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  • 20190630 - Patto degli innovatori

Economia e futuro

Patto degli innovatori

Per promuovere la digitalizzazione e rimettere in moto il Paese

di Enrico Cisnetto - 30 giugno 2019

È tempo di un “patto degli innovatori”. Perché c’è una parte (minoritaria) del nostro capitalismo che cresce e prospera sui mercati internazionali e che, principalmente grazie all’export, ha tenuto in piedi il Paese in questi anni di crisi. E se lo ha potuto fare è perché i lavoratori di quelle imprese si sono resi disponibili a condividere le scelte dei loro datori di lavoro. Per questo, sulla soglia di una nuova e ancor più invasiva fase di innovazione tecnologica, destinata a rivoluzionare ulteriormente i processi produttivi, dovrebbero essere proprio le parti più dinamiche del tessuto produttivo a definire congiuntamente una strategia – industriale, di relazioni contrattuali, di welfare e dunque anche politica – all’insegna dell’innovazione.

Il decreto crescita appena varato, escluso il giusto incentivo alle aggregazioni bancarie, contiene qualche vantaggio fiscale, qualcosa sui marchi italiani e altre micro misure, ma complessivamente non aiuta a colmare il ritardo tecnologico accumulato. Un gap misurato dal fatto che solo il 5% del pil sia oggi riconducibile al digitale, contro l’8% della Germania e una media europea del 6,6%. Un distacco che zavorra la nostra economia, tanto che in area Ocse le nostre competenze digitali risultrano superiori solo ai turchi. Questo ritardo riguarda l’automazione della produzione, certifica un limitato sviluppo delle reti di tlc di nuova generazione e un mediocre uso delle tecnologie da parte delle amministrazioni pubbliche.

Per fortuna c’è una parte delle imprese che invece punta tutto su innovazione e capacità tecnologica. Gli esempi potrebbero essere molti, ma colpisce la scelta di Alessandro Profumo di sostenere ancora di più questo trend in Leonardo ingaggiando l’ex numero uno dell’IIT di Genova, Roberto Cingolani, come nuovo CTO (chief techonology officer). Così come l’impegno di Ansaldo Energia sul cluster Fabbrica Intelligente con Luca Manuelli, o la sorprendente esperienza di Infocert come “notaio digitale”, la prima e migliore azienda europea nel settore. E lo stesso accade per i lavoratori che, attraverso quella parte del sindacato non ideologizzata (penso alla Fim-Cisl guidata da Marco Bentivogli), chiedono maggiori investimenti in know-how, formazione continua e riforma dei processi produttivi. Perché entrambi, lavoratori e imprese, sanno che per aumentare la competitività non è più sufficiente, auspicabile o tantomeno possibile aumentare i ritmi di lavoro, ma bisogna mettersi al passo del nuovo mondo digitale adeguando il modello di business.

Per questo è necessario, come suggerisce Giuseppe Bianchi di Isril, che gli “innovatori” stringano un’alleanza finalizzata a governare la nuova fase tecnologica, per affrontare in modo strategico le sfide dalla robotica, dell’intelligenza artificiale, della fabbrica interconnessa, dell’automazione e della digitalizzazione. Sia per reggere l’impatto con l’hi-tech in arrivo, sia per dare un traino alla parte più arretrata del paese. E a tale patto, oltre imprese e sindacati all’avanguardia – innovando ammortizzatori sociali e diritto del lavoro, così da riqualificare i lavoratori evitando loro assistenza tipo gli assegni di nullafacenza – dovrebbero partecipare anche università, centri di ricerca e quella parte della pubblica amministrazione disponibile a mettersi in gioco. Ci proviamo? (twitter @ecisnetto)

 

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.