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Ecologia e profitto

Green new deal

Tutela dell'ambiente unita a sviluppo economico: solo così può partire davvero il corso verde della Ue

di Enrico Cisnetto - 15 settembre 2019

“Economia circolare”, “green new deal”, “sostenibilità”, sono le parole d’ordine del momento, fatte proprie dal governo Conte2, anche se nessuno sa bene cosa sia il nuovo modello di sviluppo che esse vogliono sottintendere. Sarebbe dunque opportuno fare chiarezza, soprattutto per sgombrare il campo dal sospetto – il timore è forte – che si tratti di rifritture ideologiche in salsa di decrescita (in)felice, a base di “no a tutto” e di “sì all’impossibile”. Se, invece, si tratta di concentrare gli investimenti in settori e tecnologie in grado di produrre crescita sostenibile, allora c’è molto da fare, ma consapevoli che tanto più la tutela dell’ambiente non è disgiunta dallo sviluppo economico, e quindi dal profitto, tanto più i risultati saranno positivi.

Purtroppo finora siamo andati nella direzione sbagliata. Nella lettera che la Commissione europea ci ha spedito a maggio, tra i molti rimproveri c’era anche quello per gli scarsi investimenti “green”. Secondo Bruxelles, per arrivare ai target ambientali Ue fissati per il 2030, l’Italia dovrebbe rivoluzionare la propria politica economica, puntando tutto sulle infrastrutture energetiche e di trasporto sostenibili, mettendo soldi su nuove ferrovie, reti e molto altro. Fortunatamente c’è una finestra di opportunità da cogliere, perché la Commissione Ursula, come ormai viene definita dopo la nomina della von der Leyen, potrebbe decidere lo scorporo degli investimenti ambientali dal calcolo del deficit. Una sorta di “golden green rule” che ci consentirebbe, per esempio, di spendere per un solido piano contro il dissesto idrogeologico. Ma anche per passare dal trasporto su gomma a quello su ferro, costruendo nuove e più efficienti ferrovie. E puntare su nuovi gasdotti e trivelle, evitando che i giacimenti nell’Adriatico siano sfruttati da tutti tranne che da noi, come accadrà se fosse confermato lo stop a nuove concessioni. E poi investendo in impianti che possano trasformare i rifiuti in energia, evitando lo scempio della monezza che vediamo in alcune città. Rinnovando la rete elettrica e puntando sui sistemi di accumulo necessari per valorizzare al massimo le rinnovabili. E, ancora, ammodernando la rete idrica, il che significherebbe abbandonare la velleitaria idea della cosiddetta “acqua pubblica”. Senza contare i materiali sostitutivi della plastica, l’auto elettrica, le batterie di accumulo di energia. Tutte cose per le quali occorre investire in ricerca e innovazione, prima di tutto nelle università.

Ovviamente, bisogna abbandonare l’estremismo ambientalista che finora ci ha paralizzato. Non a caso oggi i nostri investimenti verdi sono meno dello 0,1% del pil (Istat). Davvero poco. Invece, per invertire la rotta, ecologia e profitto, ambiente e portafoglio, devono marciare insieme. Le imprese lo hanno capito, e quelle che hanno puntato sulla riduzione dell’impatto ambientale ottengono le migliori performance. Bruxelles anche, visto che la maggiore voce di spesa del nuovo bilancio sarà quella relativa alla crescita sostenibile (60 miliardi, un terzo del totale). E chi, come i Verdi tedeschi, ha scelto l’ambientalismo ragionevole, ha preso un sacco di voti.

In Italia, stiamo aspettando che alle buone intenzioni delle anime belle si sostituisca un sano e non meno edificante pragmatismo. Speriamo. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.