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L'editoriale di TerzaRpeubblica

Pacifismo non equivale a pace

ASCOLTARE MACRON E NON IL PAPA SE SI VUOLE EVITARE LA RESA DELL’UCRAINA (E CON ESSA DELL’EUROPA)

di Enrico Cisnetto - 16 marzo 2024

Per un Bergoglio che sbaglia ci sono, per fortuna, un Parolin che ci mette una pezza e un Macron che ritrova (l’aveva perso) il coraggio civile di dire le cose come stanno. L’avrete capito, mi riferisco all’invocazione del Papa all’Ucraina ad “alzare bandiera bianca” e di conseguenza arrendersi all’aggressore russo. Parole inaccettabili, quelle del Pontefice, e pure recidive, visto che mesi fa aveva invitato i giovani russi a continuare a seguire l’esempio dell’imperialismo culturale russo di Pietro il Grande e di Caterina II. Un’uscita grave, la sua, per tre ordini di motivi. Primo: non contenevano, in premessa, la richiesta a Putin di fare il primo passo cessando il fuoco – e sta in questo il tentativo di rimediare da parte del Segretario di Stato del Vaticano – passaggio indispensabile per rendere possibile l’asserzione del Papa “il negoziato non è una resa”. Cosa induce il Papa, ma anche analisti intelligenti come Cacciari e Caracciolo – non dico i pifferai del “concorso di colpa” (le responsabilità russe e ucraino-occidentali pari sono) o, peggio, i putinisti al soldo del Cremlino – a credere che sia possibile una “pace giusta”? L’autocrate che si appresta, con elezioni farsa, a rinnovare la sua occupazione del Cremlino, l’ha detto con spudorata chiarezza cosa intende lui per processo di pace: se si vuole la fine della guerra è sufficiente che l’Occidente cessi di fornire armi e risorse all’Ucraina e si rassegni al fatto che la Russia non si ritirerà mai dai territori conquistati, tanto che a Mosca hanno già provveduto a ridisegnare le carte geografiche, e che pretende di avere a Kiev un “regime amico” come in Bielorussia. Sono condizioni accettabili? Intanto non lo sono per l’eroico popolo ucraino, che pur provato e deprivato mantiene la straordinaria determinazione dimostrata in questi drammatici 25 mesi di resistenza all’aggressore. E non dovrebbero esserlo neppure per quell’Occidente che, seppure tra tante (troppe) incertezze e contraddizioni, ha fin qui sostenuto quel popolo e quei confini. E qualcosa fa forse pensare che quelle di Putin siano solo parole di propaganda e che l’uomo che ha dimostrato di essere – solo per fare l’esempio più eclatante, quello che ha fatto morire Navalny in Siberia – sia pronto a scendere a più miti consigli una volta che si dovesse aprire, non per sua volontà, un tavolo negoziale?

E veniamo al secondo motivo per cui le parole del Pontefice vanno respinte al mittente. In Bergoglio manca totalmente la consapevolezza di cosa significhi veramente il conflitto che da due anni insanguina l’Ucraina, e dunque delle conseguenze generate dal dare per scontato che il dittatore sanguinario abbia già vinto (e cosa altro è il dire “fermiamola qui, evitiamo altri morti, arrendetevi” se non partire dalla convinzione che Kiev sia irrimediabilmente soccombente?). Perché è chiaro – e dovrebbe essere chiaro a tutti, se non fosse che, come dice Macron, “abbiamo messo troppi limiti al nostro vocabolario” – che un’eventuale vittoria di Mosca avrebbe conseguenze gravissime per l’intero Occidente, e per l’Europa in primis.

Il presidente francese, rimuovendo gli ammiccamenti avuti con Mosca – all’inizio della guerra era stato l’unico leader europeo a parlare con Putin nella convinzione di poterlo addomesticare – ha fatto un discorso alla nazione degno di un Winston Churchill. “Se la Russia vincerà, la vita dei francesi cambierà. La sicurezza della Francia si gioca in Ucraina”. Consiglio vivamente Giorgia Meloni di ripetere le stesse parole, sostituendo Italia a Francia, o ancor meglio consiglio a lei e a tutti i leader continentali di pronunciarle all’unisono quelle parole, parlando a nome dell’Europa intera. Macron stesso lo ha già fatto, parlando della necessità che Mosca non vinca la guerra: “se ciò accadesse”, ha affermato, “non avremmo più alcuna sicurezza in Europa e la sua credibilità sarebbe ridotta a zero”.

L’inquilino dell’Eliseo è stato attaccato dai pacifisti nostrani, già “caldi” perché impegnati a tempo pieno a manifestare contro Israele dimenticando le responsabilità di Hamas e di chi gli sta dietro, per aver osato dire di “non escludere l’invio di truppe europee in aiuto a Kiev”. Apriti cielo. “Quel fr… di Macron ci fa scendere in guerra”, è tra le espressioni più gentili. E poco e niente è servito che il presidente transalpino abbia detto con chiarezza “il regime del Cremlino è nostro avversario, ma non siamo in guerra contro la Russia, siamo solo pronti a rispondere a una possibile escalation della Russia”. E qui siamo al terzo errore del Papa. Se il suo era un genuino auspicio di realpolitik – e io sono convinto che questa fosse la sua intenzione – bisogna allora dire che realismo è anche tener conto in anticipo, prima di pronunciarle, che certe parole inevitabilmente gonfiano le vele di quel pacifismo duro e puro, a senso unico, che ignorando che i processi di pace sono complessi e non si avviano con la sola invocazione al “cessate il fuoco”, finisce per essere l’utile idiota (quando è in buona fede) o il fiancheggiatore (quando è in mala fede) al servizio dei nemici della libertà e della democrazia. Cosa che è immancabilmente accaduta dopo l’uscita di Bergoglio. Perché, purtroppo, nell’opinione pubblica occidentale, e italiana in particolare, si è andata formando sia un non trascurabile flusso di simpatia verso Putin – considerato non un dittatore o un autocrate, bensì un decisionista che mostra, al contrario dei leader democratici, di avere gli attributi nel governare il suo Paese – sia una corrente di pensiero codarda, che ritiene che non valga la pena di spendere vite e denaro per difendere la libertà degli ucraini. Opinioni che si aggiungono alla storica, diffusa avversione agli Stati Uniti, e formano un esercito di malpensanti, cui purtroppo è grave che si aggiungano i pacifisti sinceri, del tutto dimentichi di un fondamentale insegnamento della storia: “si vis pacem, para bellum”, se vuoi la pace, prepara la guerra. A questo proposito vi segnalo la puntata di War Room di mercoledì 13 marzo con il professor Marco Mondini, l’ambasciatore Stefano Stefanini e Christian Rocca, direttore de Linkiesta (qui il link). 

Questo non toglie, naturalmente, che sia necessario fare un’attenta valutazione del punto in cui è arrivato il conflitto in Ucraina, per capire cosa sia meglio fare. E non c’è dubbio che la fotografia più realista sia quella scattata dallo stesso Macron: “la controffensiva non è andata come previsto, la situazione è difficile per gli ucraini, che sono coraggiosi ma hanno dei limiti in termini di uomini e di risorse militari”. Il che porta alla conclusione che o Usa e Ue aumentano il sostegno all’Ucraina, o davvero Zelensky sarà costretto, suo malgrado, ad ascoltare Papa Francesco. Peccato che tanto a Washington quanto a Bruxelles ci siano leadership in scadenza impegnate in campagna elettorale, e non è certo facile – bisogna ammetterlo – cercare voti usando la locuzione latina del IV secolo tratta dal libro III de “Epitoma rei militaris” di Vegezio, scrittore romano funzionario di Teodosio. Tuttavia, a quegli stessi elettori americani ed europei, bisognerà pur spiegare quali ricadute avrebbe sulle loro vite lo sconvolgimento degli equilibri geopolitici globali provocato dall’eventuale resa di Kiev, specie se prodotta dal venir meno dei supporti occidentali. Che ci sono stati, contrariamente a quanto accadde nel 2014 quando la Russia si prese la Crimea, e che dovrebbero continuare ad esserci, a ben interpretare Ursula von der Leyen quando parla di “urgente necessità di ricostruire, rifornire e modernizzare le forze armate degli Stati membri dell’Unione”. Il riferimento è all’eventualità, tutt’altro che remota ahinoi, che vinca Trump e si affermi una linea di uscita degli Stati Uniti dalla Nato o comunque di chiusura di quell’ombrello protettivo militare americano che noi europei sfruttiamo da 70 anni. 

Già, alle prossime elezioni europee le più importanti linee di distinzione tra le forze politiche, e subito dopo il voto tra alleanze, saranno proprio la posizione rispetto a Putin e quella rispetto a Trump, con buona pace di chi, come l’ineffabile Conte, pretende il diritto di non collocarsi (ma si capisce benissimo da che parte sta). Si dice che in Europa stia spirando un vento di destra, e in effetti l’affermazione di Wilders in Olanda a novembre e ora il boom elettorale in Portogallo di Chega! (che in italiano significa Basta! con tanto di punto esclamativo), oltre che la crescita della tedesca Afd in recenti elezioni amministrative in Germania, confortano questa tesi. Ma come abbiamo visto, ci sono destre nazional-populiste e sinistre radicali che strizzano l’occhio a Putin, magari travestiti da pacifisti, e tifano per Trump – Salvini per non sbagliare fa entrambe le cose – e altrettanti partiti di destra e di sinistra che sono (più o meno seriamente) euro-atlantisti. Per questo le elezioni di giugno – che si svolgeranno al buio rispetto all’esito del duello Biden-Trump – saranno fondamentali, perché decideranno se affidare le sorti prossime e future di tutti noi a chi, per calcolo o per stupidità, si renderà servo delle mire imperialiste del Cremlino, o a chi a queste mire si opporrà, sapendo che, come ha detto Macron, “volere la pace oggi non è lasciar cadere l’Ucraina” Io non sono altrettanto certo come il mio amico Christian Rocca, che Macron abbia le doti di Churchill, ma sposo la chiosa che ha vergato l’ottimo Francesco Cundari, sempre de Linkiesta, che si augura che davvero Macron sia il nuovo Churchill, perché in questa situazione “non serve niente di meno”.

p.s. forse qualcuno oggi si attendeva da me una TerzaRepubblica incentrata sull’esito del voto in Abruzzo. Mi spiace di aver deluso, ma francamente dopo aver scritto due settimane fa dopo il voto in Sardegna, sciaguratamente trasformato da fatto locale a evento nazionale, finalizzato a regolare i conti a Roma dentro sia alla maggioranza sia all’opposizione, che avrebbe avuto come conseguenza “laceranti disillusioni a destra e pericolose illusioni a sinistra”, cosa avrei potuto scrivere stavolta? Semplicemente che le parti si sono rovesciate.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.