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  • 20200112 - Lavorare meglio, lavorare meno

Non solo Articolo 18

Lavorare meglio, lavorare meno

Basta con i vecchi slogan, la svolta è possibile innovando

di Enrico Cisnetto - 12 gennaio 2020

Reintrodurre l’articolo 18? Ridurre ex lege di alcune ore la settimana lavorativa? Ogni tanto, ciclicamente, c’è chi non trova di meglio da fare che riesumare vecchie e (per fortuna) superate proposte. Non se ne farà niente, ma intanto 5Stelle e LeU sono pronti a dare battaglia, senza minimamente tener conto che il lavoro, i processi produttivi, l’organizzazione delle fabbriche del 2020 sono oggi distanti anni luce dai modelli fordisti del Novecento, quando intelligenza artificiale, internet, stampanti 3d erano non erano nemmeno fantascienza. Per cui applicare, ideologicamente, i vecchi schemi del passato non può funzionare. Anzi, è controproducente.

Così sarebbe se passasse l’idea che in certi casi – solo per le aziende con più di 15 unità, solo per gli assunti dopo marzo 2015 e solo per i licenziamenti senza giusta causa – invece dell’indennizzo economico al lavoratore venisse garantita la “reintegra” sul posto di lavoro. In pratica, una controriforma che riporterebbe indietro di 50 anni, quando lo Statuto dei Lavoratori regolava ben altri sistemi di lavoro. Tra l’altro, ignorando che senza articolo 18 in due anni i licenziamenti sono calati del 15% (Inps) e i contenziosi del 30% (Inapp). Stessa cosa sarebbe con la riduzione delle ore di lavoro a parità di salario, secondo lo schema “4 giorni lavorativi la settimana per 6 ore quotidiane”. Idea che, dopo Jeremy Corbyn e Sanna Marin (che l’aveva proposta prima di diventare premier in Finlandia, dopo l’ha accantonata), è stata rilanciata dalla Cgil di Maurizio Landini. Ma già adesso in Italia i livelli di produttività e competitività sono tra i più bassi dell’Occidente, per cui quella misura aggraverebbe la situazione. E poi è evidente: il salario non può essere inteso come variabile indipendente e il lavoro non si misura più in ore lavorate, ma in risultati raggiunti.

Per questo serve cambiare approccio: si può anche lavorare “meno”, ma prima bisogna pensare a farlo “meglio”. Da casa, dal cellulare, senza timbrare il cartellino, senza catena di montaggio e perfino senza scrivania, l’importante è il “come”. Tanto che le organizzazioni più efficienti sono quelle che si basano su flessibilità e lavoro a distanza, sul trinomio “formazione, innovazione, specializzazione”, su tecnologia e smart working. Sono cose che il lavoro non lo distruggono ma, semmai, lo creano, lo migliorano e lo rendono più produttivo, oltre che maggiormente creativo. Perché adattano le regole ai processi produttivi, e non viceversa.

Invece, se pure in Italia si lavora più che altrove, lo si fa certamente peggio. Per esempio, i metallurgici tedeschi sono passati da 35 a 28 ore settimanali, ma su base contrattuale e volontaria e non per imposizione di legge. E, soprattutto, solo dopo grandi aumenti di produttività basati su innovazione ed efficienza ottenute con l’altissima specializzazione degli operai.

Insomma, invece di riesumare il vecchio slogan “lavorare meno, lavorare tutti” (come fa il presidente Inps, Pasquale Tridico), che avevamo già dimenticato, bisogna puntare sul “lavorare meglio per poter lavorare meno”. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.