Basta bonus e sussidi
48 miliardi di flessibilità europea negli ultimi 5 anni non sono stati usati per spingere la crescita
di Enrico Cisnetto - 08 dicembre 2019
“Non ci sono i soldi”, si dice. “La coperta è corta”, viene ripetuto. “Le regole europee ci soffocano”, ci si giustifica di fronte alle previsioni che ci inchiodano a una crescita di due soli decimali di punto. Eppure i 48 miliardi di flessibilità concessi da Bruxelles all’Italia negli ultimi 5 anni sono stati usati per elargizioni di bonus e sussidi che a tutto sono serviti meno che alla ripresa dell’economia italiana, rimasta anemica. Sarebbe dunque tosto ora di invertire la rotta. Cosa possibile anche senza fare maggior deficit. A fare i conti, infatti, l’ammontare complessivo dei bonus (80 euro, reddito di cittadinanza, quota 100, bonus bebè, asili, etc) supera i 20 miliardi di euro, cioè circa l’1,2% del pil. Nominalmente sarebbe anche maggiore, ma le adesioni inferiori alle aspettative alle due misure adottate dal governo Conte1 ne hanno fortunatamente ridotto l’aggravio. Ecco, basterebbe prendere atto che gli effetti sull’economia di tutte quelle elargizioni sono stati nulli: gli 80 euro, se pure hanno riacceso un lumicino di speranza, non hanno certo fatto ripartire i consumi, mentre l’assistenziale RdC e la pensione anticipata hanno prodotto effetti pari a zero sull’occupazione. Allora, non stupisce che nel 2017 il reddito netto medio delle famiglie italiane (31.393 euro) sia in termini reali ancora l’8,8% più basso dei livelli pre-crisi. E questo mentre la crescita rimane da troppo tempo ferma a qualche misero decimale (+0,2% l’ultima previsione di Fitch per l’anno in corso).
Ad allargare l’inquadratura su 60 milioni di italiani, poi, solo 28 milioni pagano le tasse, di cui 8 milioni sono pensionati (sui 18 complessivi, visto che 10 milioni sono in “no tax area). In pratica, il 30% dei contribuenti più dinamico non accede a bonus che, in vario modo, gravano sulla finanza pubblica. Ora, se questi sussidi che non spingono l’economia venissero trasformati in riduzione del carico fiscale sui contribuenti attivi, oltre al principio di equità a favore dei pensionati (tagliati fuori dagli 80 euro), ci sarebbe un contributo non banale alla crescita dei consumi e quindi del pil. Attenzione, non si tratta di tagliare le uscite ma, a saldi invariati, di scegliere politiche per la crescita e non solo assistenziali (o elettorali). Mero e semplice scambio, come tratteggiato in un convegno alla Cattolica di Milano dall’ex ministro, l’economista Domenico Siniscalco: bonus sostituiti da sgravi Irpef attraverso una revisione del sistema delle aliquote e degli scaglioni. Anche perché, con una revisione delle aliquote più basse per chi oggi riceve gli 80 euro (fino a 26 mila euro lordi, con aliquota del 23%) il beneficio sarebbe più o meno identico.
Non si tratta di flat tax o di altri slogan più o meno fantasiosi, ma di una pragmatica riforma fiscale che coinvolga persone e imprese fatta in modo tale che, senza appesantire il livello del deficit, provi ad aiutare la ripresa. Tra l’altro, di fronte alla polemica sterile con l’Europa, come nel caso del Mes, è evidente che una inversione di rotta di questo genere non potrebbe che essere benefica. Il vero pericolo, infatti, è l’insostenibilità del debito pubblico. Un rischio che potrebbe diventare realtà qualora il denominatore del rapporto debito-pil dovesse continuare a non aumentare o, peggio, dovesse tornare a scendere. (twitter @ecisnetto)
L'EDITORIALE
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