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Post Coronavirus

Polo Strategico Digitale

La necessità di un’agenda digitale per la ricostruzione del Paese.

di Luciano Ricci - 02 aprile 2020

Il crash del sito dell’Inps è solo l’ultimo di una lunga serie di episodi in cui, in queste settimane di emergenza, è emerso quante e quali siano le necessità del sistema Italia che sono state trascurate negli anni. Il lockdown, infatti, ha cambiato il modello di fruizione dei servizi della scuola (da lezioni in aula a video-lezioni), della sanità (da visite in ambulatorio a telediagnosi), degli enti provvidenziali (scelti come canale di contatto con i cittadini, per la richiesta e l’erogazione delle indennità stanziate dal governo), come anche il modo di lavorare, con le aziende che, quando hanno potuto, sono passate dalla presenza negli uffici/siti di produzione allo smart working. Ma non sempre i risultati sono stati esaltanti. Anzi. Per esempio, come è possibile che nel 2020 migliaia di lavoratori autonomi, prima di compilare il modulo di richiesta degli indennizzi, non abbiano ancora il PIN di accesso ai servizi digitali? E che è possibile che poi non si possa accedere al sito dell’Inps per chiedere assistenza economica in un momento in difficoltà?

Insomma, il progresso non può attendere, tanto meno in questo momento. Perché se la popolazione viene chiamata a cambiare le proprie abitudini, devono essere garantite le infrastrutture e le piattaforme abilitanti di questo cambiamento. E, purtroppo, queste settimane hanno evidenziato quanto il nostro Paese sia arrivato in ritardo. Soprattutto per quanto riguarda il digitale non possiamo più permetterci né di restare agli annunci, né di agire in modo scoordinato, né tantomeno di non “fare sistema”. La modernizzazione della pubblica amministrazione, per esempio, non è un obiettivo raggiungibile senza coinvolgere, insieme, la realtà industriale e la scuola, senza una cooperazione tra pubblico e privato, tra business e istruzione. C’è l’esigenza di un approccio programmatico e nazionale che costruisca basi solide per il futuro. Tanto più che l’informatica negli ultimi anni si è trasformata molto. E noi dobbiamo adeguarci.

Grandi gruppi, pubblici e privati, hanno lasciato spazio alla nascita di tanti piccoli operatori, mentre colossi internazionali hanno esteso la loro presenza, ma in modo assolutamente innovativo rispetto a prima. Da Windows ’95 a Google Cloud, in pochi anni il settore delle tecnologie digitali è stato completamente rivoluzionato. E l’Italia è arrivata impreparata. Il mercato, per esempio, richiede oggi quasi quattro volte il numero di addetti specializzati di quello che il mondo universitario e scolastico riesce a formare. Il prezzo dei servizi subisce un graduale e progressivo declino, premiando solo alcune nicchie specialistiche, come cyber security, industry 4.0 e big data. In questo scenario le società si contendono le risorse più qualificate, generando un incremento dei salari e forti movimenti sul mercato del lavoro a scapito della continuità di sviluppo e del consolidamento delle competenze. E il sistema Paese deve rispondere. Infrastrutture di connettività, cloud, cyber security, big data e competenze ICT sono il pilastro su cui rifondare questo mercato, sostenere la ricostruzione e modernizzazione del tessuto economico e sociale del nostro paese. Sono asset strategici in cui è necessario investire e che vanno tutelati e governati, anche con partecipazioni dirette dello Stato, al fine di creare una sinergia tra imprese, pubblica amministrazione e sistema di istruzione.

Nel 2019 è stato concluso dall’Agenzia per l’Italia Digitale (AgiD) il censimento del patrimonio ICT che ha evidenziato la presenza di 1252 data center per quasi mille amministrazioni centrali e locali, rilevando che l’82% delle amministrazioni possiede un data center di proprietà e solo il restante 18% si avvale di servizi di terzi. Di fronte ad uno scenario così parcellizzato non è solo necessario procedere ad un piano di razionalizzazione, ma è evidente che si deve tendere ad un mercato in cui far nascere dei “campioni” nazionali” in grado di consolidarsi e crescere, anche attraverso acquisizioni di realtà minori e alleanze strategiche con player internazionali di tecnologia. Occorre creare quindi massa critica per affrontare questa sfida nei tempi dettati da questo cambiamento. Senza dimenticare che questo potrebbe essere poi una piattaforma per potersi espandere sui mercati esteri. Insomma, non bisogna assolutamente disperdere o svendere asset preziosi, quanto invece consolidarli in un “Polo Strategico Digitale”, che metta al sicuro tutti i servizi digitali fondamentali per la pubblica amministrazione, che consenta di risparmiare miliardi di euro e che diventi una palestra per i neo-laureati e diplomati.

Serve uno strumento innovativo con cui mobilitare gli investimenti privati. Lo Stato, al posto dei quattrini, potrebbe co-partecipare tramite la cessione di asset e l’assicurazione di un mercato captive; uno strumento che consenta di coinvolgere le università italiane e, finalmente, adegui lo sviluppo degli Istituti Tecnici Superiori (ITS) agli standard Europei. Solo per aver un termine di paragone, in Germania il bacino degli studenti post diploma superiore di questi indirizzi di specializzazione e di avviamento al lavoro è trenta volte superiore a quello del nostro paese. Non possiamo poi stupirci se, di fronte ad una crisi, seppur durissima, gli altri arrivano meglio preparati di noi. Facciamo che questo non accada più, facciamo che il sito dell’Inps non vada mai più in crash nel momento del bisogno. Lavoriamo fin da ora all’agenda digitale del Paese. E un Polo Strategico Digitale aiuterebbe, e non poco, la ricostruzione post-emergenza.

 

Luciano Ricci

MISE Innovation Manager

Ethical Trendsetting Ambassador

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.