ultimora
Public Policy
  • Home » 
  • Articoli » 
  • 20200126 - Si investimenti, no bonus

Taglio del cuneo fiscale

Si investimenti, no bonus

Il potere d’acquisto senza contropartita produttiva è un giro a vuoto

di Enrico Cisnetto - 26 gennaio 2020

Non esiste una medicina buona per tutte le malattie. E per quanto il taglio del cuneo fiscale sia una misura potenzialmente sensata anche in considerazione dell’elevato costo del lavoro che c’è in Italia, con l’economia stagnante le poche risorse disponibili devono essere usate per rilanciare gli investimenti, ormai ridotti a zero, e non per finanziari i consumi, che tanto non ripartono.

Il governo ha stanziato 3 miliardi per il 2020 e 5 miliardi dal 2021 per estendere e rafforzare il bonus degli 80 euro, che salirà di 20 euro al mese per i redditi da 8 a 28 mila euro lordi, per scendere di nuovo a 80 euro fino a 35 mila e poi, progressivamente verso lo zero in prossimità dei 40 mila. A parte che non siamo evidentemente di fronte ad una rivoluzione, il variare del reddito combinato con le diverse e schizofreniche aliquote Irpef potrebbe generare effetti perversi. Secondo il centro studi Eutekne, infatti, chi aveva un lordo di 12 mila euro si ritroverà invece con 11.135 euro, perdendo il 7,3%. Qualcosa di simile avverrebbe per i redditi tra 35 e 40 mila euro, dove il prelievo effettivo salirebbe intorno al 60%. Insomma, circa 5 milioni di lavoratori sarebbero penalizzati dalla misura.

In tutti i casi, l’esperienza ha dimostrato che i 10 miliardi annui utilizzati in passato per questo tipo di bonus (che ora diventano 15 miliardi) non hanno affatto rilanciato i consumi, né tantomeno l’economia. Non solo perché hanno escluso le fasce più povere, ma anche perché gli italiani, avendo un’elevata propensione al risparmio, quei soldi prevalentemente li hanno messi da parte. E quando li hanno usati, è stato o per saldare debiti arretrati o per fare acquisti di prodotti servizi esteri, dall’Iphone a Netflix, dalle auto tedesche a un volo Ryanair. Tant’è vero che in questi anni le importazioni sono cresciute quattro volte il pil.

Ma ad allargare l’inquadratura si scorge un problema più generale: se la terapia risulta fallace è perchè è la diagnosi ad essere completamente errata. Finchè non si capirà che il problema fondamentale dell’economia italiana è il totale crollo degli investimenti, e che viceversa la stasi dei consumi è conseguenza e non causa della stagnazione, non se ne verrà mai a capo. Ma qui a sorreggere l’analisi basterebbe l’esperienza: perchè i 48 miliardi di flessibilità che l’Europa ci ha concesso negli ultimi 5 anni, spesi prevalentemente dal lato della domanda, non hanno dato alcun beneficio all’economia? Fare del deficit non è un crimine, a patto di utilizzare il disavanzo strategicamente, per stimolare in modo efficace la crescita, e non per allisciare il pelo all’elettorato. Distribuire risorse a pioggia non ha funzionato, anche perché erogare un sussidio è diverso dal creare un posto di lavoro, e solo quest’ultimo moltiplica gli effetti positivi.

Ecco, il potere d’acquisto senza contropartita produttiva è un giro a vuoto. Se ci sono risorse, o se si generano in deficit, bisogna metterle tutte dal lato dell’offerta. Rilanciando gli investimenti pubblici, volano di quelli privati. E sgravando le nuove iniziative imprenditoriali da oneri aggiuntivi. (twitter @ecisnetto)

Social feed




documenti

Test

chi siamo

Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.