, ma si estenda con strumenti ibridi – che costano molto meno e sono altrettanto efficaci di quelli militari – agli Stati e alle istituzioni che si oppongono a questo disegno imperialista. Esserne consapevoli è il primo dei requisiti necessari per potervi far fronte. Chi lo è, si chiede se Putin abbia o meno intenzione di andare oltre, ed eventualmente quando. È una domanda angosciante cui io non sono in grado di dare una risposta sul piano militare, mentre posso ragionarci sul piano politico. E sotto questo profilo, l’unica risposta che ritengo sensata è la seguente: il disegno, e dunque l’intenzione, c’è, ma la possibilità che sia messa in pratica, a ben vedere, non dipende da Putin – che prima di essere un criminale è un freddo stratega razionale – ma dall’atteggiamento delle sue controparti. Cioè da noi, noi europei e noi occidentali. Mosca – che ha in Pechino un alleato fondamentale, ma anche calmieratore – setta la sua strategia di conseguenza. Sa di poter contare sugli Stati Uniti, che hanno assunto e continueranno ad avere, con questa amministrazione, un atteggiamento funzionale. E conta sulle debolezze dell’Unione Europea: ha in seno paesi filo-russi come l’Ungheria, che forti del diritto di veto che il principio comunitario dell’unanimità consegna loro, frenano un’azione già di per sé lenta e in molti casi affidata più alle parole che ai fatti; vede la crescita in quasi tutti gli Stati membri di forze nazional-populiste – specie di destra, anche estrema come l’Afd tedesca, ma pure collocate a sinistra, come i 5stelle italiani – che indeboliscono le leadership governative, e di movimenti pacifisti che fanno oggettivamente il gioco di chi vuole sottomettere il Vecchio Continente; è stata presa in contropiede dal disimpegno americano, comodamente abituata com’era per quasi un secolo a delegare la propria sicurezza internazionale agli Stati Uniti e al suo ruolo egemone in seno alla Nato.

Ora l’Ue ha dato qualche segno di risveglio, ma soprattutto il fronte dei volenterosi, più libero rispetto alle rigidità e ai vincoli di Bruxelles, ha fatto capire a più riprese di essere abbastanza pronto alla reazione (il prudenziale “abbastanza” è reso necessario dai tentennamenti tedeschi ma soprattutto dal comportamento dell’Italia, che si è accostata tardi e male a questa reviviscenza occidentale). Tuttavia, è ancora troppo poco. Specie per quanto riguarda le reazioni alle minacce ibride, dove i vincoli che ci derivano dall’essere democrazie liberali (che per fortuna abbiamo ma che ci legano le mani, di questo dobbiamo essere consci) limitano fortemente le nostre azioni e ci sottopongono ad un oggettivo svantaggio rispetto ai regimi autoritari. Fare di più, e come, dovrebbe e dovrà essere l’oggetto dei nostri pensieri e delle nostre discussioni e valutazioni politiche. Per quanto riguarda noi italiani, mi limito ad osservare – ma ci tornerò su presto – che dopo aver mostrato a Bruxelles le divisioni che tagliano trasversalmente maggioranza e opposizione su un tema “facile” come l’accelerazione dell’ingresso dell’Ucraina nella Ue (Lega e 5 stelle hanno votato contro), alla Camera sul più impegnativo (si fa per dire) tema del riarmo europeo le forze di governo per evitare di mostrare i dissensi interni non hanno presentato alcuna mozione (che è come dire non abbiano una posizione sulla politica estera) mentre quelle che vorrebbero unirsi in un “campo largo” per conquistare palazzo Chigi ne hanno presentato ben 5 diverse. Immagino Putin come si sia fregato le mani… (e.cisnetto@terzarepubblica.it)

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