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  • 20191215 - Il freno della giustizia

Riforma e investimenti

Il freno della giustizia

Bisogna invertire la rotta, per evitare che la (mala)giustizia blocchi ancora lo sviluppo

di Enrico Cisnetto - 15 dicembre 2019

“Causa che pende, causa che rende”, recita un vecchio proverbio su cui forse può sorridere qualche avvocato, ma non certo l’economia italiana paralizzata dalla giustizia lumaca. Il governo ha licenziato un disegno di legge delega di riforma del processo civile – con il passaggio da tre riti a uno, sanzioni a chi intraprende “cause temerarie” e una generale riduzione dei tempi – ma purtroppo, oltre ad essere lo strumento della delega per sua natura piuttosto lento, dopo dieci giorni sembra già finito nel dimenticatoio.

Eppure, lo scenario disastroso suggerirebbe un altro approccio. Solo nel 2018 i processi protratti oltre i limiti della ragionevole durata (tre anni in primo grado, due in l’appello, uno in Cassazione) erano saliti a 968 mila dei quali 345 mila nel penale e 623 mila nel civile. Soprattutto, si azzarda la cancellazione della prescrizione, dimenticando che l’80% dei processi si conclude senza nemmeno arrivare al primo grado (condannando così l’inquisito ad anni di attesa e pubblico ludibrio) e che i tempi dei procedimenti continuano ad essere troppo alti prima di tutto nel civile, settore fondamentale per le imprese. In media, infatti, un’azienda deve aspettare 1.120 giorni per rientrare di un credito, a fronte dei circa 500 giorni in Spagna e Germania. Ci dice la Commissione europea che per arrivare al primo grado si contano in media 514 giorni, contro i 282 degli spagnoli e i 196 dei tedeschi. In pratica, a noi serve il doppio del tempo per regolare un contenzioso, rendendo qualunque transazione commerciale più rischiosa, qualunque investimento più incerto, ogni impresa più aleatoria. Di conseguenza, economia bloccata e crescita strozzata.

Secondo la Banca Mondiale, una riduzione del 10% dei tempi dei processi equivarrebbe a un più 2% di dimensione delle imprese. Ma ora siamo al 157esimo posto su 183 paesi per velocità della giustizia. Il che si traduce in bassi investimenti stranieri, spaventati dall’incertezza del diritto. Tanto è vero che ogni anno dall’estero arrivano nel Regno Unito 45 miliardi, 30 in Francia, 20 in Spagna, ma in Italia solo 5. Della stessa opinione è la Banca d’Italia, secondo cui una giustizia civile più efficiente potrebbe valere circa 18 miliardi l’anno di maggiore crescita. Tanto più che il costo del processo è intorno ad un terzo del valore della causa, che ci vogliono mille giorni per avviare il primo grado di una causa civile, dieci anni per chiudere un fallimento e nove per i casi di giustizia tributaria. Con il risultato che sono quasi 9 milioni i procedimenti pendenti a fronte di circa 7 milioni di nuovi processi aperti ogni anno. Tanto che il Consiglio d’Europa ci invita ad “assicurare una ragionevole durata dei procedimenti”. Richiesta che, per ora, rimane inevasa: troppo a lungo la questione è stata affrontata solo con logica emergenziale e mediatica, tralasciando quella revisione complessiva indispensabile per un paese industrializzato che vuole (deve) tornare a crescere. Bisogna invertire la rotta, per evitare che la (mala)giustizia blocchi ancora lo sviluppo. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.