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  • 20190602 - Il gap digitale dell'Italia

Analisi e scenari

Il gap digitale dell'Italia

Il ritardo tricolore che fa paura e frena la crescita

di Enrico Cisnetto - 31 maggio 2019

Siamo un Paese analogico, e quindi illogico, e perciò inefficiente. Tra le tante analisi preziose contenute nella Relazione Annuale del Governatore Ignazio Visco all’assemblea della Banca d’Italia, quella che sottolinea come l’Italia abbia risposto con notevole ritardo alla rivoluzione tecnologica e quanto questo abbia una marcata ripercussione sulla nostra economia, è sicuramente la più strategica. Solo il 5% del pil italiano, infatti, è oggi riconducibile al digitale, contro l’8% della Germania e una media europea del 6,6%. Un distacco che fa la differenza. E secondo i dati Eurostat, hanno il tasso di innovazione peggiore del nostro solo Bulgaria, Romania e Grecia. Un ritardo che riguarda l’automazione della produzione, specie verso chi ha una specializzazione settoriale simile alla nostra come i tedeschi, ma anche un limitato sviluppo delle reti di telecomunicazioni di nuova generazione. Per non parlare dell’uso delle tecnologie da parte delle amministrazioni pubbliche, dove siamo 19esimi su 28. Insomma, un disastro.

Il nodo, però, è a monte. Visto che nel finanziamento del settore universitario siamo ad un terzo della media Ue, ecco spiegato perchè le competenze degli italiani sono inadeguate per il mondo digitale. Infatti, peggio dei nostri adulti (sempre prendendo a riferimento dati e area Ocse) sono solo i turchi. E anche i giovani nostrani, che sono certamente più digitali, non hanno il passo dei coetanei stranieri. Sarà anche perché, detto con triste sarcasmo, una casa italiana su quattro non è nemmeno connessa a internet (Istat).

Ma non se la passa bene nemmeno il settore privato, che spende in ricerca e sviluppo (0,8%) la metà della media Ocse. Un’arretratezza che si aggrava nel pulviscolare tessuto di piccole imprese, restie all’adattarsi alle tecnologie avanzate, adottate dal 50% delle imprese “grandi” (più di 250 dipendenti), ma solo dal 20% per quelle tra 20 e 50 dipendenti. Tanto è vero che tra i Paesi Ocse, in media solo Cile e Turchia hanno lavori meno “tecnologici” dell’Italia. Un gap ancor più marcato al Sud, visto che la quota del pil legata al digitale è solo al 2,5%, tre punti in meno del Centro e del Nord. Perfino le banche sono tecnologicamente indietro, con una diffusione dell’internet banking intorno al 40% a fronte di una media europea del 60%. In tale contesto, diventa difficile trovare risorse per il rilancio dell’economia.

Oggi, nel mondo, le aziende a più elevata e rapida crescita sono native digitali (Google, Facebook, Amazon, Apple, Microsoft, ecc.) e molte altre si sono ripensate in tale contesto. Innovazione e capacità tecnologica sono la vera leva dello sviluppo e del futuro, come dimostra la crescita dell’economia Usa o di quella cinese (e la non casuale battaglia su Huawei), o il fatto che dal 1992 l’output industriale di Germania, Spagna e Francia sia aumentato solo grazie alla spinta dei settori hi-tech. E non è un caso che i nostri occupati a elevata specializzazione siano il 18,2% del totale, a fronte del 36,1% della Germania (dati Almalaurea), come anche che i nostri laureati e dottorati (dati Ambrosetti) guadagnino circa il 25% in meno degli omologhi statunitensi, francesi, britannici o tedeschi.

Insomma, è evidente quanto sia ampio il gap tecnologico dell’Italia nel panorama internazionale. Ecco perchè sarebbe illogico non uscire dall’angolo angusto del mondo analogico. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.