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Il dopo Salvini

Il fallimento di Quota 100

Una legge-bandiera nata male e ormai da archiviare 

di Enrico Cisnetto - 01 settembre 2019

Restyling parziale o abrogazione totale, ammesso che nasca il nuovo governo dovrebbe intervenire su “quota 100”, cattiva eredità dell’esecutivo gialloverde. Non per cancellare una misura bandiera della Lega e non solo per migliorare i conti pubblici, ma soprattutto per gli effetti negativi che ha avuto sul mercato del lavoro, come testimoniano gli ultimi dati che indicano un calo dell’occupazione e una crescita della disoccupazione, alla faccia della retorica sulla dialisi occupazionale che ha accompagnato il varo della controriforma della legge Fornero, che sosteneva che come minimo per ogni pensionato sarebbe entrato nel mercato del lavoro un giovane under 30.

Il provvedimento voluto da Salvini, infatti, non sta dando i frutti annunciati. Introdotto in modo sperimentale per tre anni (2019-2021), è partito con adesioni inferiori di oltre il 40% rispetto alle aspettative (167 mila domande contro le 290 mila ipotizzate inizialmente), che diventerebbero un terzo di meno se a fine anno si dovesse arrivare a quota 200 mila. Di questo passo, rispetto alla stima iniziale di quasi un milione per il triennio, si arriverebbe poco sopra le 600 mila richieste. Inoltre, tre domande su quattro arrivano da maschi perché, evidentemente, per le lavoratrici è difficilmente raggiungibile la somma di 38 anni di contributi e 62 di età. Insomma, il primo bilancio dice che quota 100, senza tenere conto delle differenze sociali ed economiche, senza distinguere tra lavori usuranti e non, è una norma che in nome del “liberi tutti” nella realtà ha favorito solo qualcuno.

E poi la misura sconta altri tre errori esiziali. Primo: è temporanea, per cui dal 2022 si tornerà al regime Fornero visto che l’idea di introdurre “quota 41”, oltre a essere rimasta un annuncio, sarebbe finanziariamente insostenibile. Secondo: si aggiunge a misure preesistenti di flessibilità in uscita (ape sociale, opzione donna, lavoratori precoci, pensione anticipata), di fatto indebolendole e sminuendole. Terzo: allo scadere della “sperimentazione” molti baby boomers potrebbero raggiungere 42 anni e 10 mesi di contributi e quindi l’età della pensione intorno ai 60 anni di età. Per cui, oltre ad evidenti problemi di sostenibilità finanziaria, c’è il rischio di lasciare senza lavoratori esperti e qualificati molti settori. Un fenomeno che si sta già verificando pesantemente nella sanità (in particolare per i medici di famiglia), nella scuola, nella giustizia e negli enti locali. A conferma dei numeri dei consulenti del lavoro, che indicano un tasso di sostituzione di un nuovo lavoratore ogni tre neo pensionati.

Se a questo bilancio negativo aggiungiamo che quota 100 costa 21 miliardi in tre anni, non c’è dubbio che la norma sia da rivedere. Complice anche il miliardo rimasto in cassa a causa delle minori adesioni, in teoria l’abolizione completa nella prossima manovra equivarrebbe ad un risparmio di 17 miliardi. Operazione politicamente difficile, ma che tuttavia consentirebbe di trattare con Bruxelles conquistando più facilmente maggiori spazi di flessibilità. In ogni caso, anche un restyling sarebbe meglio di niente. Purché si potenzino e migliorino gli strumenti già esistenti, con regole semplici e stabili, non discriminatorie, funzionali al mercato del lavoro e in linea con una società che invecchia e una struttura demografica che cambia profondamente. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.