Italia verde
Lo sviluppo dell'energia "green" e la partita aperta degli incentivi
di Enrico Cisnetto - 27 ottobre 2019
A parole è facile, nella realtà no. Per cui, invece di continuare a discettare sul piano teorico di transizione energetica, sviluppo sostenibile ed economia circolare, visto che diversi obiettivi sono stati ambiziosamente fissati, ora bisogna pragmaticamente concentrarsi su come conseguirli. Le proposte del governo in materia ambientale, al di là degli annunci, compaiono in diversi documenti. C’è il decreto clima, che però prevede misure modeste. Poi l’aggiornamento del Def preannuncia un disegno di legge collegato alla manovra, il “green new deal”, che però è ancora tutto da costruire. Più immediato, perchè dovrà essere adottato entro fine anno, è invece il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC), il quale si prefigge target assai ambiziosi, tra l’altro assunti in sede comunitaria. Il primo e più importante è realizzare 45 gigawatt di nuova produzione da rinnovabili entro il 2030, ovvero 4,5 gigawatt l’anno, così da portare la quota di rinnovabili al 50% per quella data. In pratica, serve un aumento di tre gigawatt all’anno per il fotovoltaico, così da passare dagli attuali 20 fino a 50 (+150%), e di uno all’anno per l’eolico, in modo da raddoppiare gli attuali 10. Ora, se consideriamo che nel passato decennio abbiamo realizzato in media solo 3,5 gigawatt ogni 12 mesi, che in futuro la quota di incentivi sarà assai inferiore e che poco territorio resta per nuovi impianti, allora è necessario trovare soluzioni concrete e realizzabili. Anche perché servono oltre 30 miliardi di nuovi investimenti, di cui fino a 20 sul solare e almeno 10 sull’eolico. Non poca cosa.
Sul tema è da leggere lo studio realizzato da Arpinge, società nata per investire in infrastrutture il patrimonio delle casse previdenziali di ingegneri e architetti, geometri e periti industriali. Prima di tutto viene evidenziato come il balletto sugli incentivi prima annunciati, poi messi in stand-by e ritardati, infine modificati perfino in modo retroattivo (come fu per lo “spalma-incentivi”) abbia di fatto frenato gli operatori. Tanto che sono in molti a spingere per la strada alternativa della market parity, cioè della totale assenza di incentivi. Anche perché, ormai, il comparto sta assumendo un profilo industriale, passando dai molti piccoli impianti nati sostanzialmente solo per accaparrarsi i sussidi, a pochi grandi attori ad alto rendimento.
Tuttavia, per sostenere questa metamorfosi del settore, è necessario adeguare la rete, continuando a investire sia in quella di trasmissione nazionale come previsto da Terna (con 13 miliardi), sia in quella di distribuzione (con altri 25,7 miliardi). Inoltre, sostiene Arpinge, bisogna semplificare gli iter autorizzativi, favorire i contratti di acquisto a medio e lungo termine e, soprattutto, destinare in modo diverso gli incentivi. Per esempio, verso l’auto elettrica e l’efficienza energetica nell’edilizia. Anche se prima di ogni altra cosa occorrono nuovi e più performanti sistemi di storage. Attualmente, infatti, gli alti costi di produzione e di smaltimento, uno sviluppo tecnologico non adeguato e capacità ancora limitate dei sistemi di accumulo, batterie in primis, rappresentano il collo di bottiglia più stretto di tutto il settore. Ecco, per passare dalle parole ai fatti, la transizione energetica ha bisogno di progetti concreti e di molta “carica”. (twitter @ecisnetto)
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
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