Riaprire i rubinetti del credito
Criteri patrimoniali da rivedere per far arrivare la liquidità alle imprese
di Enrico Cisnetto - 17 novembre 2019
(Ri)aprire i rubinetti. La politica monetaria espansiva della Bce ha garantito una generosa liquidità, che è depositata nelle banche ma ha difficoltà ad arrivare alle imprese. Non si tratta di cosa da poco: a fine ottobre le riserve in eccesso sono aumentate di oltre 50 miliardi per il tiering, strumento della Bce che permette alle banche di non versare nulla anche se gli interessi sui depositi sono negativi allo 0,4%. Inoltre, le sofferenze nette (29,3 miliardi) sono in netto calo rispetto ai 40,2 di un anno fa (145 miliardi in meno in assoluto), e passate dal 2,34% all’1,69% degli impieghi totali. È vero che la quantità di Npl è ancora alta (il 53% di quelli europei, 97 miliardi sui 182 complessivi), ma è anche vero che in Europa i nostri istituti sono quelli che più hanno migliorato.
Eppure, con meno crediti deteriorati in pancia e molta più liquidità a disposizione, i prestiti alle imprese continuano a scendere di circa l’1% annuo secondo l’Abi. E poiché l’85% della dotazione finanziaria delle imprese è di origine bancaria, è evidente che questa (anomala) stretta creditizia non le aiuta, anzi aggrava il clima di sfiducia imperante e frena la domanda stessa di credito. Ma, sia chiaro, la colpa di questo strano fenomeno non è delle banche. Certo, rispetto al passato c’è da parte loro molta più attenzione a ridurre il rischio negli impieghi, per non produrre nuovi Npl mentre si smaltiscono i vecchi. Ma questo è un bene. No, il fatto è che sono troppo stringenti, al limite della paranoia, le regole imposte dalle autorità di vigilanza in termini di dotazione di capitale a fronte degli impieghi. E alla fine gli istituti, loro malgrado, trattengono la liquidità piuttosto che infilarsi in un circuito perverso inventato da chi vorrebbe azzerare i rischi in un mestiere che è rischioso per definizione.
Che fare, allora? La Commissione Ue ha avviato il processo che porterà all’introduzione dei requisiti di Basilea3, approvati a fine 2017. E sarà un bene se questo servirà a uniformare i criteri patrimoniali, ma sarebbe un male se invece fosse un’ulteriore limitazione della capacità di prestare denaro. L’Eba ha già fatto sapere che per adeguarsi alle nuove regole serviranno, a livello europeo, come minimo 26 miliardi di nuovo capitale entro il 2022 e 135 entro il 2027. Per l’Italia il conto dovrebbe essere meno salato – giustamente, visti gli sforzi fatti finora – e oltretutto la normativa può essere l’occasione per rivedere le norme, troppo stringenti, sui prestiti alle pmi. Perché, è vero che i requisiti patrimoniali sono stati introdotti per garantire stabilità dopo la crisi finanziaria del 2008, ma ora il problema è rientrato e sarebbe utile allentare la stretta. Sul piano interno, sarebbe utile correggere il decreto sulle crisi di impresa quando prevede che in caso di difficoltà i creditori non possano chiudere i contratti pendenti e revocare gli affidamenti.
Ma più di ogni altra cosa vanno rivisti i criteri patrimoniali, visto che non può funzionare un sistema che impone un rapporto di uno a uno tra prestiti e patrimonio. La Bce se ne faccia carico. (twitter @ecisnetto)
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
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